Riflessioni in punto di autotutela decisoria, fondamento e consistenza del potere pubblico

Riflessioni in punto di autotutela decisoria, fondamento e consistenza del potere pubblico

Sommario: 1. Nozione – 2. Presupposti – 3. Autotutela doverosa – 4. Forme giurisprudenziali di autotutela doverosa – 5. Dubbi: ipotesi normativa di autotutela doverosa? – 6. Teoria contraria all’ammissibilità di una forma di autotutela doverosa

1. Nozione

L’autotutela decisoria è un potere amministrativo di secondo grado teso a eliminare un precedente atto amministrativo che, per effetto del contrasto con una norma di legge ovvero per effetto di una rivalutazione o sopravvenienza di un interesse pubblico, si pone in contrasto con l’interesse pubblico originario, alla cui soddisfazione l’emanato atto amministrativo era teso.

L’autotutela amministrativa, quindi, postula l’esistenza di una norma attributiva del potere amministrativo, idonea a qualificare l’agere della P.a. come pubblico.

Viceversa, in assenza di una base normativa, l’amministrazione incorrerebbe nel generale divieto di autotutela privata, che permea integralmente l’ordinamento italiano.

Acclarata la necessità di una base normativa, questa è costituita dagli artt. 21 quinquies e 21nonies della legge 241/90.

Le disposizioni normative, rispettivamente, disciplinano due manifestazioni del potere di autotutela: la revoca e l’annullamento.

2. Presupposti

Individuate le due forme di esercizio del potere di autotutela amministrativa, esso, quale che sia la sua forma di manifestazione, postula la presenza di taluni presupposti per essere esercitato.

In particolare, trattandosi di un potere di secondo grado, è necessario che pre-esista un atto amministrativo, destinatario del provvedimento di ritiro.

In secondo luogo, è necessario che l’atto amministrativo, oggetto del futuro ritiro, si ponga in contrasto con l’interesse pubblico.

L’apprezzamento di tale contrasto differisce a seconda che si versi in un’ipotesi di revoca ovvero di annullamento.

Nel primo caso, l’art. 21quinquies prevede che l’amministrazione può revocare un atto amministrativo, a condizione che i suoi effetti perdurino nel tempo, nel caso di rivalutazione dell’interesse originario, il cui soddisfacimento l’atto amministrativo, oggetto del potere di ritiro, era diretto a soddisfare; o nel caso di sopravvenienza di un interesse, nuovo, diverso e predominante rispetto all’interesse sotteso al predetto atto amministrativo.

Viceversa, nel caso contemplato dall’art. 21nonies, il potere di annullamento presuppone che l’atto amministrativo, che si intenda ritirare, si ponga in contrasto l’ordinamento, in termini di invalidità.

La valutazione della presenza dei requisiti, alla cui sussistenza il legislatore subordina l’esercizio del potere di ritiro, manifesta l’ampiezza del potere discrezionale di cui gode l’amministrazione.

Si tratta di una discrezionalità che è connaturata all’essenza del potere di autotutela atteso che detto potere è espressione del principio di buona amministrazione, come tale coperto da una riserva cd. amministrativa in merito all’opportunità del suo esercizio.

Questa valutazione di opportunità è caratterizzata da una ponderazione avente a oggetto gli effetti che l’atto amministrativo ha già prodotto nell’ordinamento e gli effetti che scaturirebbero dall’esercizio del potere di ritiro.

In punto di effetti, in particolare, l’esercizio del potere di ritiro determina la caducazione dell’atto amministrativo su cui insiste, e la conseguente eliminazione della situazione giuridica esistente.

Di conseguenza, l’amministrazione, nell’esercizio del potere amministrativo, non è indifferente alle utilità eventualmente acquisite da parte dei consociati, destinatari dell’atto amministrativo.

In considerazione di queste esigenze, il legislatore, negli artt. 21 quinquiese 21 noniesdella legge 241/90, contempla delle forme di tutela dei privati, operando già a livello normativo un bilanciamento fra interessi contrapposti.

In particolare, attraverso l’art. 21 quinquiessi opera una limitazione, statica e oggettiva, del potere di revoca.

Si prevede, infatti, l’impossibilità di esercitare il potere di revoca nel caso di semplice rivalutazione dell’interesse pubblico originario allorquando l’atto amministrativo, emanato per il suo soddisfo, abbia attribuito al privato un’autorizzazione o un vantaggio economico.

