Soft skills ed emergenza sanitaria fattori acceleranti la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione

Soft skills ed emergenza sanitaria fattori acceleranti la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione

Sommario: Premessa – 1. Emergenza sanitaria accelera la trasformazione digitale – 2. Verso il superamento del digital divide3. Il progresso digitale in Italia – 4. Gli ostacoli alla trasformazione digitale della P.A. – 5. Conclusioni

 

Premessa

L’avvento di nuove tecnologie cambia il modo di stare al mondo. Nel corso della storia lo stravolgimento del contesto è un processo costante e inarrestabile. Basti pensare all’invenzione della stampa. La diffusione dei libri priva di senso la professione dell’amanuense. Neppure l’evoluzione della tecnica di copiatura in “arte della calligrafia” salva dall’estinzione questa nobile attività. Alla stessa stregua, l’ottimizzazione del processo operativo, sebbene comporti una riduzione dei tempi di esecuzione, non riesce a renderla meno inutile.

Nasce la nuova figura professionale dello stampatore che soppianta quella del copista, suggellando l’avvenuta conversione. Ma non finisce qui. Alcuni secoli più tardi, la carta stampata è affiancata dalla versione in formato digitale. La vendita degli ebook conquista quote crescenti del mercato editoriale, mettendo in crisi l’antico mestiere del libraio. Gli esempi di quella che Joseph Shumpeter chiama distruzione creatrice[1] potrebbero continuare.

La rinuncia all’uso del termine “digitalizzazione”, in luogo dell’espressione “trasformazione digitale”, eviterebbe di enfatizzare la parte per esprimere il tutto. Così, fino al secolo XIX, la stessa attitudine all’artificio retorico della sineddoche[2] conduceva a chiamare “vele” le navi che navigavano grazie alla spinta del vento. Altra espressione, assai frequente, prima dell’avvento della propulsione meccanica, è quella usata per distinguere le imbarcazioni dal numero di “alberi”.

Analoga sorte tocca alla legge (al singolare) identificata con la complessità dell’ordine giuridico[3]. Capita, spesso, infatti, che l’attenzione nei confronti del processo digitale ponga in secondo piano le dimensioni economica, psicologica e sociale che connotano il complesso itinerario che sfocia nella c.d. trasformazione digitale. Il comportamento degli esseri viventi tende ad essere conservativo. La tendenza a mantenere inviolata la propria comfort zone nasce sia dalla paura del cambiamento che dall’esigenza di consolidare una posizione di potere. Nella perenne sfida tra lo status quo e l’innovazione, l’elemento di rottura costringe alla ridefinizione dinamica degli equilibri in gioco. Non a caso, Goethe afferma che:  «Niente è più difficile da vedere con i propri occhi di quello che si ha sotto al naso»[4].

1. Emergenza sanitaria accelera la trasformazione digitale

Così, accade che gli effetti della pandemia da Covid-19, pur nella loro tragicità, accelerino in misura considerevole i progetti di cambiamento. L’implementazione dei servizi digitali diventa una necessità imprescindibile quando, per contenere il rischio della diffusione del virus, la tradizionale modalità di interazione analogica risulta impraticabile. L’emergenza sanitaria induce le aziende a rimodellare repentinamente i rapporti di lavoro per rispondere alle mutate esigenze.

La pubblica amministrazione è “costretta” a confrontarsi con i vantaggi derivanti dall’applicazione del c.d. fascicolo digitalizzato che, sebbene sia disponibile da qualche decennio, continua ad essere sottoutilizzato rispetto alla polverosa e anacronistica attitudine all’archiviazione cartacea. La crisi pandemica offre l’occasione di dimostrare come l’informatica possa rappresentare un efficace strumento di lavoro alla portata di tutti. Anzi, l’uso degli ultimi ritrovati tecnologici consente alla P.A. di rimanere al passo con i tempi, garantendo l’erogazione di quei servizi necessari alla sua stessa sopravvivenza.

