Sindacato giurisdizionale sul provvedimento sanzionatorio dell’AGCM: l’intervento delle Sezioni Unite

Sindacato giurisdizionale sul provvedimento sanzionatorio dell’AGCM: l’intervento delle Sezioni Unite

Con l’ordinanza 7 maggio 2019, n. 11929. le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute nel tentativo di dirimere un annoso contrasto giurisprudenziale che vede coinvolte la dottrina e la giurisprudenza più significative: si tratta del tema dei rapporti tra esigenza di effettività del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti emanati dalle Autorità Amministrative Indipendenti, da un lato, e necessità di garantire alle stesse un sufficiente spazio di autonomia ed indipendenza di giudizio, dall’altro; sottesa alla questione, inevitabilmente, risulta essere la esatta perimetrazione dello spatium deliberandi delle cosiddette Authorities, peraltro nell’ambito di materie caratterizzate da un elevato tasso di tecnicismo.

La questione portata all’esame del Supremo Consesso di legittimità riguardava la sanzione irrogata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in seguito, breviter, AGCM) nei confronti di una società colpevole di avere diffuso una forma di pubblicità ingannevole violando così gli articoli 19, 20 e 21 del Codice del Consumo (d.lgs. 206 del 2005); tale sanzione consisteva sia nel divieto di ulteriore diffusione del messaggio pubblicitario sia nell’obbligatoria corresponsione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno prodotto al mercato interessato.

Avverso tale sanzione ricorreva la suddetta società di fronte ai competenti organi della giustizia amministrativa, adducendo in particolare il difetto della diffusione tra il pubblico del messaggio pubblicitario e dunque, in ultima analisi, della reale lesività della propria condotta: Il Tar del Lazio prima, e il Consiglio di Stato, poi, hanno ritenuto nel caso di specie la illegittimità della sanzione irrogata dall’AGCM, condannando contestualmente l’Autorità al risarcimento del danno reputazionale, d’immagine e patrimoniale da lucro cessante nei confronti della società. In particolare, il Consiglio di Stato riduceva l’ammontare del risarcimento comminato dal giudice di prime cure, evidenziando come il difetto di diffusione del messaggio pubblicitario nella platea dei consumatori non consentisse di irrogare le sanzioni che l’AGCM aveva ritenuto di applicare nell’ipotesi in esame. Allo stesso tempo, tuttavia, rigettando le censure sul punto mosse dal ricorrente, i giudici del Consiglio di Stato hanno ritenuto che non si fosse verificata una illegittima ingerenza giurisdizionale in valutazioni tecnico discrezionali riservate all’autorità indipendente: infatti, si è addotto che fosse legittimo e strumentale ad una corretta valutazione decisionale l’esame da parte giudiziale dei presupposti di fatto che sottendano la decisione dell’Autorità emergenti dagli atti di causa.

L’AGCM decideva quindi di ricorrere, avverso la statuizione dei giudici amministrativi, di fronte alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ai sensi del combinato disposto degli articoli 110 del c.p.a.  e 362 comma 1 c.p.c. : si deduceva, infatti, il difetto di giurisdizione, essendosi il giudice amministrativo ingerito in valutazioni di fatto di natura tecnica riservate alla cognizione dell’autorità ed insindacabili sul piano giurisdizionale, a meno di non cagionare una invasione della sfera di attribuzioni riservate alla suddetta e pregiudicarne irreversibilmente il corretto espletamento dell’attività demandata.

Dunque, come enunciato in apertura, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate ad intervenire a dirimere il contrasto sulla questione della legittimità o meno di un provvedimento giurisdizionale di riforma di un precedente adottato dall’ Autorità Amministrativa Indipendente, sulla base della diversa valutazione dei presupposti di fatto assunti a fondamento della decisione.

