Separazione e divorzio: disporre accertamenti tributari per il mantenimento dei figli è sempre una facoltà del Giudice

Separazione e divorzio: disporre accertamenti tributari per il mantenimento dei figli è sempre una facoltà del Giudice

Cass. civ., Sez. VI – 1, Ord. 20 settembre 2021, n. 25314

La Corte di Cassazione ha stabilito che i poteri officiosi del Giudice della separazione o del divorzio di disporre accertamenti di polizia tributaria ed informazioni di carattere economico sui redditi e sui beni dei coniugi ai sensi dell’art. 337-ter sesto comma c.c. sono esercitabili solo in quanto siano insufficienti i dati probatori acquisiti agli atti di causa e detto giudizio di sufficienza, se adeguatamente motivato, è insindacabile in sede di legittimità.

Con questa recentissima e molto interessante pronuncia la Corte di Cassazione torna ad occuparsi di uno degli aspetti più controversi e discussi della già di per sé difficile regolamentazione giuridica dei rapporti economici tra coniugi e cioè quello del potere officioso del Giudice della crisi coniugale di disporre accertamenti di polizia tributaria o di richiedere informazioni e dati di carattere economico secondo il disposto di cui all’art. 337-ter, sesto comma, c.c.

Come è noto, infatti, questa norma civilistica, rubricata come “Provvedimenti riguardo ai figli”,  testualmente prescrive che “Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi” e rappresenta certamente un caposaldo del potere rimesso al Giudice della separazione o del divorzio nel delicato e complesso suo compito di ricostruzione del patrimonio dei coniugi per una corretta ed adeguata disciplina delle provvidenze di mantenimento da riconoscersi ai figli.

Preliminarmente, invero, ad ogni altra considerazione, è bene evidenziare come tale potere sia rimesso dal predetto art. 337-ter, sesto comma, c.c. al Giudice solo ed in quanto sia necessario adottare dei provvedimenti di natura economica a tutela dei figli minori o maggiorenni non autonomi, a conferma della esplicita  volontà del legislatore di tutelare, con questo ulteriore e penetrante strumento di indagine patrimoniale ad opera di organi di polizia tributaria particolarmente incisivi e professionalmente competenti, la posizione giuridica di questi soggetti deboli con la conseguenza che una eventuale analoga richiesta avanzata dai coniugi per un proprio interesse personale sia da considerarsi inammissibile ed improponibile per difetto dei presupposti di legge, se proposta in applicazione di questa norma.

Ciò non significa, tuttavia, che i coniugi non abbiano la possibilità di avvalersi di questo mezzo probatorio per finalità personali, dal momento che in questo li soccorre adeguatamente sia il disposto generale di cui all’art. 187 c.p.c. che regolamenta il potere officioso del Giudice di ordinarlo se lo ritiene rilevante e pertinente ai fini della sua decisione, che l’art. 4 comma 2 della Legge n. 54/2006 che ha espressamente legittimato il ricorso a queste informazioni patrimoniali “qualificate”  “anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”.

A ciò si aggiunga anche che in tema di divorzio la Legge n. 898 dell’1 dicembre 1970 all’art. 5 comma 9, come modificata dalla Legge n. 74/1987, prevede che tale potere discrezionale del Giudice possa essere esercitato anche al fine di determinare i presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile in favore del coniuge economicamente più debole.

In tutti i casi appena ricordati, è comunque palese come una siffatta possibilità rappresenti una soluzione estrema sotto il profilo probatorio, percorribile solo qualora non siano sufficienti i mezzi “ordinari” di prova generalmente rimessi all’onere delle parti, ivi comprese naturalmente anche le richieste di informazioni e/ o di dati che il Giudice autonomamente può inoltrare ad organi della Pubblica Amministrazione[1] o finanche al datore di lavoro della parte interessata[2].

Per quanto le diverse norme appena richiamate possano sembrare chiare nelle loro finalità ed applicazione, in realtà, soprattutto nel vivace dibattito che come sempre caratterizza la dottrina non sono mancate voci discordanti e contraddittorie che hanno evidenziato come proprio la formulazione letterale delle predette disposizioni lasci spazio ad incertezze applicative.

