Ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: l’alternativa per il recupero dei crediti dei privati verso la Pubblica Amministrazione

Ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: l’alternativa per il recupero dei crediti dei privati verso la Pubblica Amministrazione

Le persone fisiche e le imprese si trovano – troppo spesso – impossibilitati rispetto alla possibilità di ottenere il ristoro di quanto a loro dovuto da parte della Pubblica Amministrazione.

Infatti, troppo di frequente accade che i soggetti privati, anche muniti di un titolo esecutivo valido ed efficace, non riescano nel concreto a riscuotere i crediti vantati verso Regioni, Province, Comuni, ASP, Agenzia delle Entrate, municipalizzate e via discorrendo.

Le ragioni di tale impasse sono svariate; ad esempio, il soggetto di diritto pubblico potrebbe essere sfornito di fondi, oppure tali fondi potrebbero risultare vincolati ovvero, ancora, la burocrazia e la mala amministrazione potrebbero comportare ritardi ed inadempimenti.

Per tali ragioni non bisogna dimenticare che lo Stato italiano è firmatario della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e -proprio in virtù della giurisprudenza della Corte di Strasburgo- risponde direttamente dei ritardi e/o degli inadempimenti della Pubblica Amministrazione intesa in un senso alquanto ampio.

Ciò posto, se la persona fisica e/o giuridica di diritto privato non ottiene tempestiva tutela dei propri diritti economici può adire, anche cumulativamente alla giustizia interna, la Corte di Strasburgo per l’ottenimento del quantum vantato.

La Corte infatti, previa dichiarazione di ammissibilità e fondatezza della pretesa, condanna direttamente lo Stato italiano (e non la singola pubblica amministrazione ritardataria e/o inadempiente!) a risarcire la pretesa dovuta nei riguardi del soggetto privato.

Tale assunto è desumibile dal combinato disposto dell’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (che tutela il diritto a un equo processo anche in materia civile) e dell’art. 1 del Protocollo addizionale (che tutela il diritto di proprietà).

Si specifica, per completezza di esposizione, che le decisioni della Corte sono improntate su un sistema di “common law” ovvero di precedenti giurisprudenziali vincolanti.

La Corte di Strasburgo (in maniera costante!) dispone che “l’esecuzione di una sentenza, emessa da una qualunque autorità, deve essere considerata come parte integrante del «processo» ai sensi dell’articolo 6 della Convenzione, in quanto il diritto ad un tribunale sarebbe fittizio se l’ordinamento giuridico interno di uno Stato membro permettesse che una decisione giudiziaria definitiva e obbligatoria non fosse applicata a scapito di una delle parti. Pertanto, la mancata esecuzione di un decreto ingiuntivo di pagamento priva di ogni effetto utile il diritto di accesso a un tribunale e, di cui all’articolo 6, comma 1, CEDU, viola altresì il diritto al rispetto dei propri beni protetto dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione” (CEDU, 17.11.2011, Ventorino c. Italia; 4.10.2018, Therapic Center Srl e altri c. Italia).

In virtù di quanto testè esposto, dinanzi la CEDU può essere richiesto il riconoscimento sia del danno patrimoniale (costituito dal credito, dagli interessi nonché dalle spese sostenute per ottenere un decreto ingiuntivo o una sentenza esecutiva) che del danno morale (dipendente del patimento per la violazione del diritto di proprietà subito).

In definitiva, per i soggetti privati -sia persone fisiche che giuridiche- che vantano crediti nei riguardi della P.A. il ricorso alla Corte di Strasburgo rappresenta una valida alternativa (quasi certa!) di ottenere, in tempi pressoché brevi, il dovuto ristoro direttamente da parte dello Stato per i ritardi e/o gli inadempimenti della “Cosa pubblica” intesa in un’accezione molto ampia.a


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Avv. Luigi Salvatore Falco

Laurea magistrale in Giurisprudenza con Lode - UNICAL Dottorato internazionale di Ricerca - UNIBG Master II livello Diritto e processo Tributario - PEGASO Master II livello Diritto del Lavoro e Previdenza - PEGASO

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