Siamo tutti potenziali pericolosi, lo afferma il codice penale

Siamo tutti potenziali pericolosi, lo afferma il codice penale

Data la premessa per cui la pericolosità sociale è l’unico presupposto sempre necessario per l’applicazione di una misura di sicurezza (art. 202 c.p.), l’art. 203 c.p. sembra proporre una definizione di pericolosità sociale in termini probabilistici, per cui, agli effetti della legge penale, la persona sarebbe socialmente pericolosa quando, dopo aver già commesso un reato, è probabile che ne commetta degli altri.

Lungi dal voler rimettere alla totale discrezione dell’organo giudicante la valutazione della pericolosità sociale, il co. 2 dell’articolo specifica che “la qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’art. 133”.

Ciò impone una prima osservazione:l’art. 133 c.p., rubricato “Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena”, è l’articolo- contenitore dei parametri di cui il giudice deve tener conto nel decidere la commisurazione della pena. Si evince, dunque, già ad una primissima analisi, una falla nel sistema del doppio binario, sistema sul quale si erge la costruzione di tutto l’ordinamento penale.

Ciò detto, l’articolo in questione, accanto a criteri oggettivi attinenti alla gravità del reato (desunta dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; dalla intensità del dolo o dal grado della colpa) indica anche criteri soggettivi, riconducibili alla capacità a delinquere.

Ai fini del presente discorso, allo scopo, per quanto possibile, di ricostruire una definizione di pericolosità sociale, senza presunzioni di completezza ed esaustività, essendo questo un concetto che ben si è prestato e che tuttora si presta a mutevoli e molteplici attribuzioni di significato, rilevano i criteri soggettivi.

La capacità a delinquere sarebbe da desumersi, stando al testo dell’art. 133 c.p.: a) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; b) dai precedenti penali e giudiziari e, in generale, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; c) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; d) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.

Per motivi a delinquere devono intendersi i motivi personali che hanno indotto la persona a commettere il reato, intesi più precisamente come la spinta psichica alla base di una condotta. Il carattere del reo non può che essere il temperamento, nonché quell’insieme di qualità innate della personalità. Ed è proprio allo scopo di far emergere la personalità del reo che l’art. 133 c.p. impone che si tenga conto dei precedenti penali e giudiziari e della condotta e della vita del reo antecedenti al reato. Così la valutazione della condotta tenuta prima, durante e dopo la commissione del reato, perché le modalità di compimento del fatto, il successivo eventuale pentimento ad esempio, oppure il tentativo di porvi rimedio, dovrebbero consentire di dimostrare una minore o maggiore capacità a delinquere.

Lo stesso discorso, prima che intervenisse la legge 30 Maggio 2014, n. 81, andava fatto per le “condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo”, per cui si ammetteva la possibilità di applicazione di una misura di sicurezza a causa dell’inesistenza o inerzia di assistenza familiare o sociale, per cui, dinanzi all’impossibilità per la persona di essere accolta nel suo contesto familiare o sociale, sarebbe stata considerata socialmente pericolosa, con tutte le conseguenze del caso. Il disagio familiare o sociale, e quindi una circostanza esterna, si traduceva in un valido criterio di accertamento della pericolosità sociale.

Con la legge n. 81, di conversione – con modificazioni-  del dl n. 52/2014, si registra un passo in avanti, laddove la lett. b), co. 1 stabilisce che la pericolosità sociale va accertata “sulla base delle qualità soggettive della persona e senza tener conto delle condizioni di cui all’art. 133, secondo comma, numero 4, del codice penale. Non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali”.  Ciò equivale a dire che la pericolosità non può essere desunta da circostanze esterne che non riguardino la persona nella sua accezione più ristretta.

Da quanto finora detto, deve desumersi che la pericolosità sociale non è da intendersi come semplice probabilità che il reo compia fatti criminosi in futuro, ma come modo di essere della persona, dal quale va dedotta la probabilità che continui a commettere dei reati. In altri termini, la pericolosità sociale va accertata sulla base di un giudizio prognostico che abbia l’obiettivo di dimostrare se esiste e, in tal caso, quanto è forte nel reo l’inclinazione a commettere fatti preveduti dalla legge come reati.

Un giudizio prognostico, dunque, che, partendo dall’analisi di condizioni della persona che riguardano il presente ma anche il passato, deve essere in grado di accertare una pericolosità sociale futura.

Un primo sguardo alle disposizioni  dedicate alla pericolosità sociale già di per sé è sufficiente a destare, quindi, enormi perplessità.

Perplessità perché:

  • la pericolosità di una persona è accertata sulla base di un giudizio prognostico, cioè sulla base di una previsione;

  • cosa sia sostanzialmente la pericolosità sociale non è chiaro. Nella valutazione dei motivi a delinquere, il temperamento, la condotta, i precedenti del reo, qual è il confine tra pericoloso-non pericoloso non è dato saperlo. In termini più pratici, a titolo esemplificativo: qual è la soglia di violenza o irascibilità che deve essere superata per considerare una persona socialmente pericolosa?

  • stando a quanto detto, la probabilità che buona parte di noi sarebbe suscettibile di un giudizio positivo di pericolosità sembra essere alta, tanto più se “la precarietà, l’instabilità, la vulnerabilità sono le caratteristiche più diffuse (nonché quelle più dolorosamente percepite) della condizione  di vita contemporanea” (le parole sono del celebre sociologo Z. Bauman, in Modernità liquida);

  • la pericolosità sociale, lo si diceva in apertura, è l’unico presupposto sempre necessario per l’applicazione di una misura di sicurezza, laddove il codice penale contempla delle ipotesi, c.d. di quasi- reato (artt. 49 e 115 c.p.), per le quali la commissione di un fatto preveduto dalla legge come reato- altro presupposto per l’applicazione di una misura di sicurezza- non è richiesto. Ipotesi, queste, la cui esistenza trova fondamento nello stesso art. 202, co. 2, che recita: “La legge penale determina i casi nei quali a persone socialmente pericolose possono essere applicate misure di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato”.

Che la categoria della pericolosità sociale sia retaggio di un sistema penale repressivo è palese.

Cosa significhi esattamente molto meno.


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