Silenzio della Pubblica Amministrazione e accesso civico: tutela giudiziale

Silenzio della Pubblica Amministrazione e accesso civico: tutela giudiziale

T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 10 marzo 2020, n. 645 Pres. Burzichelli – Est. Spampinato

È applicabile all’accesso civico generalizzato la consolidata interpretazione della disciplina sull’accesso documentale, per cui la tutela giudiziale avverso il silenzio rispetto all’istanza di accesso civico è garantita dal rito in materia di accesso ai documenti amministrativi, ex art. 116 c.p.a..

 

Fatto e diritto

La ricorrente ha proposto ricorso innanzi al giudice di prime cure, nei confronti del Comune di Taormina, per l’accertamento in relazione al ricorso introduttivo:

– dell’illegittimità del silenzio inadempimento serbato dalla resistente rispetto tanto all’istanza di accesso civico – sia semplice che generalizzato – presentata dalla parte ricorrente a mezzo PEC il 19 dicembre 2018, per la visione ed estrazione di copia dei titoli autorizzatori e dei pareri presupposti rilasciati dal medesimo Comune (e/o in suo possesso) in relazione ad alcuni manufatti esistenti su un lastrico solare, quanto all’istanza di riesame dalla stessa ricorrente presentata a mezzo PEC il 18 febbraio 2019;

– dell’obbligo di provvedere alla pubblicazione on line delle delibere di Giunta Municipale nn. 61 e 62 del 30 marzo 2017, siccome obbligatoria ex artt. 124 TUEL e 6, comma 1, della LR 11/2015.

Altresì, con ricorso per motivi aggiunti, la ricorrente chiede l’annullamento della nota del Comune di Taormina n. 11653 del 10 maggio 2019, con cui era stata parzialmente riscontrata l’istanza di accesso civico, sia semplice che generalizzato, presentata il 19 dicembre 2018 e la successiva istanza di riesame del 18 febbraio 2019, nonché per l’accertamento della sussistenza del diritto di accesso civico semplice e generalizzato rispetto alla documentazione di causa.

È opportuno precisare che la ricorrente aveva notificato istanza di accesso civico al Comune di Taormina, in data 19 dicembre 2018, mentre, in data 18 febbraio 2019, aveva notificato istanza di riesame diretta al Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT) pro-tempore; rispetto alla prima istanza, il silenzio diniego si era formato in data 18 gennaio 2019 e, conseguentemente, il termine entro cui avrebbe dovuto essere proposto il ricorso avverso il silenzio della Pubblica Amministrazione sarebbe spirato in data 17 febbraio 2019. La parte ricorrente proponeva il gravame successivamente a tale data, così che il collegio giudicante lo dichiarava irricevibile.

Altresì, il giudice di prime cure dichiarava irricevibile anche il ricorso per motivi aggiunti, con cui era stata impugnata la nota prot. n. 11653 del 10 maggio 2019 mediante cui il Comune di Taormina aveva consentito l’accesso ai soli atti indicati nella stessa, atteso che rispetto agli altri atti non richiamati nella medesima, e rispetto ai quali non vi era stata un’altra istruttoria ad opera della Pubblica Amministrazione, si era formato già il silenzio diniego alla data del 17 febbraio 2019; a tal proposito l’organo giudicante eccepiva che la mancata impugnazione del silenzio diniego entro il termine previsto a pena di decadenza, non consente la reiterabilità dell’istanza e la conseguente impugnazione del successivo diniego laddove non risulti effettuata una nuova istruttoria da parte dell’Amministrazione.

La parte ricorrente, richiamando la giurisprudenza del TAR Campania – Napoli, Sez. VI, 27 agosto 2019, n. 4418, e del TAR Sicilia – Catania, Sez. II, 26 settembre 2019, n. 2230, in cui si afferma che “…l’istante in caso di silenzio potrà ricorrere al giudice amministrativo secondo il rito di cui all’art. 117 c.p.a., con la possibilità di ottenere una espressa pronuncia sulla fondatezza della pretesa in caso di attività vincolata ovvero quando non residuano margini di esercizio di attività discrezionale…”, proponeva ricorso avverso il silenzio della Pubblica Amministrazione utilizzando il rito speciale di cui all’art. 117 c.p.a., per l’appunto proponibile ogni qualvolta vi sia silenzio inadempimento dell’Amministrazione.

Rispetto al rito cui ha fatto ricorso la parte ricorrente, il giudice di prima istanza osserva che appare maggiormente coerente l’interpretazione secondo cui la disciplina sull’accesso documentale in ordine all’esercizio della tutela giurisdizionale sarebbe perfettamente applicabile anche alla simmetrica disciplina processuale riferita dal legislatore all’accesso civico generalizzato nella comune applicazione dell’art. 116 c.p.a..

Il collegio giudicante rilevava l’inammissibilità del ricorso perché era stata omessa la notifica dello stesso al Responsabile della prevenzione della corruzione e trasparenza, quest’ultimo adito in data 18 febbraio 2019 con istanza di riesame, richiamando la giurisprudenza formatasi a seguito della sentenza n° 2230 del 26 settembre 2019 pronunciata dal medesimo organo giudicante; altresì, precisava che sul punto non assumeva rilevanza alcuna la giurisprudenza del TAR Calabria – Reggio Calabria, 11 febbraio 2019, n. 118.

