Responsabilità civile e danni punitivi

Responsabilità civile e danni punitivi

La responsabilità civile in Italia, ad oggi, si caratterizza per una funzione riparatorio-compensativa di distribuzione del danno in un’ottica di solidarietà sociale, cui fa da sfondo l’art. 2 della Costituzione.

In particolare, la responsabilità civile svolge quattro funzioni fondamentali: quella di reazione all’ illecito dannoso, allo scopo di risarcire i soggetti ai quali il danno è stato recato; quella ripristinatoria dello stato nel quale il danneggiato versava prima di subire il pregiudizio; quella di riaffermare il potere sanzionatorio dello stato; infine, la funzione di deterrente.

Secondo lo schema tradizionale, infatti, il danno deve ricadere sul soggetto che lo ha provocato.

Consolidando il principio “nessuna responsabilità senza colpa”, le varie codificazioni dell’Ottocento e dei primi anni del Novecento hanno individuato il criterio di distribuzione dei rischi nella possibilità di trasferire le perdite dal soggetto sul quale esse sono cadute al soggetto che le ha provocate.

In tal modo, il giudizio di responsabilità non si estendeva ad altri se non ai soggetti immediatamente interessati.

Con l’affermarsi delle teorie solidaristiche, la categoria dei soggetti interessati viene ampliata fino a ricomprendere, non solo il danneggiato e il danneggiante, ma anche coloro che hanno creato un rischio dal quale il danno è derivato e che si ritiene possano addossarsi l’obbligo del risarcimento.

L’attenzione si sposta dunque dall’ autore del danno al soggetto che ha creato il rischio.

A fianco di considerazioni di ordine morale, si affermano così criteri di valutazione di ordine politico ed economico, che investono degli oneri connessi all’ esercizio di attività dannose i soggetti, che ritenuti responsabili, possono ridurre al minimo le probabilità del ripetersi del danno o ne possono contenere le conseguenze, anche sul piano del costo sociale.

Più recentemente, si consolidano anche altri criteri di imputazione.

Ad esempio, si teorizza il criterio di imputazione della responsabilità fondato sulla prevenzione del danno, sulla sua prevedibilità, sulla sua agevole distribuzione tra tutti i consociati.

La categoria dei soggetti interessati dal giudizio di responsabilità si amplia ancor di più, ricomprendendo così tutti coloro che, pur non avendo commesso direttamente il danno ma avendo partecipato con la loro attività a causarlo, sono in grado di assumere l’obbligo risarcitorio e, attraverso il ricorso allo strumento assicurativo, ripartirne le conseguenze tra tutti gli appartenenti ad una determinata categoria.

La funzione della responsabilità civile, dunque, non è tanto la compensazione del danno ma la prevenzione del costo sociale degli incidenti.

Nel nostro ordinamento, nell’ ambito della responsabilità civile, non è prevista l’erogazione di una sanzione ulteriore o maggiore di quella ordinariamente irrogata all’ agente.

Alla responsabilità civile è assegnato il compito di restaurare la sfera del soggetto che ha subito la lesione e ciò vale per qualsiasi danno, compreso il danno non patrimoniale o morale.

Di conseguenza, per il risarcimento, proprio perché non può assumere finalità punitive, si richiede la prova dell’esistenza della sofferenza determinata dall’ illecito, mediante allegazione di concrete circostanze di fatto da cui desumerlo, restando escluso che tale prova possa considerarsi in re ipsa.

Anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con riguardo a un illecito antitrust, ha escluso che il danneggiato possa arricchirsi oltre la misura necessaria per la compensazione del suo patrimonio.

In alcuni ordinamenti, invece, l’istituto dei danni ulteriori, denominati extra-compensativi o punitivi, è conosciuto da tempo.

Per danni punitivi si intendono somme attribuite indipendentemente dal risarcimento, in ragione della condotta particolarmente grave del danneggiante.

Siccome però la deterrenza e la punizione non possono essere quantificate in termini precisi, rivestendo la giuria un ruolo centrale nella fissazione del relativo risarcimento, la misura dei danni punitivi, negli anni, ha raggiunto livelli smisurati.