Per tutti gli altri atti amministrativi, che non rientrano nella categoria di quelli concernenti autorizzazioni o vantaggi economici, il legislatore riconosce al privato, pregiudicato dall’esercizio del potere di ritiro, un ristoro economico (art. 21 quinquies, co. 1, ultimo periodo).

Viceversa, avendo riguardo all’art. 21 nonies, il legislatore si limita a offrire esclusivamente i criteri per operare un bilanciamento fra interessi contrapposti, fissando un limite temporale oltre il quale l’atto amministrativo non potrebbe essere annullato.

L’obiettivo perseguito dal legislatore tramite la disposizione in commento è quello di tutelare il cd. affidamento incolpevole.

L’affidamento legittimo o incolpevole è una situazione giuridica, espressione della clausola di buona fede, che si sostanzia nell’affidamento che il destinatario di un atto amministrativo favorevole, che soddisfa il proprio interesse pretensivo attribuendogli un vantaggio, ripone nella stabilità e definitività dell’attribuzione predetta.

Il carattere della stabilità e definitività dell’atto amministrativo, alla luce del regime giuridico che connota la categoria dell’invalidità amministrativa, consegue al decorso di un certo lasso temporale, che varia a secondo del tipo di invalidità (nullità o annullabilità).

Nel momento in cui l’atto amministrativo invalido non viene impugnato da parte del controinteressato nei termini di legge, esso, ancorché in contrasto con l’ordinamento, acquista, in omaggio al principio di certezza dei rapporti giuridici, stabilità e definitività.

Il fattore tempo, che dal punto di vista del privato consiste nella convinzione della stabilità dell’attribuzione, costituisce uno degli elementi costituivi principali della figura giuridica dell’affidamento incolpevole.

Detta convinzione, tuttavia, non è direttamente legata allo scadere del termine processuale di impugnazione, ben potendo la stessa formarsi già in epoca precedente per effetto dell’avanzamento dell’iter procedimentale da parte dell’amministrazione.

Si tratta, quindi, di un elemento dinamico, destinato a irrobustirsi per il trascorrere del tempo.

Accanto al fattore temporale, affinché una posizione di affidamento diventi legittima, come tale tutelabile, è necessario che il privato, che confida nella stabilità dell’attribuzione, versi in buona fede.

In presenza di questi elementi, l’affidamento si definisce legittimo e costituisce un limite all’esercizio del potere di annullamento in autotutela.

Detto limite, tuttavia, non è ostativo al ritiro in autotutela di un atto illegittimo, nonostante il decorso di un notevole lasso temporale.

Esso, invero, determina un irrobustimento dell’onere motivazionale che l’amministrazione deve assolvere in presenza di un esercizio discrezionale del potere.

Alla luce di ciò, l’art. 21 nonies restituisce all’interprete un istituto giuridico altamente elastico, caratterizzato da un’ampia discrezionalità amministrativa, operante sia in punto di an che di quomodo, la cui invasività, tuttavia, è parzialmente temperata da un obbligo di motivazione che diventa tanto più stringente quanto maggiore è il lasso temporale fra l’emanazione dell’atto amministrativo e il successivo atto di ritiro.

Individuata la consistenza, gli effetti e limiti del potere di annullamento in autotutela, occorre soffermarsi su una certa linea di pensiero che riconosce esistere nell’ordinamento giuridico italiano una forma di autotutela cd. doverosa.

3. Autotutela doverosa

Si definisce doverosa l’autotutela quando l’illegittimità del provvedimento non può che determinarne la rimozione, a prescindere da valutazioni comparative tra gli interessi in gioco, dal tempo trascorso dall’adozione dell’atto da rimuovere e dall’eventuale affidamento del privato alla stabilità di quell’atto. Si tratta di casi in cui l’interesse all’eliminazione dell’atto è in re ipsa, risiede cioè nell’esigenza stessa di ripristinare la legalità violata.

In questi casi, non vi è necessità: a) né di esplicitare le ragioni di pubblico interesse sottese all’adozione del provvedimento di annullamento in autotutela;b)né di effettuare un’adeguata valutazione dell’interesse privato coinvolto e destinato ad essere inciso negativamente dall’esercizio del potere officioso; c) né, quindi, di motivare la scelta assunta, non sussistendo alcun momento di discrezionalità da dovere giustificare; d)né di tener conto del tempo trascorso dal momento dell’azione del provvedimento originario.