Per i motivi esposti, il Tar Sicilia – Catania, III sezione, dichiarava i ricorsi, introduttivo e per motivi aggiunti, in parte irricevibili ed inammissibili. Ordinava, altresì, la compensazione delle spese.

Commento

Abstract: L’individuazione del rito speciale di cui deve avvalersi il cittadino al fine di assicurare tutela al proprio diritto di accesso civico rispetto alla condotta silente dell’Amministrazione, è la vexata quaestio su cui è stato chiamato a pronunciarsi il giudice catanese di prime cure e rispetto alla quale, commentando la sentenza in rassegna, si svilupperanno delle riflessioni. Attesa la natura di diritto soggettivo del diritto di accesso, sia esso documentale o civico, posto che la P. A. rimasta silente è chiamata al compimento di un’attività vincolata ed il Giudice per ciò stesso dovrà accertare la sussistenza del diritto all’ostensione dei documenti, ne consegue che il rito speciale di cui deve avvalersi il cittadino è il ricorso ex art. 116 Codice del Processo Amministrativo.

Abstract: The identification of the special rite that the citizen must use in order to ensure the protection of his right of civic access with respect to the silent conduct of the Administration, is the vexata quaestio on which the Catanian judge of first care has been called to pronounce and with respect to which, commenting on the sentence in review, some reflections will be developed. Given the nature of subjective right of the right of access, be it documentary or civic, and given that the P. A. which remained silent is called to carry out a binding activity and the Judge for this same reason will have to ascertain the subsistence of the right to the exposition of the documents, it follows that the special rite of which the citizen must make use is the appeal pursuant to article 116 of the Code of Administrative Process.

Sommario: 1. Premessa – 2. I diversi orientamenti che si sono sviluppati – 3. L’orientamento accolto dal T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, sentenza 10 marzo 2020, n° 645 – 4. Riflessioni conclusive

 

1. Premessa

Nella sentenza in rassegna, il T.A.R. Sicilia – Catania, III sezione, è chiamato a doversi pronunciare sul silenzio della Pubblica Amministrazione rispetto ad una istanza di accesso civico – semplice e generalizzato – presentata da un cittadino.

La disciplina del diritto di accesso civico è contenuta nel D. Lgs. n° 33/2013, adottato in attuazione della legge 6 novembre 2012, n. 190, modificato e integrato dal D. Lgs. n° 97/2016 che ha introdotto l’accesso civico generalizzato[1].

Preliminarmente preme chiarire la distinzione tra:

– accesso procedimentale: disciplinato dagli artt. 22 ss. della legge 7 agosto 1990, n° 241, esercitato da chiunque sia titolare di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso e che si sostanzia nel diritto di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi;

– accesso civico semplice: disciplinato dal comma 1, dell’art. 5, D. Lgs. n° 33/2013, implica il diritto per chiunque di accedere a dati, documenti e informazioni di cui sia stata omessa la pubblicazione e la Pubblica Amministrazione sia obbligata a pubblicarli;

– accesso civico generalizzato: disciplinato dal comma 2, dell’art. 5, D. Lgs. n. 33/2013, implica il riconoscimento a chiunque del diritto accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione.

Risalta subito agli occhi una importante differenza tra accesso ai documenti ed accesso civico, semplice o generalizzato che sia, consentendo il primo una ostensione più approfondita ed il secondo, ove le esigenze di controllo diffuso del cittadino devono consentire una conoscenza più estesa ma meno approfondita, l’accesso ad una larga diffusione di dati, documenti e informazioni, fatti salvi i limiti posti a salvaguardia di interessi pubblici e privati suscettibili di vulnerazione. Senz’altro la differenza principale tra le due tipologie di accesso, procedimentale e civico, si staglia nella circostanza per cui mentre la legge n° 241/1990 fa salva l’Amministrazione da un controllo generalizzato a prescindere dalla titolarità per l’istante di un interesse diretto, concreto e attuale, la disciplina del D. Lgs. n° 33/2013 favorisce un controllo diffuso sull’esercizio dell’azione amministrativa e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché permette l’accesso al dibattito pubblico[2].

In questo contesto è fuor di dubbio che l’istituto in esame sia da farsi rientrare nel novero degli strumenti predisposti dal legislatore, al fine precipuo di prevenire il fenomeno della corruzione nella Pubblica Amministrazione; altresì, si rileva come l’istituto de quo sia finalizzato a promuovere la trasparenza dell’azione amministrativa, atteso che nell’art. 1, del D. Lgs. n° 33/2013, la stessa è elevata a principio generale [3], a differenza del disposto dell’art. 1, della legge n° 241/1990, in cui la trasparenza è solo uno dei criteri che sorreggono l’attività amministrativa. Le informazioni, i dati e i documenti si configurano, quindi, come il “bene della vita” cui il cittadino aspira, al fine di soddisfare il proprio diritto a conoscere e partecipare[4].

