Responsabilità professionale in ambito sanitario. Evoluzione normativa

Responsabilità professionale in ambito sanitario. Evoluzione normativa

L’art. 43 co. 3 c.p. definisce il delitto “colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente, e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.

Quella colposa è una forma di responsabilità eccezionale e sussidiaria rispetto a quella dolosa, necessitando di un’espressa previsione legislativa e presupponendo l’assenza di dolo.

La norma citata in apertura, nel prevedere gli elementi strutturali del delitto colposo, richiama sia requisiti di natura psicologica, come l’assenza di volontà dell’evento, sia requisiti di natura normativa, come la violazione di regole cautelari.

In particolare, con riferimento all’assenza di volontà dell’evento, la dottrina ha sottolineato che tale requisito deve essere inteso più precisamente come assenza di volontà del fatto tipico, in tutti i suoi elementi costitutivi. Sempre sul piano dell’elemento conoscitivo, per espressa disposizione legislativa, non vi è incompatibilità tra colpa e previsione dell’evento. Sul tema, infatti, si distingue tra colpa incosciente, quando l’evento non è voluto e nemmeno previsto dall’agente, e colpa cosciente, quando l’evento, pur non essendo voluto neppure a titolo di dolo eventuale, è stato tuttavia previsto dall’agente come conseguenza concretamente possibile della propria condotta. Peraltro, la colpa cosciente costituisce un’aggravante comune per i delitti colposi (art. 61, co. 1, n. 3).

Per quanto concerne il requisito di natura normativa, ossia l’inosservanza di regole cautelari, il codice penale opera un distinguo tra fonti non scritte e fonti scritte. Sul punto, quando l’art. 43, co. 3 c.p. menziona la negligenza, imprudenza o imperizia allude a regole derivate dall’esperienza comune o dall’esperienza tecnica scientifica; quando, invece, richiama l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline si riferisce a regole positive, contenute in una fonte normativa specifica.

Proprio sulla bipartizione fonti non scritte/fonti scritte riposa la tradizionale distinzione tra colpa generica e colpa specifica. La colpa generica, pertanto, presuppone l’inosservanza di regole di diligenza, prudenza e perizia ricavate dall’esperienza della vita sociale, mentre quella specifica si sostanzia nella violazione di una regola prudenziale scritta, che in quanto tale può essere contenuta in “leggi, regolamenti, ordini o discipline”.

Naturalmente, per poter formalizzare un addebito a titolo di colpa in capo ad un individuo non è sufficiente l’inosservanza/violazione di una regola cautelare di condotta, altrimenti si andrebbe a creare una forma di responsabilità oggettiva. Pertanto, è necessario che tale violazione sia ascrivibile al soggetto agente.

Sul tema, assumono rilievo i concetti di prevedibilità ed evitabilità dell’evento. Per prevedibilità si allude alla circostanza che l’evento rappresenti la concretizzazione del rischio che la norma cautelare disattesa mirava ad evitare. Per evitabilità ci si riferisce al fatto che l’evento fosse evitabile osservando quella specifica regola cautelare di condotta che è stata disattesa nel caso concreto.

Sulla scorta di tali considerazioni si può affermare con certezza che affinché l’inosservanza di una regola cautelare sia addebitabile e rimproverabile ad un soggetto è necessario che l’evento fosse da lui prevedibile quale conseguenza della propria condotta e, altresì, evitabile osservando la regola cautelare di condotta disattesa.

Il giudizio di rimproverabilità si distingue a seconda che si parli di colpa comune o colpa professionale. Infatti, la colpa comune prevede un accertamento c.d. ex ante della prevedibilità e della evitabilità dell’evento secondo il criterio dell’”agente modello”. In altri termini, lo standard di diligenza viene ad essere ritagliato su di un insieme di qualità personali, che si presumono esistenti nell’agente concreto in quanto appartenente ad un gruppo sociale preventivamente individuato, ovvero coloro che svolgono la stessa professione, mestiere o attività dell’agente reale. In caso di colpa professionale, il giudizio di rimproverabilità presuppone non soltanto la prevedibilità ed evitabilità dell’evento, ma anche il superamento del c.d. “rischio consentito”, oltre il quale l’attività non può più ritenersi autorizzata, divenendo illecita.

