Rapporto tra il principio del “ne bis in idem” ed il regime del doppio binario

Rapporto tra il principio del “ne bis in idem” ed il regime del doppio binario

Il regime del doppio binario è il regime che si ravvisa allorché l’ordinamento prevede per un fatto tendenzialmente identico tanto l’illecito amministrativo quanto l’illecito penale, stabilendo un regime non di alternatività tra l’uno e all’altro ma di cumulo di responsabilità.

Il principio del ne bis in idem è contemplato nel nostro ordinamento penale dall’art. 649 c.p.p., tema che interseca il concorso apparente di norme e concorso effettivo di reati (ma ne parleremo più là).

In una prospettiva prettamente processuale il principio del ne bis in idem è previsto :

  • Nel diritto processuale penale nazionale dall’ 649 c.p.p.;

L’art 649 c.p.p. enuncia il principio del ne bis in idem processuale in forza del quale quando un soggetto viene giudicato per un reato con sentenza definitiva nel processo penale non può più essere aperto per lo stesso fatto nei confronti dello stesso soggetto un nuovo processo penale (ricorda che  nel diritto penale sostanziale quando si affronta il tema del concorso apparente rispunta il ne bis in idem ma sostanziale (in particolare in Mantovani posizione isolata) altri parlano del criterio dell’assorbimento, criterio della consunzione, criterio della sussidiarietà).

Il presupposto del divieto è che il nuovo procedimento penale abbia lo stesso fatto di quello oggetto dell’intervenuta sentenza passata in giudicato.

  • Nel diritto della CEDU all’ 4 n. 7 del protocollo CEDU;

Il principio del ne bis in idem trova enunciazione anche nell’art. 4 n. 7 prot. CEDU, in forza del quale nessuno può essere perseguito, condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso stato per un reato per il quale è stato già condannato/assolto a seguito di sentenze definitiva conformemente alla legge penale.

  • Nel diritto dell’unione all’ Art 50 Trattato dell’Unione Europea;

Il medesimo principio è enunciato nell’art 50 Trattato UE.

Il principio di ne bis in idem è presente in tutti e tre i livelli di ordinamento, contenutisticamente appare enunciato in modo non dissimile, ciononostante il principio CEDU sta scatenando negli ultimo 2 anni (2014 – 2015), in Italia e non solo (Finlandia) profonde rivoluzioni, sta cioè  determinando effetti innovativi molto significativi.

Come mai tutto questo sta accadendo? Con riferimento a quali ipotesi? Mediante quali argomenti ed implicazioni?

Tutto parte dalla sentenza Grande Stevens.

Occorre premettere che due sono i grandi filoni giurisprudenziali lungo i quali questo tema, relativo all’impatto nell’ordinamento nazionale del principio del ne bis in idem di derivazione CEDU,  sta producendo effetti innovativi:

  1. Quello degli illeciti contemplati dal Decreto Draghi, D.lgs 58/1998, in particolare abuso di informazioni privilegiate;

  2. Quello degli illeciti tributari, in particolare omesso versamento IVA.

ILLECITI PREVISTI NEL DECRETO DRAGHI: ABUSO DI INFORMAZIONI PRIVILEGIATE.

Il nostro ordinamento prevede per questa ipotesi due fattispecie: la fattispecie dell’illecito amministrativo art. 187-quater TUF e la fattispecie penale art. 185 c.p.

Quindi a fronte dell’abuso, oggi nel nostro ordinamento il soggetto può essere perseguito per l’illecito amministrativo e per l’illecito penale.

In particolare il regime del cumulo consegue ad  peculiare formulazione dell’art. 187 quater TUF, il quale, nel delineare l’illecito amministrativo, prevede che sono fatte salve le sanzioni penali (non dice salvo che il fatto non costituisca reato, ma dice sono fatte salve) quindi,  con l’espressione facendo salve le conseguenze, le sanzione penali per quale fatto, delinea un regime di cumulo e non di alternatività tra l’illecito amministrativo e illecito penale; diverso sarebbe stato se l’art. 187 quater avesse detto salvo che il fatto non costituisca reato integra illecito amministrativo.