Ora, venendo alla sentenza in rassegna, la III sezione del T.A.R. Sicilia, Catania, affronta le seguenti questioni:

– anzitutto viene ribadita la non reiterabilità dell’istanza di accesso, rispetto alla quale la Pubblica Amministrazione sia rimasta silente, qualora il silenzio non sia stato impugnato entro il termine temporale previsto a pena di decadenza. Conseguentemente, laddove ciò nonostante fosse nuovamente reiterata l’istanza di accesso e l’Amministrazione rimanesse ancora silente, è preclusa la possibilità di proporre ricorso avverso l’ulteriore silenzio, in quanto non vi è stata alcuna nuova istruttoria da parte dell’Amministrazione. In altri termini e ragionando a contrario, l’istanza di accesso potrà essere reiterata solamente allorquando abbia ad oggetto o fatti nuovi, a prescindere se siano sopravvenuti, purchè non rappresentati nella precedente istanza, oppure, in ragione di una diversa prospettazione dell’interesse giuridicamente rilevante che legittima l’esercizio del diritto di accesso. Dunque, in mancanza di siffatti elementi di novità e laddove il privato si limiti a reiterare i medesimi fatti o ad illustrare ulteriormente le sue ragioni, l’Amministrazione a giusta ragione potrà ribadire la propria determinazione negativa, atteso che, a garanzia e tutela del buon funzionamento dell’azione amministrativa, deve essere esclusa a priori ogni possibilità che la stessa sia obbligata a riesaminare indefinitamente la medesima istanza priva di elementi di novità. Ergo la determinazione negativa successiva, assumerà carattere meramente confermativo del precedente diniego; id est l’atto meramente confermativo non è autonomamente impugnabile sia per carenza di interesse a ricorrere, sia al fine di scongiurare possibili elusioni ai termini di impugnazione dell’atto confermato. Diversamente, l’atto di conferma propria, che è quello adottato in esito ad una nuova istruttoria e alla valutazione ex novo degli interessi pubblici, è autonomamente impugnabile[5];

– viene sancita la tutela giudiziale avverso il silenzio dell’Amministrazione rispetto ad una istanza di accesso civico, mediante il ricorso al rito speciale di cui all’art. 116 c.p.a.;

– viene rilevato che l’omessa notifica del ricorso al Responsabile della prevenzione della corruzione e trasparenza, richiamando a tal proposito la giurisprudenza formatasi a seguito della sentenza n° 2230 del 26 settembre 2019 pronunciata dal medesimo organo giudicante, determinava l’inammissibilità del ricorso medesimo. Pertanto chiarisce che il comma 7, dell’art. 5, D. Lgs. n° 33/2013 deve essere interpretato nel senso che viene operata una distinzione, per quanto attiene alla chiamata in giudizio del soggetto che ha adottato la decisione impugnata, tra la figura del Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza e l’Amministrazione comunale, di talché qualora il primo abbia adottato il provvedimento impugnato deve essere anch’egli destinatario della notifica del ricorso.

Affrontate e risolte le questioni sub a) e sub c), di sicuro interesse per la nostra trattazione è la questione sub b), ossia, la tutela giudiziale avverso il silenzio rispetto ad una istanza di accesso civico.

2. I diversi orientamenti che si sono sviluppati

La sentenza in commento, affrontando un caso di mancato scrutinio di una istanza di accesso civico da parte della Pubblica Amministrazione, offre l’occasione per potersi soffermare sulla vexata quaestio del rito con cui assicurare tutela giudiziale al privato cittadino istante.

Preliminarmente, per poter chiarire il principio affermato dal giudice di prima istanza, è doveroso esaminare il dettato legislativo di cui all’art. 5, comma 6, D. Lgs. n° 33/2013; orbene, in tale disposizione si legge che il procedimento di accesso civico deve concludersi nel termine di trenta giorni, dalla presentazione della relativa istanza, con provvedimento espresso e motivato. Qualora l’istanza sia accolta, detto provvedimento avrà ad oggetto la trasmissione o la pubblicazione di dati, documenti, informazioni richiesti, mentre qualora l’istanza non è accolta, il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso dovranno essere motivati secondo quanto disposto dal successivo art. 5-bis.

Siano permesse due notazioni.

Alla luce della disciplina esposta non v’è chi non veda come la Pubblica Amministrazione, aggiungo “non solo” in quanto la disciplina sull’accesso civico investe sia soggetti pubblici che soggetti privati, rispetto al diritto di accesso civico svolge un’attività vincolata con riferimento sia ai documenti di cui è permessa l’ostensibilità, che ai documenti di cui la stessa è vietata perché riferiti a materie per le quali l’accesso civico incontra un limite insuperabile.

Non solo, il legislatore ha previsto l’onere per i soggetti ai quali è sottoposta l’istanza di accesso, di concludere il procedimento con un provvedimento espresso sia esso di accoglimento, rifiuto, differimento o limitazione del diritto de quo; dunque, il legislatore ha omesso di predisporre, diversamente dalla legge n° 241/1990 in relazione all’accesso procedimentale, una disciplina ad hoc nell’ipotesi in cui l’Amministrazione rimanga silente (rectius del silenzio diniego). Ne consegue che in ipotesi di silenzio, come nel nostro caso, si configura un vero e proprio silenzio inadempimento.

A differenza del silenzio diniego, che ricorre quando la legge expressis verbis attribuisce all’inerzia della Pubblica Amministrazione valore di rigetto dell’istanza o del ricorso[6], il silenzio inadempimento si configura ogni qualvolta la legge impone alla Pubblica Amministrazione di concludere entro un certo termine il procedimento con un provvedimento espresso e senza disciplinare l’ipotesi dell’inerzia.

