Società unipersonale e normativa 231: riflessioni e problematiche applicative

Società unipersonale e normativa 231: riflessioni e problematiche applicative

Sommario: 1. Introduzione – 2. La costituzione in giudizio della società unipersonale – 3. Sull’inapplicabilità della normativa 231 alla società unipersonale

1. Introduzione

La responsabilità amministrativa da reato degli enti supera, come noto, il paradigma per cui “societas delinquere non potest”: anche la persona giuridica, laddove un suo esponente, apicale o dipendente e dunque in rapporto di c.d. immedesimazione organica con essa, commetta un reato (c.d. reato-presupposto) nel suo interesse o a suo vantaggio, può subire una sanzione.

Presupposto indefettibile è la possibilità di individuare nell’ente un centro di imputazione del suddetto interesse o vantaggio, in modo tale da non potersi ritenere sovrapponibile a quello della persona fisica rea del reato-presupposto.

Ciò risulta problematico con riferimento all’ente unipersonale; nel prosieguo verranno trattati solo alcuni dei profili meno pacifici, attenzionati sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, recente e non.

2. La costituzione in giudizio della società unipersonale

Il disposto dell’art. 39 del D.Lgs. 231/2001 prevede l’incompatibilità del legale rappresentante imputato per il reato-presupposto alla rappresentanza dell’ente nel processo 231. Di conseguenza, l’imputato non potrà in tale sede esercitare alcun diritto processuale spettante all’ente (tra cui, a titolo di esempio, la nomina del relativo difensore).

Tale particolare disciplina è finalizzata a far sì che il soggetto chiamato a rappresentare l’ente in sede processuale da un lato ne sia espressione, ma, dall’altro, sia quanto più possibile neutro rispetto alle vicende della persona fisica imputata per il reato-presupposto. L’obiettivo è quello di evitare che le posizioni difensive dei due procedimenti possano collidere, essendovi il rischio che il rappresentante dell’ente abbia interesse a discolpare la persona giuridica, sostenendo la consumazione del reato a vantaggio del solo autore del reato-presupposto, e viceversa, con conseguente conflitto di interessi in capo alla medesima persona.

Per garantire il perseguimento di queste finalità e, al contempo, per evitare ingerenze dell’autorità giurisdizionale nell’organizzazione interna della società, la Corte di Cassazione (Cass. Pen. Sez. VI, sentenza 19/06/2009 n. 41398) ha individuato la seguente soluzione: l’ente dovrebbe procedere, attraverso i meccanismi predisposti dallo statuto societario, con la nomina di un nuovo rappresentante legale, anche solo ad processum, al fine di poterne validamente manifestare la volontà.

E’ di tutta evidenza come ciò non sia attuabile nella società unipersonale dotata di un unico socio, il quale ricopra anche le cariche di unico amministratore e di rappresentante legale, dunque priva di una struttura complessa e organizzata. L’ente, infatti, non si compone di alcun altro soggetto diverso dall’imputato del reato-presupposto; chi dunque, se non lo stesso, potrebbe procedere alla nomina del rappresentante terzo richiesto dalla legge?

Ma, al contempo, se l’imputato procedesse a nominare un rappresentante terzo, questo sarebbe passibile di contestazione in punto di potenziale conflitto di interessi, proprio in quanto nominato dal primo: il fumus di parzialità deriva dallo status di imputato, per il reato-presupposto, del soggetto che procede con la nomina, che però in questo caso è l’unico in grado di poterlo fare.

La norma, presa alla lettera, impone una presunzione assoluta di conflitto di interessi implicante un impasse difficilmente superabile, l’assenza di modalità idonee alla costituzione in giudizio nel caso degli enti unipersonali. Occorre dunque integrare il disposto letterale della normativa con un’attività ermeneutica.

Trattandosi di capire come garantire l’esercizio effettivo e non compromesso del diritto di difesa nei due procedimenti paralleli, solo un concreto conflitto di interessi può pregiudicare tale interesse. Laddove esso si configuri solo in astratto, senza avere alcuna ricaduta sui procedimenti in corso e senza incidere in alcun modo sulla compatibilità delle tesi difensive in ciascuno sostenute, non si comprende per quale motivo debba costringersi il legale rappresentante, soggetto interno all’ente, a nominare un soggetto estraneo ad hoc, con, tra l’altro, le incertezze esposte sopra.