In relazione al fondamento normativo, la doverosità dell’autotutela, in particolare, discenderebbe dall’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 21 nonies, nella parte in cui il legislatore prevede che l’amministrazione possa rispondere del mancato annullamento del provvedimento illegittimo.

La doverosità dell’autotutela, quindi, discenderebbe dalla presenza di una responsabilità, cui la P.A. incorrerebbe in caso di mancato ritiro.

Affinché si possa incorrere in responsabilità, ex art. 23 Cost., è necessaria la presenza di una regola precettiva che imponga, appunto come doveroso, un dato comportamento.

Così opinando, questa forma di autotutela, ancorché simile a quella discrezionale in punto di effetti, si diversificherebbe in punto di elementi costitutivi: l’autotutela doverosa postulerebbe la presenza di un precetto normativo.

Data la differenza fra forme di autotutela in punto di elementi costitutivi, e la conseguente incompatibilità dell’art. 21 nonies, si è ritenuto che il fondamento di siffatta autotutela fosse ravvisabile nel principio di buona amministrazione.

Si tratta di un principio elastico, costituito da una summa di principi che governano l’agere dell’amministrazione.

Il principio di buona amministrazione si può definire come un principio posto a presidio della concreta soddisfazione dell’interesse pubblico nella sua massima curva di utilità.

Manifestazione di questo principio di buona amministrazione, e più nello specifico di autotutela in forma doverosa, sarebbe l’art. 211 del codice degli appalti.

La disposizione prevede che l’ANAC, nel caso in cui riscontri una grave violazione del codice dei contratti, emette un parere vincolante, al quale, per l’appunto, l’amministrazione è tenuta ad adeguarsi, ritirando l’atto amministrativo illegittimo.

L’art. 211 del codice degli appalti, tuttavia, non costituisce l’unico esempio di istituto ricondotto nell’alveo dell’autotutela doverosa.

4. Forme giurisprudenziali di autotutela doverosa

Tradizionalmente, infatti, la giurisprudenza ha ricondotto a queste ipotesi l’annullamento d’ufficio della concessione edilizia in sanatoria illegittima o l’annullamento del provvedimento anticomunitario.

Di recente, in relazione al ritiro d’ufficio della concessione edilizia in sanatoria illegittima, il Consiglio di Stato ha rimesso all’adunanza plenaria la seguente questione: se, nella vigenza dell’ art. 21-nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, l’annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo, sub specie di concessione in sanatoria, intervenuta ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, debba o meno essere motivata in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico valutato in concreto in correlazione ai contrapposti interessi dei privati destinatari del provvedimento ampliativo e agli eventuali interessi dei controinteressati, indipendentemente dalla circostanza che il comportamento dei privati possa aver determinato o reso possibile il provvedimento illegittimo, anche in considerazione della valenza – sia pure solo a fini interpretativi – dell’ulteriore novella apportata al citato articolo, la quale appare richiedere tale valutazione comparativa anche per il provvedimento emesso nel termine di 18 mesi, individuato come ragionevole, e appare consentire un legittimo provvedimento di annullamento successivo solo nel caso di false rappresentazioni accertate con sentenza penale passata in giudicato (Cons. St. IV, ord. n. 1830/2017).

Il Consiglio di Stato ha, infatti, evidenziato l’esistenza di un orientamento secondo il quale il provvedimento di annullamento di concessione edilizia illegittima è da ritenersi in re ipsa correlato alla necessità di curare l’interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino della legalità violata, atteso che il rilascio del titolo edilizio comporta la sussistenza di una permanente situazione contra legem e di conseguenza ingenera nell’amministrazione il potere-dovere di annullare in ogni tempo la concessione illegittimamente assentita (Cons. St. IV, n. 3660/2017).

Predicare un’autotutela doverosa e necessaria vuol dire consentire l’instaurazione del rito speciale sul silenzio anche in relazione ad una richiesta di ritiro in autotutela di una concessione edilizia in sanatoria non evasa. Trattandosi di attività vincolata, in caso di perdurante inerzia della P.A., il giudice del silenzio potrà accertare la fondatezza della pretesa sostanziale e sostituirsi alla P.A. anche avvalendosi di un commissario ad acta.

Ulteriore ipotesi giurisprudenziale di autotutela doverosa è costituita dal provvedimento anticomunitario.

In passato la giurisprudenza amministrativa aveva ricondotto la fattispecie nell’ambito dell’autotutela doverosa: l’annullamento dell’atto violativo della normativa europea era considerata come adempimento di un obbligo internazionale dello Stato, di fronte al quale non può non recedere ogni altro interesse pubblico o privato alla conservazione dell’atto.