È opportuno evidenziare che nello schema originario, il D. Lgs. n° 97/2016 prevedeva il silenzio rigetto, rispetto al quale il Consiglio di Stato, Sezione Consultiva, nel parere n. 515/2016 rilevava che all’attribuzione ai singoli cittadini del diritto di richiedere informazioni alle Amministrazioni, fa da contraltare il corrispondente obbligo di queste ultime di indicare gli eventuali motivi posti a base dell’eventuale diniego di accesso, coerentemente con la ratio dell’istituto in esame che si ispira al F.O.I.A. statunitense; di talché, non poteva ammettersi la laconica previsione “Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta”. L’eventuale introduzione, rispetto all’accesso civico generalizzato, dell’istituto del silenzio rigetto non avrebbe prodotto altro risultato che indurre il cittadino ad agire in giudizio, trascorsi invano i trenta giorni entro cui ricevere riscontro espresso all’istanza di accesso civico, per vedere riconosciute le proprie ragioni, senza conoscere quelle per cui l’amministrazione gli ha negato le informazioni[7].

Atteso che l’inerzia della Pubblica Amministrazione nel caso di specie configura il silenzio inadempimento, tale assunto ha acquisito importanza in relazione ai due orientamenti che si sono sviluppati in ordine alla tutela giudiziale avverso tale silenzio.

L’argomentazione posta a sostegno dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui, avverso il silenzio della Pubblica Amministrazione rispetto ad una istanza di accesso civico, debba farsi ricorso al rito speciale di cui all’art. 117 c.p.a., si fonda sulla seguente ricostruzione, ossia, nei casi di diniego parziale o totale all’accesso o in caso di mancata risposta allo scadere del termine per provvedere, non si forma silenzio rigetto, ma il cittadino può attivare la speciale tutela amministrativa interna davanti al RPCT formulando istanza di riesame, alla quale deve essere dato riscontro entro i termini normativamente prescritti. Tale procedura di tutela amministrativa interna trova radice proprio nell’esigenza di assicurare al cittadino una risposta, chiara e motivata, attraverso uno strumento rapido e non dispendioso, con il coinvolgimento del responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, che svolge un ruolo fondamentale nell’ambito della disciplina di prevenzione della corruzione e nell’attuazione delle relative misure. L’assenza di una tipizzazione legislativa del silenzio, implica l’onere per l’interessato di contestare l’inerzia dell’amministrazione attivando lo specifico rito di cui all’art. 117 c.p.a. e, successivamente, in ipotesi di diniego espresso, ai dati o documenti richiesti, il rito sull’accesso ex art. 116 c.p.a..

Sempre secondo tale argomentazione, attesa l’impossibilità che si formi un rigetto per silentium, mediante il rito ex art. 117 c.p.a., vi è la possibilità di chiedere un accertamento sulla fondatezza della pretesa del ricorrente (art. 31, comma 3 del c.p.a.). Il rito di cui all’art. 117 c.p.a. implica che il termine temporale entro cui è possibile proporre ricorso sia pari ad un anno, in base all’art. 31, comma 2, c.p.a., e decorre per legge dalla scadenza del termine per provvedere[8].

Rispetto a questo orientamento, ve ne è un altro che si pone in netta antitesi.

L’argomentazione su cui si fonda l’altro orientamento giurisprudenziale[9] secondo cui, avverso il silenzio della Pubblica Amministrazione rispetto ad una istanza di accesso civico, debba farsi ricorso al rito speciale di cui all’art. 116 c.p.a., ha ad oggetto la ricostruzione dell’inerzia dell’Amministrazione in termini di silenzio rifiuto, per cui, in ragione della plastica applicazione all’istituto dell’accesso civico generalizzato della disciplina dell’accesso documentale, la tutela avverso il silenzio rifiuto, o qualsivoglia provvedimento espresso di diniego o differimento, deve essere esercitata dall’istante nel termine perentorio di trenta giorni che decorrono dallo spirare del termine (sempre di trenta giorni) entro cui deve concludersi il procedimento amministrativo che ha avuto impulso con l’istanza di accesso civico e di cui al comma 6, dell’art. 5, del D. Lgs. n° 33/2013.

3. L’orientamento accolto dal T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, sentenza 10 marzo 2020, n° 645

L’orientamento da ultimo rappresentato, nel paragrafo che precede, è quello accolto nella sentenza in rassegna; il giudice di prime cure afferma di ritenere maggiormente coerente con una visione sistematica l’interpretazione secondo cui la disciplina sull’accesso documentale in ordine all’esercizio della tutela giurisdizionale sarebbe perfettamente applicabile anche alla simmetrica disciplina processuale riferita dal legislatore all’accesso civico generalizzato nella comune applicazione dell’art. 116 c.p.a..

All’orientamento secondo cui, avverso il silenzio della Pubblica Amministrazione rispetto all’istanza di accesso civico, debba farsi ricorso al rito speciale ex art. 116 c.p.a., vi aderisce autorevole dottrina[10] utilizzando argomenti che sono imperniati su capisaldi diversi dalla qualificazione dell’inerzia della Pubblica Amministrazione come silenzio rifiuto o silenzio diniego, atteso che svolgendo la P.A. un’attività vincolata in materia di accesso civico e mancando una espressa previsione legislativa di ipotesi di silenzio significativo, l’inerzia della Pubblica Amministrazione non può che configurare silenzio inadempimento.

Il primo argomento su cui si fonda la tutela giudiziale ex art. 116 c.p.a. avverso il silenzio sull’istanza di accesso civico, ha ad oggetto la natura giuridica del diritto di accesso; tale argomento sarà oggetto di trattazione diffusa nel paragrafo che segue.