In applicazione di questo regime, il soggetto in questione, viene sottoposto a procedimento per l’illecito amministrativo e viene sanzionato dall’autorità amministrativa, cioè la Consob, preposta all’accertamento dell’illecito amministrativo ed all’applicazione della relativa sanzione; conclusosi  il procedimento amministrativo, con un provvedimento definitivo della Consob, la quale applica la  sanzione amministrativa ex art- 187 quater, si apre il procedimento penale; quindi questo signore ricorre alla Corte EDU deducendo il contrasto di questo ordinamento nazionale, nella parte in cui consente che per lo stesso fatto il soggetto possa rispondere dell’illecito amministrativo e poi dell’illecito penale,  con il principio del ne bis in idem CEDU.

Interviene la sentenza 4 marzo del 2014 della CEDU resa nel caso Grande Stevens.

Questione preliminare:

La Corte EDU, prima di affrontare il tema relativo alla coerenza con l’art. 4 n.7 prot. CEDU dell’ordinamento nazionale, nella parte in cui prevede l’illecito amministrativo e l’illecito penale di abuso di informazioni privilegiate, pone a monte il problema della natura giuridica dell’illecito contemplato dal Decreto Draghi all’art. 187 quater TUF e della sanzione applicata dalla CONSOB. Cioè (posto che l’art. 4 n.7 del prot. prevede che nessuno può essere perseguito dalla giurisdizione nazionale per un reato per il quale è stato già assolto/condannato con sentenza definitiva, e posto che nel caso di specie il ricorrente era stato giudicato dalla Consob, cioè da un’autorità amministrativa, per un illecito che in Italia è considerato amministrativo e con una sanzione che è qualificata come amministrativa) la CEDU si è chiesta ma quell’illecito e quella sanzione applicata dalla CONSOB è una sanzione amministrativa o è una sanzione penale? Perché se è una sanzione penale deve probabilmente ritenersi, in quel caso, sussumibile nell’ambito di operatività dell’art.4, sicché prima di passare al problema della coerenza dell’ordinamento nazionale con l’art. 4, la Corte EDU si chiede nel caso di specie se quel soggetto ricorrente potesse considerarsi condannato per un reato ancorché condannato dalla CONSOB con una sanzione qualificabile in Italia non come penale ma come amministrativa.

Quindi la Corte EDU si interroga sulla natura giuridica della sanzione prevista dall’art. 187 quater TUF come inflitta in Italia non dal giudice penale ma dall’autorità amministrativa.

La sentenza parte dall’esame della natura giuridica della sanzione CONSOB e quindi della natura della decisione CONSOB.

La Corte EDU applicando i tre criteri fondamentali Engel, utilizzati per sviluppare la concezione autonomistica, giunge a concludere che nel caso di specie il ricorrente, nella vicenda definita dalla pronuncia CONSOB, era stato condannato ad una sanzione penale, non ad una sanzione amministrativa, o meglio gli era stata inflitta una sanzione che formalmente qualificata come amministrativa deve considerarsi, ai fini CEDU, avente natura penale.

Ciò in considerazione dei tre criteri Engel:

  1. Severità della sanzione valutata in astratto ed in concreto;

  2. Finalità della sanzione avente scopo afflittivo – repressivo non riparatorio;

  3. Sanzione parametrata alla gravità della condotta e non alla gravità del danno cagionato.

Il problema della coerenza con l’art. 4 CEDU

Accertato che la sanzione inflitta a Stevens era una pena, e non una sanzione amministrativa, la Corte EDU rivede attentamente l’art. 4 n. 7 prot, ne consegue che: nel caso in questione la Corte EDU era già pervenuta, esaminando e definendo la questione preliminare, alla costatazione che il ricorrente era stato già giudicato e condannato per un reato e che gli era stata già inflitta una pena, tale dovendo intendersi la sanzione, pur considerata in Italia formalmente amministrativa, inflitta dalla CONSOB.

La Corte EDU quindi passa ad esaminare il secondo aspetto, cioè quello della compatibilità di quella vicenda con l’art. 4 n 7 Protocollo CEDU.

La Corte EDU sostiene che presupposto del ne bis in idem è l’identità del fatto, cioè il presupposto che il soggetto sottoposto a nuovo procedimento penale sia sottoposto a questo nuovo procedimento penale per un fatto che debba considerarsi identico a quello già giudicato.

Quindi posta la natura penale del fatto già giudicato dalla CONSOB e posta la natura penale della sanzione applicata dalla CONSOB, sulla base dei criteri Engel, ora occorre verificare se il fatto giudicato dalla CONSOB sia lo stesso oggetto di contestazione nell’avviato procedimento penale, perché questa identità è il presupposto del divieto del ne bis in idem processuale.

