Reati tributari e confisca per equivalente: il caso Gubert

Reati tributari e confisca per equivalente: il caso Gubert

Il D.lgs. 231/01 ha introdotto la responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, consentendo il superamento della concezione tradizionale, fondata sul noto brocardo societas delinquere non potest, secondo cui la responsabilità dell’ente sarebbe incompatibile con l’art. 27 c. I Cost.,  atteso che la realizzazione dell’illecito postula un coefficiente di partecipazione psichica dell’agente, il quale non è riscontrabile in soggetti diversi dalle persone fisiche.

Il decreto configura un autonomo titolo di responsabilità di enti forniti di personalità giuridica, società e associazioni anche prive di personalità giuridica che, pur essendo formalmente qualificata come amministrativa, presenta tuttavia diversi punti di contatto con i principi ispiratori della materia penale.

L’art. 2 della norma citata riproduce infatti le garanzie previste dall’art. 25 c. II Cost. in materia di legalità, tassatività e irretroattività del reato e delle pene, stabilendo che la responsabilità dell’ente si configura esclusivamente in presenza di un fatto costituente reato, se la responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto. La responsabilità dell’ente sussiste quindi in presenza di due condizioni, ossia la previsione del fatto commesso dalla persona fisica come reato in base a una legge anteriore e l’inserimento dello stesso nel catalogo dei reati presupposto di cui al D.lgs 231/01.

l’art. 3 recepisce la disciplina di diritto intertemporale enunciata dall’art. 2 cp,  sancendo espressamente il principio di retroattività della lex mitior e la non estensibilità dello stesso alle leggi eccezionali e temporanee. In aggiunta, la norma dispone che la responsabilità non viene meno esclusivamente in caso di abolitio criminis, bensì anche quando il fatto commesso dai vertici dell’ente è espunto dal catalogo dei reati presupposto.

Depone altresì in favore della natura penale della responsabilità dell’ente il fatto che il relativo accertamento sia demandato al giudice penale che, ai sensi dell’art. 34 del D.lgs. 231/01, applica, oltre alla disciplina speciale di cui al detto decreto, le norme contenute nel Codice di procedura penale, in quanto compatibili.

L’art. 9 enuncia il catalogo delle sanzioni applicabili all’ente, di natura pecuniaria o interdittiva, cui si aggiunge la confisca del prezzo o del profitto del reato, che e’ sempre disposta con la sentenza di condanna, anche per equivalente, secondo il disposto dell’art. 19.

L’istituto da ultimo citato ha recentemente dato corso a un contrasto giurisprudenziale, relativo all’operatività della confisca per equivalente del profitto di reati tributari commessi nell’interesse dell’ente, il quale è stato recentemente composto dalle Sezioni unite, con l’importante pronuncia resa nel caso Gubert.

La vicenda riguardava il reato di omesso versamento IVA, di cui all’art. 10 ter D. lgs. 74/2000, commesso dal legale rappresentante di una società, per il quale veniva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di un immobile appartenente a detto soggetto.

In particolare, si è posta la questione dell’operatività della confisca obbligatoria ex art. 322 ter cp nei confronti dell’ente, estesa ai reati tributari dalla L. n. 244/2007, stante l’inapplicabilità dell’art. 19 D.lsg. 231/01 agli illeciti fiscali, che non sono inseriti nel catalogo dei reati presupposto di cui al citato decreto.

Sul punto, un primo orientamento ritiene applicabile la misura ablatoria nei confronti dell’ente, atteso che quest’ultimo non può considerarsi terzo estraneo al reato, allorchè l’illecito tributario sia stato commesso dall’amministratore della società e i relativi proventi siano rimasti nella disponibilità di essa.

Una tesi di segno opposto, viceversa, propende per la non confiscabilità dei beni di proprietà dell’ente in quanto, diversamente opinando, si avrebbe un’applicazione analogica in malam partem dell’art. 19 D. lgs. 231/01, atteso che, come anticipato, i reati tributari non sono contemplati nel catalogo dei reati presupposto di cui alla norma citata. Ne deriva, secondo tale tesi, la limitazione dell’ambito applicativo del provvedimento ablatorio ai soli casi in cui la veste societaria costituisca uno schermo fittizio, fraudolentemente utilizzato dall’amministratore per farvi confluire i proventi dei propri illeciti fiscali.

Per una migliore comprensione della decisione con cui il conflitto è stato composto, giova preliminarmente ricostruire la nozione di profitto del reato accolta dalle Sezioni unite, la quale è frutto della precedente elaborazione giurisprudenziale sul tema.