Altresì si è rilevata la specialità del rito di cui all’art. 116 c.p.a. rispetto al rito ex art. 117 c.p.a.; dunque, si è osservato che alla luce del dispositivo del comma 7, dell’art. 5, D. Lgs. n° 33/2013, che prevede il ricorso al rito ex art. 116 c.p.a. avverso la decisione espressa dell’Amministrazione o del RPCT, deve considerarsi applicabile detto rito anche all’ipotesi di inerzia della Pubblica Amministrazione[11].

Non solo, è stato rilevato come l’art. 116 c.p.a., richiamando genericamente “…le determinazioni e il silenzio…” non specifichi a quale tipologia di silenzio si riferisca; dunque, in considerazione del principio che il più contiene il meno, nella parola “silenzio” dovrebbe essere ricompreso anche il silenzio – inadempimento, sebbene la disposizione in esame sia stata approvata prima dell’introduzione dell’istituto dell’accesso civico e, quindi, il paradigma di riferimento all’epoca fosse solo il silenzio – diniego di cui alla legge n° 241/1990[12].

Inoltre, a sostegno della tesi dell’applicabilità del rito ex art. 116 c.p.a., si è evidenziato che ancor prima della previsione nell’art. 5 del D. Lgs. n° 33/2013 dell’istituto dell’accesso civico generalizzato, l’art. 52, rubricato “Modifiche alla legislazione vigente”, alla lettera “c” prevedeva l’integrazione del comma 1, dell’art. 116, mediante l’inserimento del seguente inciso “nonché per la tutela del diritto di accesso civico connessa all’inadempimento degli obblighi di trasparenza”; di talché, si è sancita la tutela delle ragioni del richiedente mediante il rito speciale di cui si discute.

Meno convincente appare il richiamo alle linee guida disposte dall’Autorità Nazionale Anticorruzione con la determinazione n° 1309 del 28 dicembre 2016[13], in cui si prevede expressis verbis che a fronte del rifiuto espresso, del differimento o dell’inerzia dell’amministrazione, il richiedente può attivare la tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo, ai sensi dell’articolo 116 del c.p.a.; tale argomento non può ritenersi fondante la tesi in commento, non fosse altro perché detta determinazione non ha alcuna efficacia vincolante.

È importante evidenziare che l’orientamento favorevole al ricorso al rito ex art. 116 c.p.a. implica un diverso termine temporale entro cui poter impugnare il silenzio – inadempimento della Pubblica Amministrazione, ossia, 30 (trenta) giorni che decorrono dallo spirare del termine entro cui la stessa avrebbe dovuto pronunciarsi con un provvedimento espresso sull’istanza di accesso civico; diversamente, qualora si opti per il rito ex artt. 31 e 117 c.p.a., l’azione avverso il silenzio – inadempimento è proponibile, ai sensi del comma 2 dell’art. 31 c.p.a., entro e non oltre un anno dallo spirare del termine temporale entro cui avrebbe dovuto concludersi il procedimento. Appare doveroso precisare che ai sensi dell’art. 31, comma 3, del c.p.a. il Giudice è legittimato a pronunciarsi sulla fondatezza dell’istanza e quindi a stabilire se possa essere consentita l’ostensione dei documenti rispetto ai quali si esercita il diritto di accesso oppure ordinare alla Pubblica Amministrazione di rendere conoscibili i documenti, i dati e le informazioni richiesti[14]. Laddove invece il cittadino procedesse ai sensi del solo art. 117 c.p.a., non potrebbe ottenere altro che l’accertamento da parte del Giudice, in capo alla Pubblica Amministrazione, della violazione del dovere di concludere il procedimento con un provvedimento espresso e la condanna della stessa ad adottare il provvedimento che aveva omesso di adottare per concludere il procedimento.

4. Riflessioni conclusive

L’orientamento accolto dalla sentenza in commento appare quello preferibile; al di là degli argomenti su cui si sono attestate le posizioni di dottrina e giurisprudenza, la questione che assume carattere dirimente rispetto al “nodo gordiano” del rito speciale a cui fare ricorso per assicurare tutela giudiziale avverso il silenzio rispetto ad una istanza di accesso civico, sembra essere proprio la natura giuridica del diritto di accesso, rectius qualificazione del diritto di accesso come diritto soggettivo. In favore di tale ricostruzione vengono in rilievo numerosi indici che danno impulso a diversi spunti riflessivi.

In prima facie il diritto di accesso era stato qualificato, dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, come interesse legittimo[15]; su tale posizione si era attestata gran parte della giurisprudenza che veniva richiamata nella sentenza 24 giungo 1999, n° 16.

Rispetto a questo primo orientamento, l’Adunanza Plenaria, qualche anno più tardi, ritornava sui suoi passi attestandosi su una posizione diametralmente opposta; giunge a tale risultato con le sentenze n° 06/2006 e n° 07/2006. In particolare, in entrambe le sentenze, dal contenuto pressoché identico, si è affermato che per la configurazione del diritto di accesso quale diritto soggettivo viene in rilievo anzitutto il carattere vincolato dell’attività amministrativa, di cui si discorrerà a breve, compiuta dalla Pubblica Amministrazione in relazione all’istanza di accesso; laddove tale rilievo non fosse abbastanza convincente, risalta la peculiarità dei poteri istruttori e decisori del giudice amministrativo. I poteri istruttori sono volti a valutare la sussistenza dei requisiti sostanziali che legittimano l’accesso, prescindendo dalle ragioni addotte dalla P.A. nell’atto, mentre i poteri decisori sono volti ad imporre un obbligo di facere che si risolve nell’adempimento dell’ordine giudiziale di esibizione dei documenti. Altresì, ad appannaggio del diritto di accesso quale diritto soggettivo, veniva evidenziata tanto l’inclusione del diritto di accesso nei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e politici ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, in virtù del disposto dell’art. 22, comma 2, legge n. 241/1990, come modificato dalla legge n. 15 del 2005, quanto la riconduzione del giudizio in tema di accesso alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ex art. 25, comma 5, legge n. 241/1990, come modificato dalla legge n. 80 del 2005. Detto orientamento si è consolidato in virtù di una granitica giurisprudenza, anche precedente alle pronunce dell’Adunanza Plenaria da ultimo richiamate, che aderisce allo stesso[16].