La Corte EDU afferma che questa condizione di operatività del divieto del ne bis in idem si verifica ogni qualvolta risulti un’identità, una sovrapposizione, degli elementi del fatto giudicato nel primo procedimento e contestato nel secondo a prescindere dai rapporti strutturali tra gli elementi costitutivi delle rispettive fattispecie astratte.

La Corte EDU afferma che occorre far riferimento, nel verificare che sussista la condizione del ne bis in idem identità del fatto, non alle relazioni tra le norme che delineano le diverse fattispecie (art. 187 quater, art. 185 c.p.) ma occorre guardare al fatto che, prima nel procedimento CONSOB e poi nel procedimento penale, è oggetto di accertamento, sicché ogni qualvolta, a prescindere dalle relazioni tra fattispecie astratte, dai rapporti strutturali tra le fattispecie (rapporti di identità, specialità, eterogeneità, incompatibilità), c’è identità degli elementi fattuali, accertatati nel primo procedimento e contestati nel secondo, interviene, per ciò solo il principio del ne bis in idem. Nel caso di specie, conclude la Corte EDU, c’è tendenziale identità tra il fatto accertato dalla CONSOB e quello contestato nel procedimento penale, quindi, l’avvio del procedimento penale nei confronti del soggetto, già condannato dalla CONSOB, confligge con l’art. 4 n. 7 prot. CEDU.

Quindi ricapitolando:

  1. Si afferma che quella che in Italia è qualificata come sanzione amministrativa, ex art. 187 quater, è sulla base dei criteri Engel una sanzione penale;

  2. Poi essendo nel caso di specie il fatto accertato da CONSOB e quello contestato nel procedimento penale identico, vi è compromissione del principio di cui all’art. 4 n.7 prot. CEDU.

Cosa succede in Italia dopo la Sentenza Stevens?

A questo punto la Cass. Pen. Sez. V 1782/2015 (15 Gennaio 2015) solleva questione di legittimità costituzionale.

Preso atto dell’orientamento della Corte EDU sulla natura penale dell’art. 187 quater TUF e preso atto delle affermazioni contenute nella sentenza Stevens, la Cass. pen. sez. V solleva una duplice questione di costituzionalità per contrasto con l’art. 117, comma1, Cost. – art. 4 n.7 prot. CEDU di due disposizioni dell’ordinamento nazionale:

  1. L’art. 187 quater TUF, nella parte in cui descrive l’illecito amministrativo fa salve le sanzioni penali (implicando quindi non un regime di sussidiarietà ma un regime di cumulo tra quell’ illecito, formalmente amministrativo in Italia, ma considerati penale alla luce della giurisprudenza CEDU, e l’illecito penale di cui all’art, 185 c.p.);

  2. L’art. 649 c.p.p., nella parte in cui circoscrive l’operatività del divieto del ne bis in idem alle sole ipotesi in cui il giudicato intervento abbia ad oggetto l’illecito penale e non anche all’ipotesi in cui il giudicato abbia ad oggetto un illecito formalmente amministrativo in Italia ma da considerare penale, in base ai criteri Engel della CEDU.

La Cassazione sostiene che occorre verificare che non contrasti con l’art. 117, comma 1, Cost – art. 4 n.7 prot. CEDU l’art. 649 c.p.p., nella parte in cui prevede che il divieto di nuovo processo presupponga un giudicato avente ad oggetto un illecito non sostanzialmente soltanto, ma anche formalmente penale e non debba invece estendersi quel divieto all’ipotesi in cui il giudicato abbia avuto ad oggetto un illecito sostanzialmente penale, in base ai criteri Engel, ancorché formalmente considerato amministrativo nell’ordinamento nazionale.

ILLECITI TRIBUTARI: IN PARTICOLARE L’ OMESSO VERSAMENTO IVA

La questione suddetta si è sviluppata nel settore degli illeciti tributari in egual modo.

Nel diritto degli illeciti tributari c’è in particolare una fattispecie, sulla quale anche un D.lgs recente è intervenuto aumentando significativamente a soglia di tollerabilità, che è quella prevista dall’art. 10-ter D.lgs 74/2000 nel caso di omesso versamento IVA.