A fondamento dell’istituto concorre il fatto che l’illecito commesso e il danno che ne è derivato appaiono socialmente riprovevoli e la società avverte la necessità di reagire colpendo l’agente in modo più grave. Di conseguenza, la sanzione non serve solo a soddisfare la vittima ma anche i sentimenti etici diffusi nella collettività.

Per questa ragione si parla, da chi intende introdurre tale istituto anche nel nostro ordinamento, di una forma di pena privata, che si affianca alle pene irrogate dallo Stato per gli illeciti particolarmente gravi.

Il problema dell’ammissibilità dei danni punitivi si è posta nel nostro ordinamento allorché si tratti di riconoscere e dare esecuzione a sentenze straniere, soprattutto statunitensi, che tali danni abbiano comminato.

Sono, infatti, gli Stati Uniti d’America il sistema nel quale i danni punitivi si sono sviluppati ed è per questo che le occasioni del commercio Europa-Usa hanno portato all’ attenzione delle Corti europee il problema della delibazione di sentenze americane di condanna nei confronti di società europee.

La strategia processuale seguita dalle imprese europee convenute in giudizio come potenziali responsabili di fatti illeciti ed esposte quindi alla condanna di danni punitivi, soprattutto quelle medio-piccole che non dispongono di patrimoni aggredibili negli USA, è stata quella di rimanere contumaci e aspettare il danneggiato nella giurisdizione italiana, bloccando il riconoscimento della sentenza straniera di condanna limitatamente al capo dei danni punitivi.

La protezione giuridica italiana, e in generale europea, basata sulla difficile conciliabilità tra ordine pubblico internazionale e danni punitivi, è stata perfetta nell’ assicurare una immunità che veniva però avvertita come transitoria, alla luce dei continui cambiamenti intervenuti nelle figure coinvolte.

In particolare, secondo la giurisprudenza di legittimità l’idea della punizione della sanzione è estranea al risarcimento del danno e al responsabile civile è assegnato il compito di restaurare la sfera del soggetto che ha subito la lesione.

In tal modo la funzione riparatoria, e non anche punitiva, del risarcimento del danno verrebbe a costituire un principio di ordine pubblico, in virtù del quale non potrebbe essere concesso l’exequatur ad una sentenza straniera di condanna a danni punitivi.

Per contro, nel 2012, la Corte ha ammesso che la funzione della responsabilità civile sia anche sanzionatoria.

La funzione sanzionatoria è stata richiamata nell’ accertamento della responsabilità degli amministratori di società, ma precisando che tale funzione debba essere riconosciuta solo in caso di esplicita disposizione di legge.

In particolare, negli ultimi decenni nel nostro ordinamento sono state introdotte disposizioni volte a dare un connotato sanzionatorio al risarcimento.

Ad esempio una certa funzione punitiva del risarcimento che non è il danno punitivo, lo troviamo nel caso di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, quando il giudice impiega il criterio del profitto conseguito dal trasgressore per liquidare il danno subito dal diffamato.

In questo caso la funzione del risarcimento del danno resta prevalentemente riparatoria, ma a questa si affianca anche quella punitivo-preventiva.

La questione dei danni punitivi, nel 2017, è tornata di attualità a seguito del contrasto verificatosi in Cassazione tra le Sezioni riguardo al riconoscimento nell’ ordinamento italiano, ai fini dell’esecutorietà, di una sentenza straniera.

Il caso che ha sollevato la questione traeva origine dall’ accoglimento da parte dell’autorità giudiziaria americana di una domanda di garanzia, azionata da un rivenditore americano di caschi per motocross, contro una società italiana produttrice di caschi, per il riconoscimento di un’ingente somma di denaro a titolo di risarcimento, corrisposta transattivamente dal rivenditore in favore di un motociclista il quale, a causa di un vizio del casco utilizzato, aveva riportato danni patrimoniali in seguito ad un sinistro verificatosi in una gara di moto.

La società americana adiva la Corte d’appello di Venezia al fine di delibare la sentenza e renderla, quindi, esecutiva in Italia ai sensi dell’art. 64 della l. n. 218/1995.

La Corte d’Appello accogliendo la domanda dell’istante società americana, dichiarava efficace ed esecutivo nell’ ordinamento italiano il provvedimento del giudice statunitense.

