Rifiuto illegittimo della prestazione lavorativa: permane il diritto alla retribuzione

Rifiuto illegittimo della prestazione lavorativa: permane il diritto alla retribuzione

Corte di Cassazione, sez. Lav., ord. 21 aprile 2020, n. 7977

La Suprema Corte con la pronuncia in commento, rigettando il ricorso proposto dall’Azienda datrice di lavoro avverso la sentenza della Corte d’Appello di  Napoli che aveva ingiunto il pagamento della retribuzione per il mese di febbraio 2014 in favore di una dipendente sul presupposto della permanenza del rapporto di lavoro tra le parti anche dopo il trasferimento, richiama un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale al dipendente spetta la retribuzione non solo nelle ipotesi di prestazione effettivamente eseguita ma anche quando il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi (rifiuto, senza motivo legittimo, di ricevere la prestazione) nei confronti del dipendente.

In particolare, nei trasferimenti d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., il pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente a detto accertamento ed alla messa a disposizione delle energie lavorative in favore dell’alienante da parte del lavoratore, non produce effetto estintivo dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa in quanto l’invalidità del trasferimento determinerebbe l’instaurazione di un diverso ed autonomo rapporto di lavoro, in via di mero fatto, con il cessionario. Infatti, soltanto un legittimo trasferimento d’azienda – conforme al modello legale – comporta la “continuità del rapporto di lavoro” e consente la sostituzione del contraente senza il consenso del ceduto. Quanto sopra viene meno se, come nel caso di specie,  il trasferimento venga ritenuto invalido.

Accertata l’invalidità della vicenda traslativa, il rapporto con il destinatario della cessione appare instaurato in via di “mero fatto”.  Così costruito ed apparentemente unico, il rapporto si manifesta invece come “duplice”: il primo nei confronti dell’originario datore di lavoro ed il secondo nei confronti del soggetto effettivo utilizzatore.

Pertanto, al dipendente spetta la retribuzione tanto se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, sia se il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei suoi confronti, perché, una volta offerta la prestazione lavorativa al datore di lavoro giudizialmente dichiarato tale, il rifiuto di questi rende giuridicamente equiparabile la messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente alla utilizzazione effettiva, con la conseguenza che il datore di lavoro ha l’obbligo di pagare la controprestazione retributiva.

 


Ultimi orientamenti giurisprudenziali conformi: Cass. n. 17784/2019; Cass. n. 21158/2019;  Cass. n. 5998/2019.

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