Occore precisare che:

  1. OMESSO VERSAMENTO IVA ART. 10 TER D.LGS 74/2000

Questo reato non si verifica per il solo fatto che il soggetto ometta l’IVA per ciascuna delle operazioni poste in essere ma solo quando alla fine dell’anno di imposta si verifichino certe condizioni;

  1. ILLECITO DI OMESSO VERSAMENTO IVA ART. 13 D.LGS 471/1997                                                                     Accanto a questo reato è previsto un illecito amministrativo di omesso versamento IVA che invece si verifica quando il soggetto non versa la singola IVA connessa alla singola operazione.

Sul rapporto tra queste due fattispecie, le S.U. nel 2013 hanno sostenuto che tra queste due fattispecie non c’è quella relazione strutturale che è necessario sussista perché intervenga l’art. 15 c.p., o meglio l’art. 9 L. 689/1981 che prevede il principio di specialità tra illeciti amministrativi e illeciti penali.

La giurisprudenza nazionale ha sostenuto che si deve applicare sia l’art. 10-ter sia l’art. 13 perché l’uno è diverso dall’altro e non sussiste una relazione di specialità.

Questa ipotesi di doppio regime tributario penale – amministrativa non caratterizza solo l’ordinamento italiano ma anche altri ordinamenti tra i quali quello finlandese.

CASO FINLANDESE: nel 2014, nel caso Nikänen, la Corte EDU si occupa dell’ordinamento finlandese e in particolare del caso di un soggetto che avendo omesso il versamento IVA si vede applicare la sanzione definita amministrativa dall’ordinamento finlandese e viene poi sottoposto al processo penale Questo soggetto ricorre alla CEDU, la quale si pronuncia nel caso Nikänen 10 maggio 2014.

La CEDU segue sempre lo stesso iter, sostiene che:

  • quella che nell’ordinamento finlandese è considerata una sanzione amministrativa, in omaggio ai principi Engel deve considerarsi sanzione penale;

  • l’avvio del nuovo procedimento penale a fronte di un pronunciamento definitivo con cui è stata applicata la sanzione formalmente amministrativa è violativo del principio del ne bis in idem, perché l’identità del fatto presupposto del divieto, va accertata non guardando alle relazioni strutturali tra fattispecie astratta ma guardando agli elementi del fatto, accertato nel procedimento conclusosi e contestato nel nuovo procedimento penale avviatosi.

Alla luce di quanto evidenziato la CEDU condanna l’ordinamento finlandese.

Cosa accade in Italia?

Accade ciò che è successo dopo la sentenza Stevens.

Questa volta non la Cassazione, ma il Tribunale di Bologna con ordinanza del 21 aprile 2015 solleva questione di costituzionalità dell’ordinamento italiano per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost. – art. 4 n.7 prot. CEDU nella parte in cui l’art. 649 c.p.p. limita l’operatività del ne bis in idem, con riferimento anche agli illeciti tributari, alla sola ipotesi in cui il procedimento conclusosi con giudicato, con sentenza definitiva, abbia avuto ad oggetto l’illecito penale sul piano sostanziale e formale e non anche all’ipotesi in cui abbia avuto ad oggetto un illecito sostanzialmente penale ma formalmente qualificato amministrativo.

Cioè nel caso verificatosi in Italia era successo che un soggetto era stato condannato per la sanzione dell’art. 13 D.lgs 471/1977 poi era stato sottoposto a procedimento penale ai sensi dell’art. 10-ter, e il Tribunale di Bologna aveva sollevato questione di costituzionalità per contrasto con la CEDU dell’art. 649 c.p.p., nella parte in cui non prevede per una ipotesi siffatta il divieto del ne bis in idem, non prevede  cioè che non possa aprirsi un procedimento penale nuovo quando il soggetto per lo stesso fatto sia stato giudicato nell’ambito di un procedimento per l’illecito che, pure da noi in Italia è qualificato come amministrativo, l’ art. 13 abbia sostanzialmente, alla stregua dei criteri Engles CEDU, natura penale.

Quindi si solleva nuovamente questione di costituzionalità dell’art 649 c.p. ma questa volta nel campo degli illeciti tributari. La vicenda si distingue solo per l’occasione, rispetto al caso Stevens, ma il percorso logico è il medesimo e il giudizio incidentale di costituzionalità intentato è identico.

Interviene a questo punto il Tribunale di Bergamo 16 settembre 2015.