Peraltro, è appena il caso di segnalare come le conclusioni assunte dal Supremo Consesso di legittimità nel caso in esame non siano estensibili indiscriminatamente a tutte le ipotesi di sindacato giurisdizionale su qualsiasi atto adottato da qualunque Autorità Amministrativa Indipendente: difatti, la crescente diffusione dell’attribuzione del potere di regolazione di ambiti sociali caratterizzati da una rapida evoluzione come da un elevato tecnicismo, ha condotto alla nascita di un ampia platea di authorities, talvolta estremamente eterogenee sul piano della costituzione, dei poteri, delle funzioni. In particolare, per ciò che qui riguarda, l’AGCM, cha ha la propria genesi con la legge 287 del 1990, ha la funzione di garantire il corretto funzionamento del mercato di modo che sia consentito a tutti gli operatori di accedervi ed operarvi in condizione di pari opportunità ( in attuazione dell’art. 41 Cost.). Sin dalla sua costituzione, all’Autorità sono stati attribuiti poteri di indagine, di diffida e di sanzione, nonchè la capacità di vigilare sulle intese restrittive della concorrenza, sugli abusi di posizione dominante e sulle operazioni di concentrazione. Nel corso degli anni, inoltre, le competenze dell’Autorità sono state ulteriormente estese, sino a comprendere la repressione delle pratiche commerciali scorrette vietate dal codice del Consumo, posto che il consumatore, quale perno centrale intorno al quale si realizza il mercato, contribuisce con le sue scelte a realizzare in maniera effettiva la concorrenzialità.

Sul piano giurisdizionale, ci si è sempre interrogati sull’ampiezza del sindacato del giudice amministrativo esclusivo ex art. 133 comma 1 lett. I del c.p.a. sul provvedimento emanato dall’AGCM. Quest’ultimo sul piano della natura giuridica intrinseca, può infatti essere ritenuto una manifestazione di discrezionalità tecnica amministrativa, come tale imponendo i relativi limiti di cognizione al giudice chiamato a valutarne la legittimità.

Si suole parlare di discrezionalità tecnica allorchè la Pubblica Amministrazione sia chiamata a valutare fatti o situazioni alla stregua di regole di carattere specialistico la cui applicazione non conduce ad un risultato univoco ma è caratterizzata dalla soggettività ed opinabilità dell’esito. Si assiste, dunque, in tali ipotesi, ad una duplice attività amministrativa: in primo luogo, in esito all’accertamento dei fatti, quella finalizzata all’applicazione agli stessi di regole a carattere tecnico specialistico;  successivamente, quella tesa all’individuazione discrezionale del provvedimento da adottare, sulla base delle risultanze delle valutazioni tecniche precedentemente effettuate.

E’ proprio nell’alveo di tale categoria provvedimentale che le Sezioni Unite in esame riconducono l’ipotesi del provvedimento dell’AGCM che irroga alla società autrice della pubblicità ingannevole sanzioni a carattere inibitorio e risarcitorio, in seguito al riscontro della violazione di regole proconcorrenziali sul mercato; come tale, la questione dell’ampiezza del sindacato del giudice amministrativo sul provvedimento in esame viene ricondotta a quella oggetto di una lunga evoluzione giurisprudenziale relativa all’estensione del potere giurisdizionale valutativo del provvedimento amministrativo risultante dall’applicazione di discrezionalità tecnica.

Nel fare ciò, il Supremo Consesso disattende le censure mosse dall’Autorità ricorrente, che adducevano una illegittima ingerenza del giudice amministrativo in ambiti riservati ad una valutazione di opportunità e di merito della sola Amministrazione, peraltro in omaggio alle sue peculiari caratteristiche di autonomia ed indipendenza, a favore dell’affermazione, alla stregua della giurisprudenza attualmente maggioritaria, di un sindacato per così dire “forte” sul provvedimento dell’authority (anche se è formalmente rigettata la tradizionale distinzione tra sindacato debole e forte del g.a.).

In primo luogo, le Sezioni Unite manifestano l’intenzione di confermare il consolidato orientamento secondo il quale è ammissibile il sindacato per motivi di giurisdizione allorchè sia dedotta la illegittima ingerenza del giudice amministrativo nella sfera del merito riservata alla Pubblica Amministrazione; infatti, le ipotesi di giurisdizione estesa al merito sono solo quelle enucleate dall’art. 134 del c.p.a., al di fuori delle quali si configurerebbe un illegittimo travalicamento di potere del giudice amministrativo che configurerebbe una species del genus eccesso di potere.

Così, confermata la sussistenza del potere giurisdizionale delle stesse Sezioni Unite nel dirimere la controversia in esame, si dà atto del consolidato orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo la quale è legittimo il controllo giurisdizionale sui provvedimenti sanzionatori delle Autorità Indipendenti, anche in ipotesi complesse caratterizzate da elevato tecnicismo: questo controllo può spingersi sino a rivalutare le scelte tecniche compiute, nonché a reinterpretare la valutazione di concetti giuridici indeterminati rispetto alla fattispecie in esame, in omaggio ad esigenze di effettività della tutela giurisdizionale altrimenti pregiudicate.