Proprio nell’ambito della colpa professionale assume notevole rilievo quella medica. Il principale problema nell’accertamento della colpa dell’esercente la professione sanitaria è quello di trovare una disciplina che contemperi, con un equo punto di equilibrio, contrapposte esigenze, quali la tutela della salute del paziente, il contenimento della spesa pubblica e la salvaguardia della professionalità e serenità dell’operatore sanitario. Dopo alcuni decenni caratterizzati da un incerto contesto giurisprudenziale è intervenuto sul punto il legislatore con il d. l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni dalla l. 8 novembre 2012, n. 189 (c.d. Legge Balduzzi). Nello specifico, con l’art. 3 veniva previsto che, ferma restando la responsabilità civile extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.), il medico che, nello svolgimento della propria attività, avesse rispettato le linee guida e le c.d. best practices poteva rispondere dei reati colposi eventualmente commessi solo per colpa grave, mentre non era punibile se avesse agito con colpa lieve. Se da un punto di vista teorico tale Riforma appariva soddisfacente, in sede di applicazione emergevano una serie di problemi di difficile soluzione. Al fine di risolvere le criticità emerse nell’applicazione della Riforma Balduzzi, è stata approvata la l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge Gelli-Bianco) che, da un lato, ha introdotto una dettagliata disciplina delle buone pratiche clinico-assistenziali e delle raccomandazioni previste dalle linee guida (quest’ultime da intendersi come  un condensato delle acquisizioni scientifiche, tecnologiche e metodologiche concernenti i singoli ambiti operativi, reputate tali dopo una accurata selezione e distillazione dei diversi contributi, senza alcuna pretesa di immobilismo e senza idoneità ad assurgere al livello di regole vincolanti) e, dall’altro, ha inserito nella parte speciale del codice penale un nuovo articolo (art. 590 sexies c.p.), rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”, abrogando al contempo l’art. 3 della l. 8 novembre 2012, n. 189.  Nel dettaglio, l’art. 590 sexies c.p. recita “Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.” Dunque, in base all’articolo in commento, la punibilità per morte o lesioni cagionate nell’esercizio della professione sanitaria viene ad essere esclusa al ricorrere di tre condizioni: evento verificatosi a causa d’imperizia; rispetto delle raccomandazioni previste dalle linee guida, come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in mancanza delle buone pratiche clinico-assistenziali; adeguatezza alle specificità del caso concreto delle raccomandazioni previste dalle linee guida.

Operando un raffronto tra la Riforma del 2012 e la successiva del 2017, gli elementi di novità sono rappresentati dal fatto che la più recente Legge Gelli-Bianco, a differenza della Balduzzi, fa espresso riferimento a due soli reati colposi, omicidio colposo (art. 589 c.p.) e lesioni personali colpose (art. 590 c.p.), inoltre, come si può notare da un’attenta lettura dell’art. 590 sexies c.p., viene eliminato qualsiasi riferimento ai concetti di colpa grave/lieve, assumendo rilievo quello di colpa da imperizia, coincidente con un comportamento caratterizzato dall’inosservanza di regole tecniche, causato dall’insufficiente preparazione culturale, per inettitudine personale, per scarsa dimestichezza o per inadeguata applicazione, la quale si traduce in una forma di imprudenza o negligenza qualificata riferita ad attività che richiedono particolari conoscenze tecniche. Ciò significa che laddove l’evento sia riconducibile ad una condotta connotata da negligenza o imprudenza, la norma non troverà applicazione e l’esercente la professione sanitaria sarà punibile sulla base dei tradizionali canoni di accertamento della colpa, non potendo beneficiare della nuova area di non punibilità legata al rispetto delle linee guida.

Un ultimo profilo meritevole di analisi è quello relativo all’ambito applicativo delle Legge Gelli-Bianco. Infatti, analizzando l’art. 590 sexies c.p. emerge, quantomeno sotto il profilo letterale, una contraddizione nella parte in cui viene esclusa la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria in relazione ad eventi che si siano verificati a causa di imperizia qualora egli abbia rispettato le raccomandazioni contenute nelle linee guida adeguate alle specificità del caso concreto. Effettivamente l’evento non può essere causato da imperizia se sussiste quel rispetto delle linee guida e se le stesse risultano adeguate alle specificità del caso concreto. Proprio sul tema si sono succedute numerose e divergenti pronunce giurisprudenziali. Il contrasto è stato successivamente composto da un articolato intervento delle Sezioni Unite (Cass. Pen. Sez. Un., 22/02/2018, n. 8770), secondo le quali l’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica nelle seguenti ipotesi: se l’evento si è verificato per colpa, anche lieve, da negligenza o imprudenza; se l’evento si è verificato per colpa, anche lieve, da imperizia sia nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione dell’atto medico quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee guida o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali sia nell’ipotesi di errore rimproverabile nella individuazione e nella scelta di linee guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alle specificità del caso concreto; se l’evento si è verificato per colpa, soltanto grave, da imperizia nell’ipotesi di errore rimproverabile nell’esecuzione, quando il medico, in detta fase, abbia comunque scelto e rispettato le linee guida o, in mancanza, le buone pratiche che risultano adeguate o adattate al caso concreto, tenuto conto altresì del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico. In conclusione, le Sezioni Unite confermano la mancata operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 590 sexies c.p. laddove vi siano condotte connotate da negligenza o imprudenza e, allo stesso tempo, nei casi di imperizia reintroducono una gradazione della colpa, distinguendo, come visto sopra, casi e responsabilità.


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