Sanità calabrese. Illegittima la legge per l’erogazione dei servizi sanitari

Sanità calabrese. Illegittima la legge per l’erogazione dei servizi sanitari

La Corte costituzionale con sentenza n. 251 depositata il 26 novembre 2020 dichiara l’illegittimità costituzionale della Legge della Regione Calabria n. 34/2019 in materia di erogazione dei servizi sanitari.

La vicenda. Il Presidente del Consiglio dei Ministri per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato, patrocinatore ex lege, ricorre innanzi la Consulta per l’incostituzionalità della Legge della Regione Calabria rubricata Provvedimenti urgenti per garantire l’erogazione dei servizi sanitari in ambito regionale.

Il ricorrente, dopo aver rappresentato la stipulazione di un Accordo per il Piano di rientro dal disavanzo nel settore sanitario (17 dicembre 2009) e la nomina del Generale Saverio Cotticelli a Commissario ad acta (7 dicembre 2018) con il compito di razionalizzare e contenere la spesa sanitaria calabrese, denuncia l’illegittimità costituzionale della Legge Regionale per violazione dell’art. 120 co. II Cost. e, quindi, del divieto di interferenza con le funzioni commissariali, dell’art. 81 e 117 co. III Cost. per difetto di copertura finanziaria e violazione dei principi di coordinamento di finanza pubblica. L’Avvocatura dello Stato denuncia altresì l’illegittimità dell’art. 1 L.R. Calabria 34/2019 in riferimento all’art. 117 co. II lett. l) Cost. per contrasto con la legislazione statale di riferimento.

Rimasta contumace la Regione Calabria, l’incidente è deciso con declaratoria di illegittimità costituzionale dell’intera Legge.

La motivazione della Corte costituzionale. La Corte respinge il primo motivo di ricorso per l’inapplicabilità al caso de quo dell’art. 120 co. II Cost., posta l’incompetenza regionale in ordine alle disposizioni impugnate e la rilevanza del principio costituzionale di surroga del Legislatore centrale a quello regionale solo in caso di materia riservate al secondo.

Viceversa assumono rilievo le altre violazioni costituzionali denunciate dalla Presidenza del Consiglio.

Segnatamente, la Corte rileva la lesione ai principi: ex 117 co. II lett. l) Cost. di competenza esclusiva dello Stato nell’ordinamento civile posto per altro che l’art. 36 D. L.vo 165/2001 regolamenta le tipologie di contratti sottoscrivibile dalla P.A. e demanda ai CCNL per quanto non previsto (la Corte stigmatizza anche la reviviscenza di contratti già scaduti al posto di strumenti di flessibilità); ex 117 co. III Cost. di coordinamento della finanza pubblica rilevante in materia di assunzione del personale del comparto sanità poiché incide sulla generale spesa per il personale (proprio per tale profilo la precedente normativa regionale subisce declaratoria di incostituzionalità con sentenza 18/2013); ex 81 Cost. poiché le misure normative in esame implicano effetti finanziari a fronte dell’assenza di elementi da cui desumere l’assenza di ripercussioni per il bilancio regionale(la Consulta accerta l’esistenza di un deficit di bilancio sia per il 2018 sia per il 2019).

Breve riflessione sul rapporto Stato – Regione e sul rispetto dei principi incidenti sulla finanza pubblica. La sentenza della Corte è connotata da notevole tecnicismo, ma un dato emerge con notevole irruenza: la Consulta assume sempre più un ruolo di compositore di crisi istituzionali, crescenti dalla riforma del titolo V.

La situazione potrebbe essere in realtà il sintomo dell’inadeguatezza delle Istituzioni a seguire i celeri mutamenti della realtà sociale. La conseguenza sarebbe il disfacimento dello Stato [1]. Ma vi è più. Nell’attuale situazione globale, anche la mera debolezza politico-istituzionale potrebbe avere implicazioni nel governo della finanza pubblica: la frammentazione del quadro politico e le frizioni tra le parti sociali conducono inevitabilmente a distogliere lo sguardo da obiettivi comuni di prosperità del cittadino [2].

Nel caso oggetto di intervento della Consulta assumono spiccata rilevanza proprio i principi in materia di finanza pubblica tanto cari sia al Costituente sia al legislatore unionale.

Le esigenze di stabilità – non solo finanziaria, ma anche istituzionale – sono avvertite sin dall’epoca pre-repubblicana. Invero, l’art. 43 R.D. 2440/1923 introduceva il principio della copertura finanziaria della spesa pubblica.

Il potere Costituente ebbe il merito di comprendere l’importanza del profilo finanziario di uno Stato sociale e liberale e la strumentalità delle risorse economiche alla tutela delle libertà fondamentali: da qui la costituzionalizzazione del principio de quo. L’art. 81 Cost. vincolava, nella sua originaria formulazione, il Legislatore ad indicare i mezzi per far fronte ad eventuali nuove o maggiori spese. Fin dalla discussione del principio traspare nei lavori dell’Assemblea costituente la necessità di una rottura con i precedenti sistemi. Il sistema finanziario era visto infatti come la chiave del potere esecutivo (Bruno Corbi, 17 settembre 1947, seduta pomeridiana). Come numerosi principi, anche la copertura finanziaria delle riforme era frutto di un compromesso storico tra le varie ideologie rappresentate dal Costituente per cercare di addivenire non già ad una sintesi, bensì all’estrazione di quanto di meglio potesse dare la partecipazione italiana.

Le pressioni delle istituzioni unionali hanno condotto ad una struttura ancora più rigida dell’art. 81 con l’obbligo costituzionale di assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese del bilancio. Ciò sebbene la Consulta già nella vigenza dell’originario art. 81 Cost. sanzionava Leggi regionali lesive del sistema contabile dello Stato e del principio di coordinamento della finanza pubblica [3]

Proprio alla luce delle considerazioni che precedono il Legislatore è intervenuto per normare anche i bilanci degli Enti istituzionali non economici.

In particolare ad oggi assume rilievo il D.L.vo 118/2011 applicabile alle Regioni (art. 1) e recante principi (all. 1) cui gli Enti devono attenersi (art. 3). Assumono particolare rilevanza – per la presente trattazione in esame – i principi di prudenza (con la conseguenza, tra l’altro, della non contabilizzazione delle componenti positive non realizzate) e di coerenza al fine di assicurare nesso logico tra programmazione, precisione, gestione e rendicontazione.

Orbene tali principi si collocano quale natura riflesso dei valori costituzionali in materia di finanza pubblica.

Resta da interrogarsi, e questa non può esserne la sede di discussione, sulle motivazioni che hanno indotto il Legislatore costituzionale alla riforma dell’art. 81 Cost. e sull’opportunità di un intervento della Consulta cassante una legge in materia sanitaria proprio in un contesto storico segnato dall’emergenza pandemica dovuta all’epidemia mondiale da SARS-CoV-2 (e dalle difficoltà che la Calabria affronta per via degli scandali in materia di Sanità regionale). Su tal ultimo aspetto, pare opportuno tuttavia evidenziare che i giudici costituzionali hanno rappresentato un baluardo a tutela della finanza pubblica che – mai come ora nella storia repubblicana – rappresenta lo strumento fondamentale di attuazione dei principi costituzionali.

 

 

 


[1] S. Romano, La crisi dello Stato, Milano, 1969, 23.
[2] G. Pitruzzella, Chi governa la finanza pubblica in Europa? in Quaderni Costituzionali 1/2012, 43 ss.
[3] F. Gallo, Attualità e prospettive del coordianamento della Finanza Pubblica alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, in Rivista AIC, 2/2017.

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