Si affermava che in presenza di un’illegittimità derivante dalla violazione di norme comunitarie, il concreto ed attuale interesse pubblico al ritiro dell’atto amministrativo è da considerare non solo in re ipsa, ma anche prevalente su altri interessi privati militanti a favore della conservazione dell’atto (Fratini M., 816).

In questo senso si colloca la Corte di Giustizia, la quale ha affermato che, in applicazione dell’art. 10 del Trattato, sussiste l’obbligo (ove il diritto interno preveda tale potere) per un’autorità amministrativa di ritornare su un proprio provvedimento confermato in sede giurisdizionale con sentenza passata in giudicato, per tener conto di una sopravvenuta sentenza interpretativa della Corte di Giustizia, favorevole alla parte soccombente verso la p.a. nel precedente giudizio (Corte Giustizia CE 13 gennaio 2004, nel procedimento C-453/00, Kühne & Heitz).

Nonostante tale pronuncia, che, peraltro, è stato provocata da una situazione del tutto particolare, la giurisprudenza non è favorevole a delineare forme di autotutela doverosa, che sfuggirebbero alle maglie dell’art. 21-nonies l. n. 241/1990.

Più di recente, infatti, il Consiglio di Stato ha ritenuto che, anche nel caso in cui l’invalidità di un atto amministrativo nazionale consista nella sua contrarietà al diritto dell’Unione europea, la valutazione se attivare o meno i poteri di autotutela resta di carattere discrezionale.

5. Dubbi: ipotesi normativa di autotutela doverosa?

Dubbi in ordine alla doverosità o meno dell’autotutela si sono posti in relazione agli artt. 108, comma 1, lett. d) e 176, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 50/2016. Queste norme sembrano introdurre nuove figure di autotutela conseguente ad ipotesi di invalidità comunitaria e, nel testo precedente l’introduzione del correttivo al codice, il potere previsto dall’art. 176 in tema di concessione era a carattere doveroso, diversamente da quello di cui all’art. 108.

Il Consiglio di Stato, in sede consultiva, ha evidenziato che il potere di autotutela ha tradizionalmente natura facoltativa e ha, quindi, auspicato che il legislatore, in sede di correttivo, uniformasse la disciplina, trasformando il potere di cui all’art. 176 in potere facoltativo, come quello contemplato dall’art. 108.

Il legislatore, con il d.lgs. n. 56/2017, correggendo il codice dei contratti pubblici, ha seguito le indicazioni del Consiglio di Stato: anche l’ipotesi di cui all’art. 176 è divenuta facoltativa.

Ne deriva, pertanto, che, allo stato, sembra che non ci sia spazio per ipotesi di autotutela doverosa.

6. Teoria contraria all’ammissibilità di una forma di autotutela doverosa

Partitamente, si è sostenuta l’inammissibilità di una forma di autotutela doverosa in assenza di una base normativa.

L’azione della pubblica amministrazione, infatti, si connota come pubblica soltanto in presenza di una norma attributiva del potere amministrativo; diversamente, la P.A. agisce iure privatorum.

L’assenza di una base normativa, cui ricondurre l’autotutela in forma doverosa, determina che detto esercizio di autotutela, non potendosi inscrivere nelle maglie potere pubblico, deve essere ascritto al potere privatistico.

Nell’ordinamento Italiano, l’autotutela privata, qual è anche quella forma doverosa per le ragioni in precedenza evidenziate, è, in linea generale vietata, salva la presenza di una norma eccezionale (artt. 54 c.p.; 2045 c.c.; 77 Cost.).

In assenza di una norma siffatta, l’autotutela in esame sarebbe un fatto illecito poiché in contrasto con il principio sotteso all’art. 2907 c.c.

In secondo luogo, si è evidenziata l’estraneità concettuale del potere di autotutela, come disciplinato dal legislatore, a una sua forma doverosa.

Secondo un argomento letterale, l’art. 21nonies non contiene alcuna espressione linguistica da cui può trarsi l’esistenza di un dovere.

Né questo dovere potrebbe discendere dall’inciso dell’ultimo periodo dell’art. 21nonies, co. 1, nella parte in cui il legislatore riconosce una responsabilità della P.A. per mancato annullamento del provvedimento illegittimo, atteso che la responsabilità sussiste ogni qual volta venga emanato un provvedimento illegittimo e il privato, terzo interessato, chieda esclusivamente il risarcimento del danno subito a prescindere dall’annullamento.