A sostegno dell’orientamento che qualifica il diritto di accesso come diritto soggettivo, soccorre il Consiglio di Stato, sez. Consultiva per gli atti normativi, parere 13 febbraio 2006, n° 3586/05, emesso rispetto allo schema del d.p.r. n° 184/2006 che reca, com’è noto, il regolamento circa l’esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi; in specie, al punto 1 è affrontata la questione della natura giuridica del diritto di accesso e si afferma che, la ricostruzione del diritto di accesso come diritto soggettivo, dipende sia dalla definizione di cui al capo V della legge 241/1990, che da altri indici rivelatori tra cui la mancanza di discrezionalità per le Amministrazioni rispetto all’istanza del soggetto privato di prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi, la non necessità che il documento amministrativo sia relativo ad uno specifico procedimento, l’attribuzione delle controversie in materia alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e la correlata previsione della possibilità che tale giudizio si concluda con l’ordine di un facere per l’amministrazione[17].

Come si evince dal parere del Consiglio di Stato da ultimo richiamato, uno degli indici rivelatori per cui il diritto di accesso può essere ricostruito in termini di diritto soggettivo, è la mancanza di discrezionalità nell’attività delle Amministrazioni a fronte di un’istanza di accesso; bene, giova ricordare come proprio il carattere, vincolato o discrezionale, dell’attività amministrativa permette di identificare la natura della situazione giuridica di cui è titolare il destinatario.

Dunque, laddove la Pubblica Amministrazione esercita un’attività discrezionale saremo in presenza di un interesse legittimo, atteso che il conseguimento e la conservazione della situazione giuridica di cui è titolare il privato sono rimessi alla discrezionalità della prima che dovrà garantire che non sia sacrificato l’interesse pubblico per il soddisfacimento dell’interesse legittimo del privato; qualora, invece, la Pubblica Amministrazione svolga un’attività vincolata in tutti i suoi elementi dalla legge, saremo in presenza di un diritto soggettivo. In tale ultima ipotesi il privato è in grado di poter prevedere anzitempo se la P.A., rispettando i vincoli derivanti dalla legge, riconoscerà o meno il vantaggio o il bene della vita.

Certo che il diritto di accesso deve essere ricostruito in termini di diritto soggettivo, sulla scorta di quanto sin quì detto, viene in rilievo l’incompatibilità col rito speciale ex art. 117 c.p.a.; il rito speciale de quo è esperibile solo a tutela di posizioni di interesse legittimo e non se l’inerzia è serbata a fronte di un’istanza diretta al riconoscimento di un diritto soggettivo[18].

A ciò si aggiunga che l’istituto del silenzio – rifiuto in senso tecnico, che comprende il solo comportamento omissivo che maturi a fronte di un’istanza diretta a far valere una posizione di interesse legittimo e non anche l’inerzia della P.A. a fronte di un’istanza diretta a far valere un diritto soggettivo, trova la sua giustificazione laddove la realizzazione dell’interesse sostanziale del ricorrente sia subordinata alla valutazione della compatibilità con l’interesse pubblico e di conseguenza richieda la collaborazione dell’Amministrazione cui, istituzionalmente, compete tale valutazione. Quando, invece, si è in presenza di diritti soggettivi e, quindi, si facciano valere interessi non correlati al potere dell’Amministrazione, la procedura del silenzio appare inutile, ben potendo il soggetto ottenere una tutela più diretta ed immediata tramite un’azione di accertamento, senza la necessaria intermediazione di un provvedimento formale[19]. Si potrà eccepire che nel codice del processo amministrativo allo stato dell’arte manchi una disciplina delle azioni di accertamento, sebbene nel testo originario predisposto dalla Commissione presso il Consiglio di Stato fosse stata prevista. A tal proposito si afferma che nella giurisdizione di legittimità oggetto di tutela è l’interesse legittimo, pertanto il relativo titolare non riceverebbe alcuna soddisfazione dalla sentenza di mero accertamento della sussistenza dello stesso; discorso diverso va fatto per il titolare del diritto soggettivo, il quale è soddisfatto da una sentenza di mero accertamento del suo diritto. Per la soddisfazione dell’interesse legittimo è necessaria l’eliminazione degli effetti dell’azione amministrativa, nel caso di interesse legittimo oppositivo, ovvero, la produzione degli effetti dell’agire dell’Amministrazione, nel caso di interesse legittimo pretensivo. Ciò nonostante l’azione di mero accertamento, benché atipica, è praticabile qualora le azioni tipiche non siano in grado di soddisfare in modo adeguato il bisogno di tutela, purché sia sorretta da un interesse ad agire concreto ed attuale ex art. 100 c.p.c.; tale praticabilità risulta in forza delle coordinate costituzionali e sovranazionali nell’art. 1 c.p.a.[20].