Inseguito, la società condannata al risarcimento proponeva ricorso per Cassazione, evidenziando la non validità nell’ ordinamento nazionale delle sentenze straniere che riconoscevano i danni punitivi.

Essendo presente un potenziale contrasto sulla questione, la stessa veniva rimessa alle Sezioni Unite.

La pronuncia è particolarmente importante, poiché, partendo dal presupposto che la funzione sanzionatoria assegnata al rimedio del risarcimento del danno “non è incompatibile con l’ordinamento italiano” ha riconosciuto al risarcimento e, più in generale, alla responsabilità civile, una “polifunzionalità” capace di soddisfare gli interessi che vengono in rilievo, andando oltre la tradizionale funzione riparatorio-compensativa del danno subito.

Inoltre, le Sezioni Unite hanno affermato che in tema di delibazione di sentenze straniere, il concetto di ordine pubblico non si identifica con il c.d. ordine pubblico interno e, cioè, con qualsiasi norma imperativa dell’ordinamento civile, bensì con quello internazionale, costituito dai soli principi fondamentali caratterizzanti l’atteggiamento etico-giuridico dell’ordinamento in un determinato periodo storico.

Il riferimento all’ ordine pubblico internazionale è fondato su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzi tutto, dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria.

Se così non fosse, quindi, se l’ordine pubblico internazionale si identificasse con quello interno le norme di conflitto sarebbero in grado di funzionare solo quando conducono all’ applicazione di norme materiali straniere aventi contenuto simile a quelle italiane.

Tuttavia, il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di risarcimento a danni punitivi deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ ordinamento straniero su una norma di legge, poiché altrimenti risulterebbe contraria all’ ordine pubblico ex art. 64 della l. 218/1995.

Infatti, nel nostro ordinamento, ogni prestazione patrimoniale imposta esige una “intermediazione legislativa”, in forza del principio di cui all’ art. 23 Cost., per cui non può ammettersi, in assenza di una legge che lo preveda, l’ingresso generalizzato della figura dei danni punitivi, in quanto riconoscerli significherebbero andare contro il principio di legalità e i corollari di tassatività degli illeciti, prevedibilità e proporzionalità delle conseguenze punitive, alla luce dei principi mutuati dal sistema punitivo penale di cui agli artt. 25-27 Cost., 10 e 117 Cost. e art. 7 CEDU e 49 CFUE.

Inoltre il rischio che, a fronte di illeciti gravi, la liquidazione del danno si faccia carico di sentimenti di vendetta sociale, potrebbe essere ridotto contemplando un limite quantitativo al risarcimento esemplare.

Presidio basilare per l’analisi di compatibilità si desume in ogni caso dall’ art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione relativo ai “Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene”.

La sua applicazione comporta che il controllo delle Corti di appello sia portato a verificare la proporzionalità tra risarcimento riparatorio-compensativo e risarcimento punitivo e tra quest’ultimo e la condotta censurata.

La proporzionalità del risarcimento è uno dei cardini della materia della responsabilità civile.

Particolarmente dibattuta è la portata della decisione delle Sezioni Unite.

Poiché la Corte ha precisato che la curvatura deterrente-sanzionatoria dell’istituto aquiliano non consente ai giudici italiani che pronunciano in materia di danno di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati, taluni commentatori confinano la rilevanza della pronuncia al diritto internazionale privato, cioè all’ exequatur di condanne straniere, mentre l’impianto del nostro sistema di responsabilità civile resterebbe essenzialmente riparatorio, fatta eccezione per singole fattispecie sanzionatorie tassativamente determinate dal legislatore.

Una lettura internazional-privatistica della pronuncia appare però inconciliabile con l’essenza polifunzionale del nostro sistema di responsabilità civile.

Quella compensativa è soltanto una delle funzioni assolte dall’ istituto aquiliano, il quale si dimostra refrattario alla tipicità e alla tassatività, come confermato dalla formulazione aperta dell’art. 2043 c.c., idonea a proteggere situazioni giuridicamente rilevanti, e in quanto tali meritevoli di protezione, che, in concreto, possono essere pregiudicate da un danno ingiusto.


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