In particolare si è discusso circa la possibilità per il Giudice di esercitare detto potere oltre che in caso di contestazione sul punto (vedi Legge sul divorzio) anche qualora egli ritenga non verosimile la documentazione probatoria fornitagli e non a caso si è sostenuto come la soluzione a questo dilemma sia estensiva solo quando si tratti di difendere dei diritti della prole, che sono di natura indisponibile,  salvo poi soggiacere al limite della contestazione della veridicità dei fatti indicati dalle parti quando sia invece in discussione l’assegno di mantenimento in favore dei coniugi, trattandosi di diritti disponibili[3].

Anche la Corte Suprema, sia pure in tempi non più recenti, non sempre è stata univocamente indirizzata  nella disamina del tema in questione, e specificatamente della discrezionalità, più o meno  piena, del potere accertativo rimesso al Giudice, ritenendola piuttosto espressione di un obbligo processuale se connesso ad una contestazione delle parti[4], cosi come parte della Dottrina, anche autorevole, non si è astenuta dal mettere in discussione la validità stessa di questi strumenti probatori subordinandoli, addirittura, ad  una scala gerarchica e temporale di prove, quasi che gli stessi siano ammissibili solo e se quelli “ordinari” siano stati, tutti, infruttuosamente esperiti[5].

L’ordinanza oggi in commento, invece, sia pure con esplicito riferimento al solo  contesto applicativo della menzionata norma di cui all’art. 337-ter, sesto comma, c.c., ci appare maggiormente precisa nel voler indicare alcuni capisaldi interpretativi della tematica più generale che ci occupa, e ciò essa fa, nel solco di un  orientamento giurisprudenziale della Corte Suprema decisamente conforme nel tempo,[6] ribadendo anzitutto il carattere facoltativo, e non obbligato, del potere del Giudice di “completare ed integrare le prove” che ovviamente i coniugi contendenti sono chiamati comunque ad offrire alla sua valutazione, e sottolineando altresì come in tal modo non sia consentito ad esso Giudice sostituirsi completamente alle parti in questo loro onere probatorio, salvo semmai il solo caso di impossibilità oggettiva e dimostrata di assolverlo in qualunque altro modo.

Si badi bene, oltretutto, come la norma in parola parli testualmente di “informazioni di carattere economico fornite dai genitori” a dimostrazione del fatto che in questi casi non occorra che i coniugi producano atti e/o documenti a supporto della loro richiesta di indagini patrimoniali, essendo sufficiente che essi forniscano appunto delle informazioni, da intendersi evidentemente quali notizie e/o circostanze di fatto, che necessitino di conferma a mezzo proprio dei poteri ispettivi demandati agli organi di polizia tributaria.

L’ulteriore presupposto, poi, richiesto dalla legge è che tali informazioni siano ritenute dal Giudice “non sufficientemente documentate” secondo un giudizio di valutazione probatoria che, in quanto rimesso al suo esclusivo potere decisorio, se adeguatamente motivato[7] risulta insindacabile in sede di legittimità, come correttamente precisato e ribadito dalla Corte di Cassazione anche in questa ennesima occasione.

Gli Ermellini, infatti, dobbiamo dire sempre con un esaustivo richiamo a conformi loro pronunce,[8] testualmente affermano che “Ogni qualvolta un coniuge contesti i redditi dichiarati dall’altro, ovvero le sostanze di cui lo stesso è titolare, adducendo elementi che facciano ritenere la sussistenza di un livello economico superiore a quello apparente e, dunque, sia in discussione la prova degli elementi che assumono rilevanza ai fini del riconoscimento e della determinazione dell’assegno di mantenimento, sia in sede di separazione che in sede di divorzio, vi è l’obbligo da parte dell’autorità giudiziaria di disporre indagini di ufficio sui redditi; ove, invece, le prove dedotte e prodotte dalle parti consentano una soddisfacente ricostruzione del fatto da provarsi, il giudice non ha motivo di ricercare nuove prove esercitando i propri poteri istruttori ufficiosi” (Cass.07 marzo 2006, n. 4872) e che “il giudice del merito, ove ritenga aliunde raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell’assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche senza aver prima disposto accertamenti d’ufficio attraverso la polizia tributaria, atteso che l’esercizio del potere ufficioso di disporre, per il detto tramite, indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita rientra nella sua discrezionalità, non trattandosi di un adempimento imposto dall’istanza di parte, purché esso sia correlabile anche per implicito ad una valutazione di superfluità dell’iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti”.

