Reati omissivi impropri e responsabilità colposa

Reati omissivi impropri e responsabilità colposa

Sommario: 1. Premessa – 2. I reati omissivi propri e impropri – 3. Il fondamento della posizione di garanzia – 4. Il nesso di causalità omissiva – 5. Posizione di garanzia e responsabilità penale colposa – 6. Conclusioni

 

1. Premessa

Con la nascita degli ordinamenti moderni, al fine di contemperare il diritto di libertà del singolo e il generico dovere di solidarietà e precauzione nei confronti dei terzi, il legislatore ha individuato l’obbligo di adottare determinati comportamenti a tutela dei beni altrui in caso di incapacità del titolare dello stesso ovvero in situazioni pericolose predeterminate.

Questa esigenza si traduce nella previsione dei reati omissivi, il cui fondamento è individuato dalla dottrina nei doveri inderogabili di solidarietà reciproca ex art. 2 Cost., nel rispetto del principio di libertà ex art. 13 Cost., di personalità della responsabilità penale ex art. 27 Cost.  e di materialità ed offensività, contemplati nell’art. 25 Cost.

2. I reati omissivi propri e impropri

Nello specifico, il reato omissivo si realizza attraverso una condotta negativa, consistente nell’astensione dal compiere un’azione giuridicamente doverosa. Il confine tra l’inerzia e l’omissione è la rilevanza giuridica attribuita all’obbligo imposto, la doverosità dell’azione richiesta dall’ordinamento giuridico.

All’interno della categoria del reato omissivo si distingue il reato proprio da quello improprio. Secondo la dottrina maggioritaria, ai fini della configurazione del primo, è sufficiente la pura condotta dell’astensione dal compiere l’azione doverosa, a prescindere dalla verificazione dell’evento, come nel caso dell’omissione di soccorso ex art. 593 c.p.

Nel secondo caso, si postula il mancato impedimento di un evento materiale che si aveva l’obbligo giuridico di impedire, nella misura in cui l’omissione è causa del non impedimento e, quindi, del verificarsi dell’evento. Questi reati sono spesso previsti dal combinato disposto tra la norma di parte speciale che prevede il reato e la clausola di equivalenza fissata dall’art. 40, comma 2, c.p., secondo la quale “non impedire un evento, che si ha l’obbligo di impedire, equivale a cagionarlo”. È, infatti, necessario che l’omissione causi un evento, secondo la determinazione del nesso causale dell’art 40 c. 2 c.p., pertanto, tali reati vengono anche definiti reati commissivi mediante omissione.

3. Il fondamento della posizione di garanzia

L’innesto della clausola di equivalenza in una fattispecie di parte speciale presuppone l’esistenza della violazione di un obbligo giuridico di facere, costituito da una condotta difensiva verso il bene giuridico tutelato. L’obbligo giuridico alla base della fattispecie si concretizza nella c.d. posizione di garanzia, che incorre tra il soggetto ed il bene giuridico tutelato da una determinata norma penale. A tal proposito, sono emerse tre concezioni ai fini dell’individuazione del fondamento delle posizioni di garanzia in capo a coloro che hanno l’obbligo giuridico di impedire l’evento.

Secondo la teoria formale, la fonte dell’obbligo giuridico di agire è stabilita in base ad un criterio giuridico e trova fondamento nella legge penale, extra-penale, nel contratto, in una precedente azione pericolosa o nella consuetudine. Questa teoria è in linea con il principio di legalità e di riserva di legge di cui all’art. 25, comma 2, Cost, in quanto consente di ravvisare una norma di legge che ponga a carico di un soggetto l’obbligo di proteggere un determinato bene e di impedire il prodursi di un evento pericoloso o dannoso. La condotta omissiva sarebbe penalmente rilevante solo se posta in essere da quel soggetto a cui l’ordinamento riconosce un determinato obbligo giuridico di evitare la verificazione di un evento. Inoltre, in ossequio al principio di responsabilità penale, l’obbligo di garanzia deve essere previsto da una norma chiara che individui la persona del garante dotata di poteri giuridici impeditivi, soprattutto in vista di una valutazione da parte del soggetto indicato di prevedere le conseguenze delle proprie omissioni sul piano penale.