Tuttavia, nonostante il frequente ricorso alle piattaforme di videoconferenza per riunioni, sedute istituzionali  e sessioni formative, che ha permesso di compiere da remoto tutte le attività normalmente svolte in presenza, l’interoperabilità tra enti diversi non raggiunge livelli soddisfacenti. La piena realizzazione del principio once only è ancora di là da venire. L’agognato stato di grazia del cittadino che riesce ad ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo non è stato centrato appieno. Un luogo virtuale qualsiasi, dove sia possibile richiedere una certificazione esibendo un unico supporto (tessera sanitaria o carta d’identità elettronica) o fornendo le credenziali digitali (Spid), resta allo stato embrionale in molte realtà locali.

Eppure, il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo è sotto gli occhi di tutti[5]. La rapidità dei mutamenti nelle modalità di fruizione dei servizi offerti dal web influisce sulla formazione delle nuove regole di condivisione dei contenuti e, in generale, sull’intero ecosistema digitale. I tradizionali criteri di analisi non riescono più a tenere il passo dei ritmi incalzanti del processo di evoluzione.

La complessità dei fenomeni in atto richiede il coinvolgimento sinergico di tutti gli attori in campo, sia pubblici che privati, per la tutela degli interessi (pluralismo dell’informazione, tutela dei consumatori, concorrenza e privacy), sulla base della disciplina europea[6]. Difatti, l’affermazione dei dispositivi portatili di ultima generazione (smartphone) che consentono di accedere simultaneamente a internet e ai canali televisivi, mantenendo le “vecchie” funzioni (telefono, fotocamera, lettore audio-video, editor di testi, game console ecc.), ha svincolato l’utente medio dalla necessità di una postazione “fissa”.

Non a caso, Flichy, ricostruendo la storia dei media, evidenzia come il prezzo contenuto, le dimensioni sempre più ridotte degli apparati informatici nonché la crescente convergenza delle diverse tecnologie, abbiano favorito il passaggio da un uso «in famiglia», solitamente associato ad un luogo specifico (il locale “soggiorno”), al nuovo paradigma del «vivere insieme separatamente sotto lo stesso tetto familiare»[7]. D’altra parte, la tecnologia, “ci piaccia oppure no”, è ormai parte dell’attività mentale. Essa rientra, a pieno titolo, nella «fuga in avanti» di cui parla Sepulveda[8]. Non è qualcosa in più rispetto alle nostre facoltà originarie ma la chiave per ripensare e approfondire la conoscenza del mondo contemporaneo. Un tesoro inestimabile da utilizzare con saggezza[9].

2. Verso il superamento del digital divide

Non basta annunciare buoni propositi, è necessario un cambio di passo  che promuova la diffusione capillare della cultura digitale. A tale scopo, occorre creare le condizioni affinché tutti i cittadini possano finalmente disporre di servizi on line accessibili senza soluzione di continuità (24 ore su 24, 7 giorni su 7 e 365 giorni su 365). La tecnologia non può essere considerata un mero espediente per guadagnare produttività. Essa rappresenta una delle principali risorse per migliorare la qualità e richiede “sguardo d’insieme” e “padronanza complessiva”, elementi cardine attorno ai quali ruota il collegamento tra intenzionalità e organizzazione[10].

Non a caso, autorevole dottrina, continua a reclamare, a gran voce, l’attenzione delle istituzioni sulla inaccettabile disparità di accesso e utilizzo delle tecnologie da parte di talune aree geografiche o fasce di popolazione[11]. L’espressione digital divide, usata per la prima volta da Al Gore[12] nel ’96, indica varie forme di esclusione dai vantaggi del progresso e dell’innovazione[13]. Il diritto alla c.d. alfabetizzazione digitale, sebbene inserito dal legislatore nazionale tra quelli sociali[14], può essere tutelato soltanto attraverso l’allocazione di capitali da parte del decisore pubblico. A tal proposito, eloquenti appaiono le parole di Gaspari: « […]L’intervento dei pubblici poteri  si palesa, quindi, necessario e la smart city  costituisce certamente l’occasione per ridurre il numero di esclusi dai benefici della tecnologia e della società digitale»[15].

