Segregazione patrimoniale: principio di indivisibilità del patrimonio ed effetti sulle procedure esecutive

Segregazione patrimoniale: principio di indivisibilità del patrimonio ed effetti sulle procedure esecutive

Il principio di indivisibilità del patrimonio si ricava dall’art. 2740 c.c., a mente del quale il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri. Tale norma richiama la cosiddetta garanzia generica che tutela il creditore: in caso di inadempimento egli può soddisfarsi agendo, quindi, su tutti i beni dell’inadempiente.

La legge, in alcuni casi, consente di derogare al principio contenuto nella citata disposizione. Ciò ricorre quando si destinano alcuni beni a un determinato scopo, al fine di separarli dalla propria sfera giuridica. Il patrimonio così distinto e destinato prescinde dalle vicende personali del soggetto cui appartiene e rimane, pertanto, non aggredibile dai suoi creditori. Anche la deroga, però, è a sua volta derogabile ove vengano palesemente pretermessi gli interessi dei creditori estranei al patrimonio vincolato.

Il successivo art. 2741 c.c. enuncia il principio della par condicio creditorum, per cui i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti, fatte salve le cause legittime di prelazione.

L’attuazione della par condicio suddetta è sempre piena se il debitore è un imprenditore commerciale, poiché la procedura fallimentare coinvolge necessariamente tutti i creditori. Se, invece, il debitore non è sottoponibile a procedure concorsuali (perché non imprenditore o piccolo imprenditore, ai sensi dell’art. 2221 c.c.), la soddisfazione dei creditori è subordinata all’intervento, facoltativo, nel processo esecutivo iniziato da uno di loro.

Quanto appena detto anticipa uno dei casi di segregazione patrimoniale.

Infatti, un esempio di separazione del patrimonio è rappresentato dall’istituzione di una persona giuridica. Essa gode di un autonomo patrimonio, che resta distinto rispetto a quello della persona fisica che vi è dietro. Vi è, quindi, uno sdoppiamento soggettivo che consente di conciliare il regime di responsabilità limitata con il dettato dell’art. 2740 c.c..

Se si tratta, in particolare, di una società di capitali, vige l’autonomia patrimoniale perfetta, che impedisce ai creditori dei soci di rifarsi sul patrimonio personale di questi, ex art. 2267 c.1 c.c..

Dalla stessa norma si ricava che, invece, ove la società sia di persone, l’autonomia patrimoniale è imperfetta, perché questa, pur avendo un patrimonio distinto da quello dei soci, coinvolge nelle sue vicende anche questi ultimi, che sono illimitatamente e solidalmente responsabili per le obbligazioni sociali, con la sola attenuazione del beneficio di escussione (ai sensi dell’art. 2268 c.c.).

Ma ancora, anche la stessa liquidazione concorsuale, in caso di fallimento, è caratterizzata dalla separazione patrimoniale. Infatti, solo i creditori della società sono necessariamente ricompresi nella procedura liquidatoria.

Sempre in ambito societario, il fenomeno della segregazione patrimoniale è più marcato nell’istituto, disciplinato dagli artt. 2447 bis e ss. c.c., del patrimonio destinato a uno specifico affare. Ivi il fenomeno della separazione è doppio, poiché non solo vi è lo sdoppiamento tra soci persone fisiche e persona giuridica, ma altresì tra patrimonio della società e patrimonio destinato.

Grazie al suo impiego, la società può destinare determinati beni, anche immobili o mobili registrati (con le dovute conseguenze in tema di pubblicità), o una determinata parte del capitale in via esclusiva a un unico affare, nonché stipulare un contratto di finanziamento finalizzato a un solo affare e rimborsabile con i proventi dello stesso.

Le norme successive all’art. 2247 bis c.c. enunciano una disciplina dettagliata, nella quale si rende palese il tentativo del legislatore di contemperare più esigenze: quelle dei creditori sociali e quelle dei creditori del patrimonio destinato; la finalità del perseguimento dell’affare di cui si tratta; la convenienza dell’attuazione del patrimonio destinato che, restando svincolato dal residuo patrimonio della società, si pone come alternativa più agile e meno onerosa rispetto alla costituzione di una nuova società in capo alle stesse persone fisiche.

Ancora, il nostro ordinamento prevede ulteriori possibilità di separazione patrimoniale, senza far ricorso alla costituzione di una persona giuridica. È il caso del fondo patrimoniale ex artt. 167 ss. c.c., dell’istituto disciplinato dal recente art. 2645 ter c.c. e del patrimonio dell’erede che accetta con beneficio d’inventario. In queste ipotesi, la persona fisica rimane la stessa, mentre è il suo patrimonio a sdoppiarsi.