Alla luce dei rilievi svolti, appare pienamente giustificata l’adesione all’orientamento che predilige il rito speciale di cui all’art. 116 c.p.a. ai fini della tutela giudiziale avverso il silenzio rispetto ad una istanza di accesso civico; appare doveroso precisare che il rito de quo, sebbene abbia carattere impugnatorio in quanto finalizzato ad ottenere la pronuncia di annullamento del provvedimento di rigetto espresso o degli effetti del silenzio, di fatto è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto all’accesso in capo a colui che ne fa richiesta. Non si può tralasciare che a norma del comma 4, dell’art. 116 c.p.a., il giudice, come detto poc’anzi, oltre ad essere legittimato a verificare la sussistenza del titolo che giustifichi l’accesso, è legittimato anche a verificare l’esistenza delle condizioni richieste dalla legge per ordinare all’Amministrazione di esibire gli atti richiesti; tale ordine di esibizione si sostanzia in un facere cui l’Amministrazione è obbligata.

Una notazione è d’obbligo circa i poteri del giudice amministrativo a fronte del silenzio dell’Amministrazione.

Qualora il diritto di accesso civico investa documenti amministrativi sulla cui conoscenza la P.A. è chiamata ad esercitare un’attività vincolata, scevra da ogni margine di discrezionalità, il giudice amministrativo dovrà, oltre che pronunciare sull’annullamento degli effetti del silenzio, verificare la sussistenza del titolo che legittimi l’accesso e quindi la sussistenza delle condizioni per cui ordinare alla P.A. di esibire gli atti. In altre parole, in questa ipotesi il giudice si sostituisce all’Amministrazione e compie quell’attività valutativa che avrebbe dovuto compiere quest’ultima.

Diversamente si dipanano i poteri del giudice amministrativo allorquando il diritto di accesso civico sia esercitato in ipotesi in cui l’ostensibilità dei documenti sia rimessa all’attività valutativo – discrezionale della P.A. e quindi, detta attività, sia priva del carattere vincolante; in tale ultima ipotesi, il giudice amministrativo, in caso di silenzio, dovrà limitarsi ad ordinare alla Pubblica Amministrazione di pronunciarsi in merito all’istanza. In altri termini, nell’ipotesi prospettata da ultimo, il giudice amministrativo non potrà compiere un’attività valutativa della sussistenza del titolo che giustifichi l’accesso, di talché non potrà ordinare l’ostensione dei documenti; tanto, in ragione dei limiti posti dal comma 2, dell’art. 34 c.p.a., che vieta al giudice di potersi pronunciare su poteri non ancora esercitati dalla Pubblica Amministrazione. Non si può concludere diversamente in quanto, ragionando al contrario, laddove si sottacesse il divieto di cui al comma 2, dell’art. 34 c.p.a., si avrebbe una indebita compressione della discrezionalità della P.A. cui farebbe da contraltare l’illegittimo esercizio della giurisdizione di merito da parte del giudice amministrativo, in una materia che invece è devoluta alla giurisdizione esclusiva.

Come afferma la sez. V, del Consiglio di Stato, nella sentenza 12 febbraio 2020, n° 1121, il diniego rispetto all’istanza di accesso civico, afferente ad un’attività di valutazione di tipo discrezionale della P.A. che può investire profili di insindacabile merito politico, non potrebbe in alcun modo essere superato da un’attività sostitutiva compiuta dal Giudice amministrativo; il sindacato di quest’ultimo, circa le valutazioni compiute dalla P.A. in ordine al silenzio-diniego, potrà investire solamente i profili della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria che si palesano come veri e propri confini entro cui il giudice potrà muoversi.

Conclusivamente, allo stato dell’arte, sebbene vi sia divisione in seno a giurisprudenza e dottrina sul rito applicabile in concreto a fronte del silenzio della P.A. avverso l’istanza di accesso civico, un dato è certo: qualora sia stata sottoposta un’istanza di accesso civico rispetto alla quale l’Amministrazione sia rimasta silente e la stessa sia chiamata a svolgere un’attività vincolata, quale che sia il rito proposto, questo ricomprende una vera e propria azione di accertamento mediante la quale il giudice accerterà direttamente il diritto all’ostensione dei documenti, di talchè ordinerà alla P.A. di rendere conoscibili gli stessi. A tale risultato, qualora si opti per il rito ex art. 117 c.p.a., in luogo del rito di cui all’art. 116 c.p.a. come si è finora sostenuto, si potrà addivenire mediante l’azione di cui all’art. 31, comma 3, del c.p.a., come sopra precisato.

 

 

 

 

 

 


