Sanitari, esenzione vaccino anti-Covid: va indicata la specifica patologia

Sanitari, esenzione vaccino anti-Covid: va indicata la specifica patologia

Cons. Stato, sez. III, sent., 20 dicembre 2021, n. 8454

L’art. 4, comma 1, d.l. n. 44 del 1° aprile 2021, conv. in legge n. 76 del 28 maggio 2021, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione del contagio da SARS-CoV-2 mediante previsione di obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario”, ha introdotto specifiche misure finalizzate a garantire che l’esercizio delle funzioni sanitarie da parte dei relativi operatori avvenga in modo da minimizzare il rischio per la salute dei pazienti che entrino con essi in contatto, con particolare riguardo a quelli affetti da patologie tali da renderli particolarmente vulnerabili al rischio infettivo ed alle conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla contrazione della malattia respiratoria acuta denominata Covid-19.

– Il legislatore ha previsto, in particolare, che “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati”.

– L’operatività di tali misure, inizialmente prevista “fino alla completa attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178” (ovvero del “piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, finalizzato a garantire il massimo livello di copertura vaccinale sul territorio nazionale”) “e comunque non oltre il 31 dicembre 2021” (termine ad quem che, ai sensi dei commi 6 e 9, condizionava altresì l’efficacia della sospensione “dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”, conseguente all’accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale e comportante ai sensi del comma 9, laddove non fosse stato possibile adibire il lavoratore “a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio”, la non spettanza della retribuzione e di “altro compenso o emolumento, comunque denominato”), è stata successivamente estesa – includendo nell’obbligo la “somministrazione della dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario” – fino al “termine di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021” (cfr. art. 4, comma 5, come sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. b) d.l. n. 172 del 26 novembre 2021).

– Deve altresì rilevarsi che la disciplina vigente ratione temporis prevedeva che, per la suindicata categoria di lavoratori, la vaccinazione non fosse obbligatoria “solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale” (art. 4, comma 2, d.l. n. 44/2021), mentre, al fine di garantire la concreta operatività dell’obbligo de quo, era previsto che: – entro cinque giorni dalla data di entrata in vigore del suddetto decreto, ciascun Ordine professionale territoriale competente trasmettesse l’elenco degli iscritti alla regione o alla provincia autonoma in cui aveva sede (comma 3); – entro dieci giorni dalla data di ricezione degli elenchi di cui al comma 3, le regioni e le province autonome, per il tramite dei servizi informativi vaccinali, verificassero lo stato vaccinale di ciascuno dei soggetti rientranti negli elenchi, segnalando all’azienda sanitaria locale i nominativi dei soggetti che non risultassero vaccinati (comma 4); – l’azienda sanitaria locale, ricevuta la segnalazione di cui sopra, invitasse l’interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell’invito, la “documentazione comprovante l’effettuazione della vaccinazione o l’omissione o il differimento della stessa ai sensi del comma 2, ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione o l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale di cui al comma 1” (comma 5, primo periodo); – l’azienda sanitaria locale, in caso di mancata presentazione della documentazione di cui sopra, invitasse “formalmente l’interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, indicando le modalità e i termini entro i quali adempiere all’obbligo di cui al comma 1” (comma 5, secondo periodo); – l’azienda sanitaria locale, decorsi i termini per l’attestazione dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, accertasse l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne desse immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza (comma 6, primo periodo); – l’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determinasse l’effetto sospensivo innanzi indicato (comma 6, secondo periodo). 3.4 – Deve precisarsi che l’art. 1, comma 1, lett. b) d.l. n. 172/2021 ha innovato la disciplina suindicata, oltre che per i profili innanzi indicati, con riferimento all’Ente deputato a verificare l’assolvimento dell’obbligo vaccinale, all’adozione dell’atto di accertamento dell’inadempimento (individuato nell’Ordine professionale territorialmente competente), alla espressa qualificazione di tale atto come avente “natura dichiarativa” ed alla previsione secondo cui l’atto di accertamento “determina l’immediata sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie” e non solo, come nel regime previgente, “dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”, laddove l’adibizione “a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2” è prevista dal vigente comma 7 nei soli confronti dei soggetti esentati dall’obbligo vaccinale.

Deve altresì ribadirsi che la pertinente disposizione (art. 4, comma 2, d.l. n. 44/2021) ricollega l’esonero dall’obbligo vaccinale al solo “caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale”. Ebbene, poiché la norma, nella sua formulazione testuale, attribuisce al medico di medicina generale il compito di attestare l’”accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate”, ne deriva che di tali elementi costitutivi della fattispecie di esonero deve darsi espressamente atto nella certificazione all’uopo rilasciata: l’”attestazione” delle “specifiche condizioni cliniche documentate”, quindi, non consiste nella (ed il relativo compito non può quindi ritenersi assolto mediante una) mera dichiarazione della loro esistenza “ab externo”, essendo necessario, ai fini del perfezionamento della fattispecie esoneratrice, che delle “specifiche condizioni cliniche documentate” sia dato riscontro nella certificazione, unitamente al “pericolo per la salute” dell’interessato che il medico certificatore ritenga di ricavarne. Del resto, ove così non fosse, sarebbe neutralizzato qualsiasi potere di controllo – anche nella forma “minima” e “mediata” della esaustività giustificativa della certificazione, la quale implica e sottende la possibilità di vagliare, quantomeno secondo un parametro “minimo” di “attendibilità”, la rispondenza della certificazione alla finalità per la quale è prevista, che la parte appellante esclude essere esercitabile dalla ASL – spettante all’Amministrazione, restando devoluta al medico certificatore ogni decisione in ordine alla (in)sussistenza dell’obbligo vaccinale: esito interpretativo che, tuttavia, risulta dissonante rispetto alla pregnanza – in termini sostanziali (con il riferimento alle “specifiche condizioni cliniche” ed al “pericolo per la salute”) e probatori (allorché si richiede che le prime siano “documentate” ed il secondo “accertato”) delle condizioni esoneratrici, delineate nei termini esposti dal legislatore.


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