Ciò appare prima facie contrastante con il richiamato principio di indivisibilità del patrimonio e della correlata responsabilità illimitata per i debiti assunti, soprattutto perché, in questo caso, il titolare-debitore è la stessa persona.

Il fondo patrimoniale si identifica in uno strumento atto a costituire un patrimonio vincolato e destinato a far fronte a bisogni della famiglia. I beni che ne fanno parte sono sottoposti a una speciale disciplina sia per l’amministrazione, sia per gli atti dispositivi. Per tale ragione si comprende perché ne siano esclusi il denaro e i beni mobili, il cui regime circolatorio li rende difficilmente assoggettabili a un vincolo di scopo.

Con specifico riguardo all’ipotesi contemplata dall’art. 2645 ter c.c., si deve osservare che la norma consente il vincolo di destinazione per parte del patrimonio, ma introduce altresì i limiti della meritevolezza della causa e della durata massima del vincolo. Ciò, si comprende, al fine di meglio tutelare i terzi, ai quali peraltro il vincolo di destinazione si rende opponibile grazie alla trascrizione.

In particolare, il rimando alla meritevolezza è da intendersi nel senso che solo un interesse meritevole di maggior tutela rispetto a quello dei creditori può legittimare una deroga al principio della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c.. La previsione del termine massimo di durata, invece, come nel fondo patrimoniale ex art. 171 c.c., discende dall’esigenza, tipica nell’ambito dei diritti reali di godimento, di non rendere perpetuo il vincolo sulla proprietà, al fine di non snaturarne la funzione di diritto assoluto (si pensi all’usufrutto, all’enfiteusi temporanea).

Il rinvio all’art. 1322 c. 2, ad opera dell’art. 2645 ter c.c., apre la via alla possibilità di trascrizione anche per i negozi atipici. Appare evidente, quindi, il richiamo a patrimoni di destinazione creati con figure atipiche (per il nostro ordinamento), quali i trust. Detto istituto ricorre quando un soggetto (settlor) pone dei beni sotto il controllo di un altro soggetto (trustee), che ne diventa amministratore fiduciario. Caratteristica principale del trust è che i beni che ne fanno parte non entrano nel patrimonio del fiduciario, ma costituiscono una massa distinta, un separato patrimonio autonomo.

Similmente si atteggia il patrimonio dell’erede che accetta con beneficio d’inventario, ai sensi dell’art. 490 c.c.. L’accettazione con beneficio d’inventario, infatti, in deroga al principio di cui all’art. 2740 c.c., fa sì che l’erede risponda dei debiti del de cuius entro il valore dei beni ereditari e solo con detti beni o con il loro valore liquidato e non anche con il proprio patrimonio.

Tratteggiati alcuni degli istituti che nel nostro ordinamento permettono la segregazione patrimoniale, mediante lo sdoppiamento personale, personale e patrimoniale o solo patrimoniale, occorre analizzarne gli effetti sulle procedure esecutive.

È chiaro che una delle conseguenze principali che si conseguono con l’attuazione delle ipotesi di segregazione patrimoniale è quella di evitare che il patrimonio sia aggredito dai creditori estranei alla massa separata.

La questione che si pone è quella di comprendere come possa essere aggredito il patrimonio a sé stante anche dai creditori della persona fisica titolare o del restante patrimonio, ove non soddisfatti, al fine di ristabilire l’iniziale equilibrio di garanzia generica e par condicio creditorum.

La risposta varia in base alle situazioni concrete.

Si pensi al creditore della persona fisica che voglia rifarsi sul patrimonio di quella società di capitali che sia realizzata all’unico scopo di sottrarre i beni alla garanzia generica. In tal caso si profila un abuso della personalità giuridica, poiché in realtà è al socio persona fisica che si possono ricondurre tutti i rapporti economico-giuridici della società. Questa è utilizzata esclusivamente come schermo giuridico interposto. In base al combinato disposto degli artt. 2325 c. 2, 2362 e 2470 c. 4 ss. c.c., al riconoscimento dell’abuso consegue l’illimitata responsabilità del  socio c.d. tiranno per le obbligazioni assunte dalla società o, quanto meno, per l’obbligazione in funzione del cui inadempimento, da parte dell’effettivo titolare, è stato commesso l’abuso.