Secondo un argomento sistematico, ancora, la collocazione normativa dell’art. 21nonies nella legge 241/90, lascia trasparire l’intenzione del legislatore di attribuire un potere di ritiro esclusivamente in forma discrezionale.

In tutte le norme del capo IV-bis, infatti, si utilizzano espressioni linguistiche che rinviano a facoltà, intesa in senso atecnico, non anche a doveri-obblighi.

Infine, neppure avendo riguardo all’art. 211 codice dei contratti pubblici potrebbe riconoscersi un’autotutela in forma doverosa atteso che la disposizione non contempla una sanzione per la P.A. che non ottemperi al parare, ma facoltizza l’ANAC ad agire in giudizio.

D’altronde, opinare diversamente, imporrebbe di prendere in considerazione gli effetti, che una forma di potere siffatto, produrrebbe sui privati.

Dal riconoscimento dell’esistenza di un esercizio in forma doverosa del potere di autotutela deriva, in punto di tutela, prescindendo dalle canoniche forme di tutela avverso il provvedimento, l’obbligo dell’amministrazione di rispondere all’istanza del privato, tesa a compulsarne l’esercizio, riconoscendo una pedissequa responsabilità nel caso di inerzia.

Inerzia, peraltro, che, a fronte del citato dovere di provvedere, andrebbe qualificata come “inadempimento”, attribuendo al privato il diritto di agire in giudizio per coercirne l’esercizio attraverso lo strumento del ricorso avverso il silenzio ex art. 31 e 117 c.p.a.

Una siffatta tutela, tuttavia, si presta a un uso distorto: il privato, infatti, potrebbe non impugnare il provvedimento, che assume illegittimo, e, decorsi i termini di impugnazione, compulsare l’esercizio del potere di ritiro in autotutela che, in quanto doveroso, esporrebbe l’amministrazione pubblica a possibili istanze risarcitorie.

Il possibile abuso del meccanismo descritto è alla base dell’orientamento giurisprudenziale che ritiene che la preclusione del ricorso avverso il silenzio-inadempimento, onde ottenere l’intervento dell’amministrazione in autotutela, rinviene la propria rationell’esigenza di evitare l’aggiramento della regola del termine decadenziale di impugnazione dell’atto amministrativo (T.A.R. Campania, (Salerno) I, 21 marzo 2017, n. 507).

Alla luce di quanto sopra, sembra doversi concludere nel senso che l’unica forma di autotutela, ammessa dall’ordinamento giuridico e dalla giurisprudenza maggioritaria, è quella discrezionale e ciò in considerazione del dato normativo, della sua collocazione, e della ratio legis.


Biografia
Fratini M., Manuale sistematico di diritto amministrativo, i sistemi del diritto, 2018, Dike editore
Chieppa R., Codice del processo amministrativo, i codici commentati, 2018, Giuffrè editore
Giovagnoli, L’atto amministrativo in contrasto con il diritto comunitario: il regime giuridico e il problema dell’autotutela decisoria, in Dir e form., 2002, 1635
Goisis, L’annullamento d’ufficio dell’atto amministrativo per illegittimità comunitaria, in Dir. amm., 2010
Guacci, Il rito in materia di silenzio della p.a., in Trattato di diritto amministrativo, diretto da Santaniello, XLII, Il nuovo diritto processuale amministrativo, Cirillo (a cura di), 2014

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Nato a Reggio Calabria nel 1989, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nel maggio 2012, presso l'Università degli Studi di Reggio Calabria, discutendo una tesi in diritto civile dal titolo la "Destinazione patrimoniale nell'interesse della famiglia", relatore Prof. Sebastiano Ciccarello. Nell'ottobre 2014 ha conseguito il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Reggio Calabria discutendo una tesi in diritto penale dal titolo la "Natura giuridica delle linee guida e grado della colpa nella giurisprudenza successiva al decreto Balduzzi", relatore Prof. Avv. Patrizia Morello. Ha svolto la pratica forense presso lo studio legale dell'Avv. Mario De Tommasi, foro di Reggio Calabria, presso cui ha approfondito lo studio del diritto amministrativo. Ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato nell'ottobre 2015; da allora svolge la professione forense, interessandosi di questioni giuridiche afferenti il ramo del diritto civile e del diritto amministrativo.

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