La chiarezza espositiva di questo assunto è tale da non generare, a nostro parere, dubbi di sorta e da puntualizzare, in maniera certa, i limiti di esercizio di un siffatto potere probatorio integrativo da parte del Giudice  ed il correlativo ambito di richiesta in applicazione della norma in parola in capo alle parti, il tutto, come detto, mirante ad assicurare ai figli legittimati a riceversi un ausilio economico una tutela adeguata e congrua rispetto alle reali ed effettive capacità patrimoniali dei genitori.

In definitiva, pertanto, con la decisione in commento finalmente si ribadisce, ancora una volta[9], la posizione granitica e convinta con la quale la Corte di Cassazione afferma, dobbiamo ritenere a questo punto in tutti i casi di esercizio del potere dispositivo di tali eccezionali accertamenti economici,  la assoluta discrezionalità rimessa a tal fine al Giudice, pur essendo egli soggetto sempre, come detto, a quel precetto di adeguata motivazione in caso di eventuale rigetto dell’istanza che gli impedisca di limitarsi ad una mera valutazione implicita di superfluità delle indagini in parola o di semplice verosimiglianza dei dati forniti dall’altra parte in causa.

 

 

 

 

 

 


[1] Art. 213 c.p.c.
[2] Art. 210 c.p.c.
[3] V. LIUZZI, Poteri dell’autorità giudiziaria e indagini tributarie anche a carico di terzi, in Famiglia e diritto, 2006, p. 595.
[4] A favore della tesi dell’obbligo vedi Cass. 17 maggio 2005 n. 11230 e Cass. 07 marzo 2006 n. 4872 mentre, contrarie, Cass. n. 8417/2000, n. 10344/2005, n. 2625/2006
[5] PISTOLESI, Le indagini finanziarie disposte dal giudice nell’ambito dei giudizi di separazione e divorzio, in Riv. Dir. Trib., 2012, I, pag. 853
[6] Cass.20 febbraio 2017 n. 4292; Cass. 15 novembre 2016 n. 23263; Cass. 28 gennaio 2011 n. 2098
[7] Cass. 06 giugno 2013 n. 14336
[8] Cass. 28 marzo 2019 n. 8744; Cass. 06 giugno 2013 n. 14336
[9] Cass.20 febbraio 2017 n. 4292

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Nata a Lecce nel 1963 e conseguita la Laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Siena con la votazione di 110/110, svolge da subito la pratica legale presso uno studio di Milano abilitandosi all’esercizio della professione forense nel 1991 e nello stesso anno diventa titolare dello studio già avviato dal padre Avv. Renato da cui eredita, oltre alle qualità umane, l’inclinazione per il Diritto Civile, operando prevalentemente in tutto il Salento. All’iniziale interesse per il Diritto di famiglia e dei minori si affianca l’approfondimento di altre branche del diritto privato, quali il Diritto Commerciale e la sicurezza sul lavoro, complice anche l’espletamento di ulteriori incarichi quali quelli di Giudice Conciliatore e di Mediatore Professionista. La sua attività professionale si estende nel tempo anche al campo dei diritti della persona e tutela degli stessi e l’acquisizione di una crescente esperienza in materia di privacy e sicurezza sul lavoro la incita ad incrementare l’impegno riposto nell’aggiornamento continuo. Particolare rilevanza assume anche lo svolgimento dell’attività di recupero crediti nell’interesse di privati e società, minuziosamente eseguita in ogni sua fase, nonché quella per la tutela del debitore con specifica attenzione alla nuova disciplina in materia di sovraindebitamento. Dal 1990 è docente di Scienze Giuridiche ed Economiche presso gli Istituti ed i Licei di Istruzione Superiore di Secondo Grado, attività che svolge con passione e che, per il tramite della continua interazione con le nuove e le vecchie generazioni, le agevola la comprensione dei casi e delle fattispecie a lei sottoposte, specie nell’ambito del diritto di famiglia. E’ socio membro di FEDERPRIVACY, la più accreditata, a livello nazionale, Associazione degli operatori in materia di privacy e Dpo. Dà voce al proprio pensiero per il tramite degli articoli pubblicati sul proprio sito - SLS – StudioLegaleSodo (www.studiolegalesodo.it) nonché attraverso i rispettivi canali social ( FaceBook e LinkedIn ) ed è autrice di vari articoli e note a sentenza su riviste telematiche del diritto di primario interesse nazionale.

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