Questo non può portare alla nullità della società (e, di conseguenza, di tutti i rapporti giuridici che da essa hanno origine) perché a ciò osta l’art. 2332 c.c., che, oltre a sancire la tassatività delle ipotesi di nullità, afferma che la dichiarazione della stessa non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l’iscrizione nel registro delle imprese.

L’azione di nullità può, invece, utilmente essere esperita in tutti i casi (tra quelli qui analizzati: patrimonio vincolato ex art. 2447 ter, atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c. e fondo patrimoniale) in cui vi sia un negozio di destinazione che non persegua un fine di utilità sociale e che non sia idoneo a giustificare la lesione delle ragioni creditorie. La ragione a sostegno della nullità è la violazione delle norme imperative che giustificano tali istituti e, di conseguenza, la deroga all’art. 2740 c.c..

Altra tutela azionabile dal creditore pretermesso da negozi a effetti destinatori è l’azione di simulazione ai sensi dell’art. 1414 c.c., per il caso in cui il negozio non costituisca alcun vincolo reale di destinazione, ma si risolva in un mero artifizio per rendere il bene non aggredibile dai creditori.

Il creditore può, inoltre, tutelarsi chiedendo la cancellazione della trascrizione dell’atto destinatorio, qualora siano venute meno le ragioni che giustificavano la destinazione del bene e lo scopo è stato raggiunto, o non è più raggiungibile; ovvero quando il bene non è stato destinato allo scopo prefissato.

Più in generale, il creditore pregiudicato può esperire l’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c., perché siano dichiarati inefficaci i singoli atti di destinazione del patrimonio, purché compiuti a titolo oneroso.

Degli atti di disposizione compiuti a titolo gratuito, ove il debitore sia una società sottoponibile a procedura concorsuale, si occupa l’art. 64 della l. 267/1942, che li priva di efficacia se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento. I beni oggetto degli atti di disposizione siffatti sono acquisiti al patrimonio del fallimento (di per sé già forma di segregazione patrimoniale, nel senso riportato in apertura) mediante trascrizione della sentenza che lo dichiara.

Viene da chiedersi quale strumento operi nell’ipotesi in cui gli atti di disposizione siano a titolo gratuito, ma il debitore non sia un imprenditore fallibile. In tal caso, non potendosi applicare l’art. 64 citato, che riguarda propriamente la disciplina del fallimento, soccorre l’art. 2929 bis c.c., inserito nel nostro codice di recente, un decennio dopo rispetto all’art. 2645 ter c.c.. Esso prevede che il creditore che ha subito pregiudizio dall’artificiosa indisponibilità o da una vendita a titolo gratuito possa direttamente procedere a esecuzione forzata.

In questo ultimo inciso si nota la differenza con l’azione revocatoria, che postula, invece, dapprima la dichiarazione di inefficacia del singolo negozio e poi, in un separato istante, l’esperimento della procedura esecutiva.

Tuttavia, occorre ulteriormente analizzare il contenuto del citato art. 2929 bis.  Lo stesso prevede che l’esecuzione forzata possa essere attivata solo per beni immobili e mobili registrati, mentre i beni mobili e il denaro, a causa della loro più libera circolazione, non sono menzionati. Questo include nella tutela i negozi ex art. 2645 ter e il fondo patrimoniale, che possono avere ad oggetto, come visto, solo beni immobili e mobili registrati, ma esclude tutti quei negozi di destinazione aventi ad oggetto beni mobili e denaro.

In realtà, parte della dottrina ha ritenuto che anche detti negozi e i fondi patrimoniali possano avere ad oggetto beni mobili e denaro, ove si interpreti estensivamente l’inciso relativo ai frutti, presente in entrambi gli istituti.

Ammettendo questa possibilità, pertanto, rimarrebbero fuori dall’ambito di tutela ex 2929  bis c.c. non solo i creditori dei trust, ma anche quelli dei negozi destinatori da ultimo citati, che abbiano ad oggetto beni mobili o denaro.

In tali casi, si ritiene che chi ha subito un pregiudizio non rimanga sprovvisto di difesa, bensì possa azionare i già citati rimedi generali di nullità, simulazione, azione revocatoria e azione volta alla cancellazione della trascrizione di tali negozi.


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Avv. Ilaria Romano

Avvocato del Foro di Lecce. Specializzata con menzione in diritto penale. Docente a contratto di Diritto Processuale Penale presso la SSPL "V. Aymone" di Lecce.

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