Secondo la teoria sostanziale, l’obbligo di impedimento, in assenza di vincoli giuridici, va ricercato nella posizione fattuale di garanzia assunta dal soggetto che si trovi in una condizione tale da impedire l’evento dannoso, che potrebbe verificarsi per l’incapacità del titolare del bene di offrire adeguata protezione. La posizione di garanzia dovrebbe gravare su ciascun soggetto che, in una determinata situazione pericolosa, ha l’effettiva possibilità di intervenire per impedire il verificarsi dell’evento. Tuttavia, tale impostazione confligge chiaramente con il principio di legalità e di riserva di legge in materia penale, non riconoscendo la posizione di garanzia in base a criteri legali, ma puramente fattuali.

Una terza teoria tenta di conciliare l’impostazione formale e quella sostanziale, individuando l’obbligo giuridico della posizione di garanzia in capo a quel soggetto, diverso dal titolare del bene, che è dotato di poteri impeditivi dell’evento dannoso. Tale teoria si basa sull’assunto che il titolare non può offrire adeguata protezione al suo bene, che viene affidato ad un garante che assume l’obbligo giuridico di evitarne l’offesa.

Una distinzione degli obblighi di garanzia va effettuata in base allo scopo: vi sono infatti obblighi di protezione e obblighi di controllo. Le posizioni di protezione presuppongono l’affidamento al garante del compito di tutelare determinati beni da tutte le possibili fonti di pericolo esterno che possano minacciarne l’integrità, sulla base del legame tra garante e titolare del bene in virtù del quale viene affidato il compito di tutela. Le posizioni di controllo, invece, sono riferite ad una fonte di pericolo specifica e presuppongono in capo al garante l’esistenza di una posizione di dominio sull’oggetto del controllo. Questi soggetti, servendosi dei poteri impeditivi, devono proteggere determinati beni da determinate fonti di pericolo, sulla base del legame giuridico tra garante e fonte di pericolo.

4. Il nesso di causalità omissiva

La quaestio dell’obbligo giuridico è stata ampiamente disquisita a livello dottrinale e giurisprudenziale, soprattutto in relazione all’individuazione della fonte dell’obbligo che dovrebbe impedire la lesione del bene protetto, l’evento e il nesso di causalità tra l’omissione e l’evento stesso. Secondo l’impostazione adottata dalla giurisprudenza, la causalità colposa ed omissiva andrebbe verificata fenomenicamente in modo non dissimile alla causalità attiva.

La sentenza cardine in materia, c.d. Sentenza Franzese[1], stabilisce che “E’ dunque causa penalmente rilevante la condotta umana, attiva o omissiva che si pone come condizione ‘necessaria’ – conditio sine qua non – nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l’evento da cui dipende l’esistenza del reato non si sarebbe verificato. La verifica della causalità postula il ricorso al ‘giudizio controfattuale’, articolato sul condizionale congiuntivo ‘se … allora …’ (nella forma di un periodo ipotetico dell’irrealtà, in cui il fatto enunciato nella protasi è contrario ad un fatto conosciuto come vero) e costruito secondo la tradizionale ‘doppia formula’, nel senso che: a) la condotta umana `è’ condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l’evento non si sarebbe verificato; b) la condotta umana ‘non è’ condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente mediante il medesimo procedimento, l’evento si sarebbe egualmente verificato”. Dunque, in tema di causalità omissiva, rileva la regola dell’addizione mentale che consiste nella sostituzione mentale dell’omissione con l’azione impeditiva. L’accertamento del nesso omissione-evento si fonda su un giudizio ipotetico che presuppone come realizzata una condotta omessa e verifica se l’azione omessa avrebbe impedito l’evento. Per equiparare il non impedire al cagionare occorre che sussista un obbligo giuridico di impedire quell’evento che, nel nostro sistema penale, trova fondamento nell’art. 40, 2co., c.p.

Più specificatamente, per verificare il rapporto causale si presuppone il ricorso al giudizio controfattuale, che prevede l’eliminazione mentale di una condotta al fine di verificare se da essa possa scaturire o meno un determinato evento. In tal senso, la verifica del rapporto eziologico si snoda in due momenti: la sussunzione sotto una legge scientifica di copertura e la verifica della corrispondenza tra la ricostruzione causale concreta e le norme generali e astratte. In genere, si tende a ricondurre il caso concreto sotto leggi scientifiche universali o leggi statistiche con probabilità prossima alla certezza. Tuttavia, l’elevato grado di certezza delle formule adoperate potrebbe non avere rilevanza nella ricostruzione eziologica concreta, ai cui fini potrebbe invece rivelarsi utile una legge statistica medio-bassa, suffragata dalla verifica dell’insussistenza di altre cause alternative.

