Rifiuto del proprietario del veicolo di fornire le generalità del guidatore, sanzioni?

Rifiuto del proprietario del veicolo di fornire le generalità del guidatore, sanzioni?

Con sentenza n. 12218 del 27 febbraio 2018, la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, si è occupata di chiarire in quali casi, a fronte delle richieste della Polizia Municipale, è legittimo il rifiuto del proprietario del veicolo di comunicare le generalità di colui che era guidatore al momento dell’infrazione contestata, con conseguente esclusione della violazione dell’articolo 126 bis del Codice della Strada.

Da una parte la posizione del Comune ricorrente, che si rifaceva al seguente e consolidato principio di diritto: “in tema di violazioni alle norme del codice della strada, il proprietario di un veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti della P.A. o dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali affida la conduzione e, di conseguenza, a comunicare tale identità all’autorità amministrativa che gliene faccia legittima richiesta, al fine di contestare un’infrazione amministrativa”.

Dall’altra la posizione del proprietario del veicolo resistente, condivisa dal Supremo Consesso di legittimità.

La Corte di Cassazione, infatti, senza negare la validità dell’orientamento richiamato, ha tuttavia ritenuto necessario un chiarimento dello stesso, facendo leva sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 165 del 2008, le cui implicazioni interpretative non erano state pienamente prese in esame dal filone esegetico formatosi in materia.

In particolare, emerge quanto il rifiuto opposto dal proprietario debba essere valutato diversamente a seconda della sua natura: qualora all’origine del comportamento renitente vi fosse la mera volontà di contrastare l’accertamento degli Organi di Polizia (cosiddetto “rifiuto della condotta collaborativa”), allora la sanzione sarebbe legittimamente irrogabile; quando, invece, non vi fosse alcuna alternativa alla dichiarazione “negativa”, poiché fondata sulla reale impossibilità di risalire all’effettivo guidatore del veicolo, allora la condotta del proprietario non sarebbe sanzionabile.

Nel caso in esame si era verificata proprio questa seconda situazione, così come era stato accertato nei giudizi di merito precedenti: il proprietario del veicolo non era in grado di riferire quale dei suoi famigliari fosse alla guida del veicolo il giorno dell’infrazione contestata, avvenuta circa 4 mesi prima della notifica del verbale di accertamento.

Diversamente opinando, sostiene la Corte, l’applicazione dell’articolo 126 bis C.d.s. si fonderebbe su una presunzione iuris et de iure di responsabilità incompatibile con l’art.24 della Costituzione, poiché si tradurrebbe in una lesione del diritto di difesa, in quanto impedirebbe in toto qualsiasi possibilità di provare le circostanze giustificative alla base della propria condotta.

Viene così sancito il seguente principio di diritto: “Ai fini dell’dell’applicazione dell’art. 126 bis C.d.s. occorre distinguere il comportamento di chi si disinteressi della richiesta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, non ottemperando, così, in alcun modo all’invito rivoltogli (contegno per ciò solo meritevole di sanzione) e la condotta di chi abbia fornito una dichiarazione di contenuto negativo, sulla base di giustificazioni, la idoneità delle quali ad escludere la presunzione relativa di responsabilità a carico del dichiarante deve essere vagliata dal giudice comune, di volta in volta, anche alla luce delle caratteristiche delle singole fattispecie concrete sottoposte al suo giudizio, con apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità”.


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Gianlorenzo Franceschini

Gianlorenzo Franceschini nasce nel 1990 e si laurea in Giurisprudenza nel 2015, con il voto di 110/110, scrivendo una tesi in Economia dell'impresa e dell'innovazione dal titolo "Barriere all’Innovazione. Il loro impatto sulla performance dell’impresa e le strategie di intervento". Perfeziona, in seguito, anche la pratica forense in uno studio legale, occupandosi prevalentemente di diritto civile e di diritto di famiglia, ed il tirocinio formativo di cui all'articolo 73 D.L. 69/13 presso la Procura della Repubblica di Pesaro. Nell'ottobre del 2018 consegue l'abilitazione all'esercizio della professione forense.

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