L’estraneo sarebbe molto meno utile ed efficace dal punto di vista dell’apporto che potrebbe fornire alla conoscenza del fatto contestato, sarebbe totalmente privo del rapporto di immedesimazione organica sopra citato, e sarebbe comunque nominato dal soggetto imputato per il reato-presupposto, e dunque anch’egli sarebbe a sua volta passibile di sospetto conflitto di interessi con l’ente. Una nomina che non sarebbe sostenuta da alcuna logica, da alcuna ratio giuridicamente apprezzabile.

La necessità che sia dimostrato un concreto conflitto di interessi per invalidare la costituzione è, tra l’altro, già stata recepita in un precedente di legittimità (Cass. Pen. Sez. IV, sentenza 7/09/2017 n. 40712).

Inoltre, la Corte Costituzionale (sentenza 27/07/2011 n. 249) ha precisato che la funzione della dicotomia nei due procedimenti è la garanzia per le parti di “elaborare autonomamente la propria strategia difensiva” e di un “pieno ed effettivo contraddittorio”; concetto ribadito dalle Sezioni Unite (Cass. Pen. Sez. Un., sentenza 28/05/2015 n. 33041) laddove affermano che la normativa in esame discende dalla necessità che l’ente sia rappresentato “senza ombre o sospetti di inquinamento della strategia difensiva prescelta”.

Nel caso dell’ente unipersonale, gli interessi della persona fisica e di quella giuridica sono pienamente sovrapponibili e, di conseguenza, non si rinviene alcuna incompatibilità tra tesi difensive tale da inficiare una comune rappresentanza.

Se non si riesce ad individuare con certezza una modalità regolare per la costituzione in giudizio proprio a causa dell’assenza di una struttura complessa (non avendosi cda/assemblea di soci che possano nominare un legale rappresentante che manifesti in giudizio la volontà dell’ente), come può procedersi nel merito nei confronti della società senza incorrere in un difetto di integrazione del contraddittorio?

3. Sull’inapplicabilità della normativa 231 alla società unipersonale

Come già accennato nel paragrafo precedente, non è individuabile nell’ente in questione un centro autonomo di imputazione e di interesse distinto e ulteriore rispetto a quello della persona fisica.

Ciò, come noto, ha indotto innanzitutto la dottrina a ritenere non applicabile la normativa 231 a questo tipo di società. Tre sono gli elementi indefettibili affinché possa parlarsi di responsabilità 231: la collettività della persona giuridica, la netta separazione tra il suo interesse o vantaggio e quello dell’autore materiale del reato-presupposto, la sussistenza di un centro di imputazione della scelta criminosa del tutto autonomo e indipendente rispetto a quello del singolo individuo.

Ciò è quanto emerge dalla Relazione Ministeriale al decreto, che progetta la normativa in esame per gli enti collettivi in quanto è nei soggetti a struttura organizzata e complessa che possono realizzarsi le manifestazioni di reato che il legislatore intende punire.

Tale finalità di politica criminale ha condotto anche la Corte di Cassazione a ritenere non applicabile la normativa agli enti che non ne siano dotati (Cass. Pen. Sez. VI, 22/04/2004 n. 18941, a cui rinvia Cass. Pen. Sez. VI, 16/05/2012 n. 30085).

Le più recenti pronunce, inoltre, focalizzano l’attenzione sulla necessità che si accerti in concreto la dimensione dell’impresa, la sua struttura organizzativa, ma anche il tipo di inserimento della persona fisica nella compagine societaria, al fine di valutare la sussistenza (o meno) di criteri di collegamento teleologico tra l’azione commessa dalla persona fisica e l’interesse o il vantaggio di quella giuridica: essenziale è la disgiunzione tra l’interesse della società e quello del rappresentante (Cass. Pen. Sez. VI, 16/02/2021 n. 45100).

Si aggiunga che vi sono anche dei recenti precedenti di merito sul punto (Tribunale di Milano, Ufficio GIP, sentenza n. 971 del 16/07/2020). E’ stato precisato che la normativa 231 punisce forme di colpa di organizzazione non ravvisabile nell’impresa individuale, in ragione della sostanziale coincidenza tra persona fisica e attività imprenditoriale esplicata (Tribunale di Ravenna, sentenza n. 1056/2021 del 24/05/2021). In tali casi, è stato pronunciato proscioglimento con la formula “perché il fatto non sussiste”.

Laddove si sia di fronte ad una società c.d. socio-centrica, nella quale è possibile rinvenire l’assimilabilità della sostanza economica della persona fisica e di quella giuridica, la punizione di entrambi i soggetti costituirebbe una duplicazione del trattamento sanzionatorio, in violazione dei principi di personalità della responsabilità penale e di divieto di bis in idem sostanziale. 


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Lara Gallarati

Avvocato presso il Foro di Milano.

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