5. Posizione di garanzia e responsabilità penale colposa

Il nostro ordinamento è carente di norme che prevedano specificamente le posizioni di garanzia e i casi di violazione della stessa, che determinano una responsabilità penale. A questa lacuna, ha supplito copiosa giurisprudenza che ha disquisito ampiamente del tema della responsabilità penale colposa in materia di reati omissivi impropri.

A questo proposito, si riporta una sentenza della Cassazione sulla responsabilità colposa omissiva da parte del datore di lavoro, dotato di una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore: “Il datore di lavoro è il primo destinatario del generale obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c., quindi garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro. La posizione di garanzia deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo.”[2]. Tuttavia, non è automatica la responsabilità del titolare per l’infortunio mortale sul luogo di lavoro[3]. In questo senso, di recente la Cassazione ha deciso in materia di responsabilità penale del datore di lavoro, stabilendo che “la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell’evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto sia della sussistenza della violazione, da parte del garante, di una regola cautelare (generica o specifica), sia della prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), sia della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l’evento dannoso”[4].

Quindi, la titolarità di una posizione di garanzia non può comportare un automatico addebito della responsabilità colposa a carico del garante per il solo verificarsi dell’evento, ma si rivela necessaria una valutazione del caso concreto. La responsabilità penale impone di verificare non soltanto se la condotta del ricorrente abbia concorso a determinare l’evento, ma anche eventuali condotte idonee a interrompere il nesso causale tra la negligenza del garante e l’evento dannoso. Nelle ipotesi di responsabilità datoriale per violazione degli obblighi di sicurezza bisogna dimostrare se l’omessa predisposizione di una delle misure cautelari, previste dalla normativa antinfortunistica, si pone in stretta correlazione eziologica con il verificarsi dell’evento, secondo il modello della condicio sine qua.

La giurisprudenza prevalente ha ritenuto, nel caso specifico dell’infortunio del lavoratore sul posto di lavoro, che la condotta imprudente del lavoratore, per poter sollevare da responsabilità il datore, debba presentare i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e dell’esorbitanza rispetto al processo lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute, sempre nella misura in cui non sia ravvisabile alcuna violazione antinfortunistica da parte del datore di lavoro medesimo.

In conclusione, il datore- garante è tenuto ad adottare tutte le misure necessarie al fine di evitare eventi dannosi, ma solo nella misura in cui questi siano prevedibili e connessi all’attività svolta. La Cassazione ha espressamente negato la responsabilità del datore per l’infortunio del lavoratore causato da una condotta slegata dalle sue mansioni, dal ciclo produttivo e dalle finalità del lavoro, tale da far sorgere un rischio qualificabile come estraneo rispetto a quello connesso alle esigenze della mansione da svolgere.

6. Conclusione

Quindi, in materia di reati omissivi impropri, l’interpretazione più idonea della posizione di garanzia è quella che si pone nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento penale: il principio di legalità, di tassatività, di personalità della responsabilità penale, con la previsione di appositi poteri impeditivi. Al fine di verificare il nesso causale, il giudice deve accertare che l’evento è conseguenza della condotta dell’imputato tramite l’accertamento, al di là di ogni ragionevole dubbio, della sussistenza di tutti gli elementi che compongono il profilo oggettivo e soggettivo del reato. A questo proposito, è illuminate la seguente sentenza della Cassazione, secondo la quale: “la regola di giudizio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, ex art. 533, comma 1, cod. proc. pen., consente di pronunciare sentenza di condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto ricostruzioni alternative costituenti eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili ‘in rerum natura’ ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (…). Il procedimento logico conforme a tale canone legislativo – ispirato alla regola b.a.r.d. (beyond any reasonable doubt) di derivazione anglosassone – deve condurre dunque ad una conclusione caratterizzata da un alto grado di credibilità razionale e, quindi, alla ‘certezza processuale’ che, esclusa l’interferenza di decorsi alternativi, la condotta sia attribuibile all’agente come fatto proprio (…)”[5]

 

 

 

 


[1] Cass. Pen, Sez. Un, 11.09.2002, sent. nr. 30328
[2] Cass. Pen. Sez. IV, 21.12.2018, sent. nr.57937
[3] Secondo le norme del T.U. 81/2008
[4] Cass. Pen. 3.12. 2020, nr. 34344
[5] Cass. pen., Sez. IV, 26.10.2020, sent. nr. 29585

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