L’ordinanza del Tribunale di Bergamo capovolge tutto, questo giudice ha un’intuizione.

Il percorso logico – ermeneutico seguito dal Tribunale di Bergamo è questo: molti principi CEDU sono già nel Trattato UE e tra questi il principio del ne bis in idem (art. 50 TUE), ma soprattutto esiste una disposizione nel Trattato UE art. 52 par. 3 in base al quale “laddove la presente disciplina, la carta dei diritti fondamentali dell’uomo, contiene diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU il significato e la portata dei diritti sono uguali a quelli conferiti dalla CEDU”

L’art. 52 par. 3 dice quindi che quando i diritti i garantiti dall’UE sono uguali a quelli garantiti dalla CEDU, cioè corrispondono, il significato da riconoscere al diritto come consacrato nella disciplina dell’UE deve essere uguale al significato che a quel diritto si riconosce nella disciplina della CEDU . In altri termini, quando c’è corrispondenza di diritti deve esserci corrispondenza anche di significati e quindi il significato del diritto dell’UE deve essere uguale al  significato del corrispondente principio della CEDU.

Giova evidenziare che il significato dei principi e dei diritti come sanciti dalla CEDU è stabilito solo dalla Corte EDU; sicché una volta che al principio del ne bis in idem dell’art. 4 n.7 prot. CEDU, la Corte EDU ha riconosciuto il significato che è stato enunciato nel caso Grande Stevens ed in Nikänen, quel significato trasla nell’Unione Europea, perché nell’UE c’è un corrispondente principio sancito nell’art. 50 TUE e quindi il significato di questo principio non può non essere lo stesso, in base all’art. 52 par. 3, rispetto al significato che Corte EDU dà al corrispondente principio CEDU.

Sulla base di queste considerazioni, il Tribunale di Bergamo:

  • sostiene che nella ricostruzione del principio del ne bis in idem, di cui all’art. 50 TUE, si deve tener conto di tutta l’elaborazione della giurisprudenza CEDU;

  • e chiede, se la questione è una questione di pregiudizialità, se sia compatibile con il ne bis in idem di cui all’art. 50 come interpretato alla luce delle decisioni della Corte EDU, decisioni destinate ad avere rilievo ai sensi dell’art. 52 par. 2, se con quel principio dell’art. 50 TUE sia compatibile l’ordinamento italiano nella parte in cui prevede per l’omesso versamento IVA tanto l’illecito amministrativo, ex art. 13, quanto l’illecito penale, ex art. 10-ter.

Viene sottoposta una questione che dal punto di vista contenutistico non è diversa da quella posta dall’ordinanza del Tribunale di Bologna, ma il discrimen si manifesta laddove si pone non una questione di costituzionalità ma una pregiudiziale comunitaria.

Qualora la Corte EDU dovesse dare ragione al giudice di Bergamo ogni giudice farà ciò vuole perché la differenza sta in ciò:

  • nell’ipotesi di ipotetico contrasto di una norma nazionale con la norma CEDU, il sistema di controllo è accentrato, perché passa per un giudizio incidentale di costituzionalità e quindi il giudice nazionale può solo sollevare questione di costituzionalità;

  • nell’ipotesi di ipotetico contrasto di una norma nazionale con una norma dell’UE, il sindacato è diffuso, perché trova applicazione il meccanismo disapplicativo e i giudici nazionali non avranno più bisogno che ci sia una sentenza declaratoria di incostituzionalità dell’art. 649 c.p.p. perchè disapplicheranno per contrasto, disapplicheranno l’art. 10-ter per contrasto con il 649 c.p.p. direttamente per contrasto con L’UE.

L’intuizione del Tribunale di Bergamo è quella di aver messo insieme, di aver collegato diritto comunitario e diritto CEDU e di aver sostenuto che, sulla base dell’art. 52 par. 3 della Carta dei Diritti Fondamenti dell’UE,  una volta che un principio CEDU ha avuto una sua interpretazione dalla Corte EDU quella interpretazione deve traslarsi a livello unionale ogni qualvolta quel principio lo si trova anche nella corrispondente norma del diritto dell’UE, con la conseguenza però che quell’elaborazione della Corte EDU, lungi in quel caso dal dover indurre il giudice nazionale a sollevate questione di costituzionalità, consentirà al giudice nazionale di utilizzare il meccanismo disapplicativo.


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