[1] Tale istituto è un equivalente del “Freedom of information act” (FOIA) statunitense, risalente all’anno 1966, che costituisce il primo esempio di istituto con cui permettere ai cittadini di partecipare alla vita pubblica. Del resto all’interno dell’Unione Europea già diversi Stati, molto prima dell’Italia, avevano introdotto un simile istituto tendente a garantire la trasparenza dell’azione della Pubblica Amministrazione. Utilizzando una metafora coniata da Filippo Turati in un celebre discorso tenuto alla Camera dei Deputati nel lontano 1908, è possibile affermare che l’istituto in esame contribuisce a far sì che la Pubblica Amministrazione sia una “casa di vetro”, così che l’azione amministrativa sia trasparente, chiara e corretta.
[2] Tar Lazio, sez. II bis, sentenza del 02 luglio 2018, n° 7326, in www.giustizia-amministrativa.it.
[3] Recita testualmente il comma 1, dell’art. 1 del D. Lgs. n° 33/2013: “La trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche.
[4] Tar Campania, sez. VI, sentenza del 27 agosto 2019, n° 4418, in www.giustizia-amministrativa.it
[5] Cfr. Adunanza Plenaria, Consiglio di Stato, sentenza 18 aprile 2006, n. 6; T.a.r. Lombardia, Brescia, sez. I, 01 febbraio 2019, n° 106; TAR Puglia – Bari, Sez. I, 29 ottobre 2019, n.1408, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
[6] Per chiarire la portata dell’enunciato, si veda il comma 4 dell’art. 25 della legge n° 241/1990 che testualmente recita “Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta…”.
[7] Consiglio di Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, pare del 24 febbraio 2016, n° 515, in www.giustizia-amministrativa.it.
[8] Tar Campania, sez. VI, sentenza del 27 agosto 2019, n° 4418, in www.giustizia-amministrativa.it.
[9] Consiglio di Stato, sez. VI, 29 aprile 2019, n. 2737; Tar Puglia, Bari, sez. I., 18 ottobre 2018, n° 1344, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
[10] V. Parisio, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni nella prospettiva giurisdizionale, in www.federalismi.it, rivista di diritto pubblico n° 11/2018; M. Fratini, Manuale sistematico di Diritto Amministrativo, Accademia del Diritto editrice, Roma, 2019.
[11] A. Corrado, Il silenzio dell’Amministrazione sull’istanza di accesso civico generalizzato: quale possibile tutela processuale, in www.federalismi.it, rivista di diritto pubblico n° 5/2017.
[12] V. Parisio, La tutela dei diritti di accesso ai documenti amministrativi e alle informazioni nella prospettiva giurisdizionale, in www.federalismi.it, rivista di diritto pubblico n° 11/2018.
[13] Si veda la sezione rubricata “LA TUTELA” della “Guida operativa all’accesso generalizzato” allegata alla determinazione n° 1309, del 28 dicembre 2016, adottata dall’Anac.
[14] Così recita testualmente il comma 3, dell’art. 31 c.p.a.: “Il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione”.
[15] L’Adunanza Plenaria, Consiglio di Stato, con la sentenza 24 giugno 1999, n° 16, evidenziava che il termine “diritto”, utilizzato in senso atecnico tra gli artt. 22 e 25 della l. n° 241/1990, va interpretato alla luce della norma che prescrive il termine perentorio per la proposizione del ricorso, nonché della disciplina generale che regola il processo amministrativo di legittimità, compatibili con il rito speciale previsto dall’articolo 25 della legge sul procedimento amministrativo. Pertanto, tranne nei casi in cui la legge compatibile con la Costituzione prevede il ricorso alla giurisdizione ordinaria, sussiste una posizione di interesse legittimo, che trova copertura costituzionale sotto l’art. 103, quando un provvedimento amministrativo è impugnabile entro un termine perentorio, sebbene incida su posizioni che comunemente e genericamente sono definite di diritto. In altri termini, il giudice di ultima istanza qualifica il diritto di acceso come interesse legittimo sulla scorta sia del termine perentorio entro cui proporre ricorso, che della tipologia del giudizio, ossia, un giudizio di impugnazione. Conclude aggiungendo che in materia di accesso non si possono avere controversie su diritti soggettivi contrapposti, bensì su “interessi legittimi” contrapposti, atteso che l’interesse del soggetto leso dall’atto giustifica il ricorso giurisdizionale e la sua legittimazione, mentre l’interesse del soggetto non leso dall’atto, ma che lo sarebbe nel caso di accoglimento del ricorso, comporta la sussistenza di un controinteressato in senso tecnico. Di talchè, come ha affermato lo stesso giudice di ultima istanza nella giurisprudenza successiva, ai fini della configurazione del diritto di accesso quale interesse legittimo si è sottolineato il collegamento della posizione del privato con l’interesse pubblico e si è posto l’accento sulla struttura impugnatoria del giudizio.
[16] Consiglio di Stato, sez. V, 7 aprile 2004 n° 1969; Consiglio di Stato, sez. V, 8 settembre 2003 n° 5034; Consiglio di Stato, sez. VI, 12 aprile 2005, n° 1679; Consiglio di Stato, sez. VI, 27 maggio 2003, n° 2938; T.a.r. Lombardia, Brescia, sez. II, 11 giugno 2010, n° 2310; Consiglio di Stato, sez. IV, 11 aprile 2014, n° 1768; T.a.r. Puglia, sez. III, 16 giugno 2017, n° 677; T.a.r. Puglia, sez. III, 29 gennaio 2018, n° 118; tutte in www.giustizia-amministrativa.it
[17] P. Caputi Jambrenghi, PERCORSI DI DIRITTO AMMINISTRATIVO, aa.vv., Giappichelli, Torino, 2014.
[18] N. Durante, I rimedi contro l’inerzia dell’amministrazione: istruzioni per l’uso, con un occhio alla giurisprudenza e l’altro al codice del processo amministrativo, approvato con decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, in www.giustizia-amministrativa.it.
[19] Consiglio di Stato, sez. IV, 12 novembre 2009, n° 3886, in www.giustizia-amministrativa.it
[20] M. Fratini, Manuale sistematico di Diritto Amministrativo, Accademia del Diritto editrice, Roma, 2019.

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