Il percorso logico argomentativo seguito dai Supremi giudici muove infatti dalla nozione estensiva di profitto del reato offerta dalla sentenza Miragliotta del 2008, relativa alla confiscabilità dei proventi riferibili al reato di concussione.

In particolare, detta sentenza ha precisato che per profitto non si intende esclusivamente il vantaggio economico direttamente consequenziale al reato, bensì anche gli acquisti effettuati con il denaro illecitamente conseguito, purchè vi siano elementi che lo riconducano con certezza all’attività criminosa perpetrata.

Tale definizione è stata ulteriormente estesa dalla pronunzia in commento, a mente della quale il profitto dell’illecito è identificabile con qualsiasi vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato, il quale può consistere anche in un risparmio di spesa, come il mancato pagamento di un tributo, degli interessi e delle sanzioni conseguenti all’accertamento della violazione di norme fiscali.

Ne deriva che, qualora il profitto sia costituito da una somma di denaro o altro bene fungibile, se la misura ablativa ha per oggetto un bene acquistato con il denaro proveniente dall’attività criminosa, non si è in presenza di confisca per equivalente, ma di confisca diretta del profitto, atteso che il provvedimento non può ovviamente colpire i medesimi pezzi monetari illegalmente percepiti, bensì inciderà sul valore nominale degli stessi, essendo il denaro un bene per sua natura fungibile e pertanto idoneo ad essere reinvestito.

Ciò posto, risulta evidente che, nel caso che ci occupa, il provvedimento ablatorio non è configurabile in termini di confisca per equivalente, la quale colpisce beni di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato, non legati a quest’ultimo da alcun nesso di pertinenzialità, ma in termini di confisca diretta, in ossequio alla nozione lata di profitto del reato fornita dalla giurisprudenza di legittimità.

Ne consegue l’applicabilità della confisca diretta del profitto del reato ai beni rimasti nella disponibilità dell’ente, atteso che quest’ultimo non può ritenersi estraneo al reato, purchè detti beni siano immediatamente riconducibili alle frodi fiscali perpetrate dai vertici della compagine organizzativa, come gli amministratori o i legali rappresentanti.

Le Sezioni unite giungono a siffatta conclusione valorizzando il disposto dell’art. 6 c. V del D. lgs. 231/01, che consente la confisca del profitto che l’ente ha tratto dal reato, ancorchè sia esclusa la responsabilità dello stesso per carenza dell’elemento soggettivo, consistente nella colpa di organizzazione, dovendosi in ogni caso emendare la perturbazione dell’equilibrio economico derivante dalla commissione del reato presupposto, il quale ha prodotto un’indebita locupletazione a vantaggio dell’ente.

Del resto, si osserva che la confisca per equivalente non può essere disposta nè a norma dell’art. 19 D. lgs. 231/01 perchè, come visto, gli illeciti fiscali non sono contemplati quali reati presupposto della responsabilità dell’ente, nè a norma dell’art. 322 ter cp, atteso che detta disposizione si riferisce esclusivamente all’autore del reato e la persona giuridica non può essere considerata tale, nemmeno a titolo di concorso eventuale, stante l’autonomia del proprio addebito di responsabilità rispetto a quello della persona fisica.

La confisca di valore infatti, per la sua natura eminentemente sanzionatoria, in quanto suscettibile di colpire beni non correlati in alcun modo al reato, soggiace alle garanzie previste dagli artt. 25 c. II Cost. e 7 CEDU, con la conseguenza  che non sarà applicabile oltre i casi espressamente considerati dal legislatore, pena la violazione del divieto di analogia in malam partem.

Alla luce delle considerazioni esposte, può quindi concludersi nel senso che è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro, altri beni fungibili o comunque direttamente riconducibili al profitto del reato tributario commesso dai vertici di una persona giuridica,  quando tale profitto sia rimasto nella disponibilità dell’ente, trattandosi di confisca diretta e non per equivalente.

La confisca per equivalente, viceversa, è limitata ai casi in cui la veste societaria costituisca uno schermo fittizio, utilizzato fraudolentemente dall’amministratore per farvi confluire i proventi dei propri illeciti fiscali, ovvero quando non sia possibile il sequestro di denaro o altri beni fungibili direttamente riconducibili al profitto del reato tributario in capo agli organi della persona giuridica o a persona non estranea al reato, ivi compresa la stessa persona giuridica.


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