Questa impostazione si pone nella scia della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (corte EDU) la quale ha affermato che allorchè venga emanato un provvedimento a carattere sanzionatorio in esito ad un procedimento che non rispetti le garanzie di contraddittorio e partecipazione di cui all’art. 6 della Convenzione per i Diritti dell’uomo e le Liberta Fondamentali (CEDU), la violazione della disciplina convenzionale non si configura soltanto allorchè il deficit partecipativo sia sanato dalla possibilità di sottoporre successivamente la questione ad un organo indipendente ed imparziale il cui sindacato sia esteso sino al punto di potere valutare la fondatezza, l’esattezza e la correttezza delle scelte amministrative, realizzando di fatto un continuum tra procedimento amministrativo e giurisdizionale (sentenza Corte edu 27 novembre 2011, Menarini Diagnostic s.r.l. c. Italia, avente ad oggetto proprio una sanzione irrogata dall’AGCM; similmente, la sentenza del 4 marzo 2014, nel caso Grande Stevens c. Italia).

Orbene, le Sezioni Unite, facendo propri gli orientamenti espressi in seno al Consiglio di Stato e al Consesso di giustizia sovranazionale, hanno ritenuto legittimo il sindacato espletato dal g.a. sui provvedimenti adottati dall’AGCM, come peraltro già sussumibile dall’orientamento maggioritario in giurisprudenza; ciò in omaggio ad una primaria esigenza di garanzia di una tutela giurisdizionale piena ed effettiva, che sarebbe compromessa quando contestazioni di fatto da cui dipenda la legittimità del provvedimento che ha inciso sulla sfera giuridica del privato non siano considerate riconducibili nell’alveo del sindacato giurisdizionale.

Questa esigenza va peraltro contemperata sempre con la necessità di garantire all’Autorità sufficiente autonomia ed indipendenza di giudizio per espletare le delicate attività demandate: i giudici della Suprema Corte, ritengono pertanto che il limite ultimo del sindacato giurisdizionale del provvedimento sia legato alle questioni rispetto alle quali sussista un parametro giuridico di riferimento; allorchè, dunque, vi sia una disposizione normativa che disciplini l’attività esaminata, il sindacato giurisdizionale deve esplicarsi in modo pieno; allorchè, invece, il provvedimento si riferisca a circostanze di mero fatto, verrebbe meno l’elemento rispetto al quale raffrontare la legittimità della condotta dell’Amministrazione, con l’effetto di consentire una illegittima ingerenza nella sfera del merito e dell’opportunità dell’azione amministrativa, qualora il g.a. sostituisse la propria alla valutazione effettuata dall’Autorità. In sintesi, si tratta di un sindacato giurisdizionale pieno ma non sostitutivo delle attribuzioni dell’AGCM.

Riconducendo i principi esposti al caso in esame, il Supremo Consesso ha ritenuto legittima la valutazione compiuta dal Consiglio di Stato, in riferimento alla mancanza di diffusione tra il pubblico del messaggio pubblicitario ingannevole: infatti, il giudice amministrativo del caso di specie si era limitato a individuare i fatti posti a base del provvedimento, esaminare le prove fornite relativamente al contenuto del messaggio e alla sua diffusione, senza che tale sindacato abbia invaso la sfera della discrezionalità tecnica riservata all’Autorità. In altre parole, l’intervento giurisdizionale è sempre stato realizzato nei limiti del potere di controllo e di verifica attribuito dalla legge, senza mai sconfinare in un diverso potere di attribuzione o meno del bene della vita al privato interessato dall’esercizio del potere amministrativo.

In conclusione, si ritiene l’autorevole arresto giurisprudenziale il frutto di una necessaria opera di mediazione tra principi e valori contrapposti: la necessità di garantire una tutela piena ed effettiva al ricorrente, da un lato, anche in omaggio ai principi elaborati a livello sovranazionale con valore sempre più incisivo nell’ordinamento interno; il bisogno di preservare l’autonomia e l’indipendenza di giudizio delle Autorità, dall’altro, esigenza che non può essere sottovalutata nell’ottica della tutela dell’efficienza del mercato nel quale le stesse svolgono la loro funzione di regolazione. Nel fare ciò, si abbandona la tradizionale summa divisio tra sindacato debole e sindacato forte del giudice sul provvedimento amministrativo, a favore di una concezione mediana che intende il sindacato nelle ipotesi in esame pieno ed effettivo, anche se non sostitutivo.


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