Se ti avvicini a un cane per accarezzarlo e questo ti morde il risarcimento non ti spetta

Se ti avvicini a un cane per accarezzarlo e questo ti morde il risarcimento non ti spetta

Molti tra coloro che possiedono un cane probabilmente conoscono la sgradevole sensazione d’ansia che si prova ogni qualvolta il “San Francesco” di turno si avventa repentinamente verso il loro animale al fine di accarezzarlo, incurante delle possibili reazioni di quest’ultimo.

E’ sempre forte, d’altra parte, il timore che il comportamento sconsiderato di estranei che sentono la necessità di ostentare il loro “amore” verso ogni  quadrupede che incontrano ( indice, tra l’altro, di ignoranza in materia cinofila), esponga a una condanna per risarcimento dei danni.

Da un punto di vista legislativo, infatti, il dispositivo contenuto nell’art. 2052 c.c. prevede che “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.”, ossia un evento assolutamente imprevedibile, inevitabile e assolutamente eccezionale.

Per evitare la condanna al risarcimento del danno, quindi, non è sufficiente dimostrare di avere usato la comune diligenza, ma è invece necessario provare l’esistenza di un fattore estraneo alla propria sfera soggettiva.

Secondo la dottrina la norma summenzionata contempla un’ipotesi di responsabilità oggettiva, basata sul principio sulla base del quale chi si avvale di determinate res è tenuto a rispondere anche degli eventuali danni che dall’uso di queste derivino.

Secondo la giurisprudenza, invece, la responsabilità dei proprietari di animali si fonda su una presunzione relativa di colpa superabile fornendo la prova del caso fortuito. Costituisce un esempio di caso fortuito la colpa del danneggiato che, però, per avere effetti liberatori “deve consistere in un comportamento cosciente che assorba l’intero rapporto causale, e cioè in una condotta che, esponendo il danneggiato al rischio renda per ciò stesso l’evento possibile in concreto” (Cass. sent. n. 1400/1983).

Interessante in tema è la sentenza n. 1102/2016, recentemente pronunciata dal Tribunale di Ascoli Piceno.

Nel caso di specie un elettrauto, contattato da una cliente per effettuare una riparazione a domicilio all’autovettura, veniva morso dal cane di piccola taglia di quest’ultima; in seguito al fatto, il soggetto riportava una profonda lacerazione al dito medio della mano destra che lo costringeva a recarsi presso il Pronto Soccorso del locale nosocomio.

Per tali ragioni il professionista citava in giudizio la signora chiedendo un risarcimento del danno pari a € 5.200,00.

La convenuta si costituiva eccependo che il cane aveva morso controparte poiché questa aveva introdotto la mano nel recinto in cui l’animale era custodito.

La signora, infatti, puntualizzava che al momento dell’evento (al quale la stessa non aveva personalmente assistito perché si trovava all’interno dell’abitazione) il cane si trovava dentro un recinto realizzato con barre di ferro sul quale era stata, inoltre, apposta la scritta “attenti al cane”. Tale circostanza veniva confermata anche da un teste, ritenuto attendibile dal Giudice in quanto indifferente alle parti, ed era inoltre avvalorata da elementi indiziari.

L’animale, infatti, innervosito dalle presenze estranee nel proprio territorio, aveva abbaiato; ciò corroborava l’ipotesi che non fosse libero ma chiuso, invece, all’interno del box.

Inoltre il Tribunale rilevava che, trattandosi di un cane di piccola taglia, sarebbe stato maggiormente plausibile un morso inferto agli arti inferiori, poiché per attaccare la mano sarebbe stato necessario un piccolo balzo del cane cui l’attore non faceva cenno nei suoi scritti difensivi.

La ferita riportata, invece, si spiegava con l’avvicinamento della vittima all’animale; d’altra parte il teste confermava che l’elettrauto si era avvicinato alle sbarre del recinto con lo scopo di calmare e accarezzare il cane. La condotta del professionista quindi, avvicinatosi senza alcuna necessità ad un animale sconosciuto – che manifestava in aggiunta segni di nervosismo – era da classificarsi come imprudente.

Non era stato il cane ad aggredire la vittima improvvisamente, bensì era stata questa a creare le condizioni affinché l’evento si verificasse e, pertanto, si potevano ravvisare gli estremi del concorso colposo del danneggiato.

Rilevava infine il Giudice che il fatto era – oltretutto – accaduto all’interno di una proprietà privata, luogo nel quale i proprietari non sono tenuti obbligatoriamente ad osservare le stesse misure di prevenzione che risultano invece indispensabili nei luoghi pubblici.

Per tali ragioni il Tribunale di Ascoli Piceno rigettava la domanda.


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Emanuela Calabro

Laureata in Giurisprudenza nel 2012 presso l'Università degli studi di Catania con una tesi in diritto costituzionale comparato dal titolo: "L'inviolabilità parlamentare: analisi comparata." Abilitata all'esercizio della professione forense dall'ottobre 2014.

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