L’Unione Europea, già nel ’99, adotta il concetto di società dell’informazione[16], descrivendola come «un importante fattore di crescita, di competitività e di creazione di posti di lavoro»  che «consentirà, inoltre, di migliorare la qualità di vita dei cittadini e l’ambiente»[17].

L’obiettivo dichiarato è quello di prevenire il divario digitale, favorendo la coesione sociale attraverso l’estensione dell’accesso alla rete e la conquista di una maggiore padronanza degli strumenti digitali[18]. Difatti, il potenziamento delle infrastrutture, la diffusione dei dispositivi che consentono la navigazione in rete e l’acquisizione individuale delle conoscenze informatiche[19], costituiscono gli elementi chiave per contenere il rischio di nuove forme di discriminazione, alimentando la categoria dei c.d. esclusi digitali.

Purtroppo, gli effetti della pandemia, hanno allungato le distanze tra ricchi e poveri, ampliando il divario digitale anziché ridurlo[20]. Anzi, l’ultimo report[21] del Capgemini Research Institute usa l’espressione Great Digital Divide per indicare il gap causato dal Covid-19. L’indagine evidenzia le drammatiche conseguenze dovute alla mancanza di connettività e all’analfabetismo informatico. La maggioranza delle persone intervistate ha risposto che, se avesse avuto accesso alla rete, avrebbe potuto ottenere maggiori occasioni per migliorare la propria formazione e trovare una occupazione[22]. Inoltre, lo stesso studio indica la collaborazione tra i soggetti della c.d. quintupla elica[23]  (pubblico, privato, sociale, cognitivo e civico) come una possibile soluzione al problema.

L’ente pubblico deve svolgere una funzione innescatrice del processo, promuovendo azioni concrete per migliorare la qualità e la diffusione dei servizi online gratuiti o a basso costo. Nel settore privato, Alessandra Miata, HR Director e CSR Head di Capgemini Business Unit Italy, evidenzia come le aziende impegnate verso il cambiamento strutturale dovrebbero sentirsi responsabili, in qualche misura, nei confronti della collettività: «Sulla scia di questa pandemia, ci aspettiamo che il digital divide venga colmato. Per esempio, le persone anziane che non hanno mai sentito il bisogno di un accesso al mondo digitale si troveranno rapidamente a dover utilizzare gli strumenti digitali per le interazioni sociali o per l’acquisto di beni. Tuttavia, in questo caso, si tratta di soggetti che hanno la possibilità di accedere a internet e che precedentemente hanno scelto di non farlo. L’impatto sarà maggiore tra le fasce di popolazione che ancora non possono utilizzare i servizi online, sia per via dei costi sia per la mancanza di una infrastruttura locale. Ci sarà un effetto polarizzante, soprattutto per chi già vive o rientra nella soglia di povertà».[24]

3. Il progresso digitale in Italia

Il rapporto DESI 2020, strumento individuato dalla Commissione europea per rilevare lo stato dell’arte del progresso digitale, mostra come l’Italia si trovi al 17° posto nella classifica dell’alta velocità su rete fissa e al 25° per competenze digitali della popolazione[25]. Tali risultati confermano come l’investimento sulle infrastrutture fisiche non possa essere separato da quello sul miglioramento dell’aspetto cognitivo[26]. Eppure, non mancano le iniziative all’avanguardia.

Basti pensare alla “Casa delle Tecnologie Emergenti” che nasce allo scopo di favorire la sperimentazione[27] da parte delle PMI di applicazioni di “intelligenza artificiale” (AI), di “blockchain” e di “internet delle cose” (IOT): «Grazie a un rapporto di positiva collaborazione istituzionale e tra soggetti pubblici e privati, Matera si candida a diventare il polo di riferimento euro-mediterraneo per le digital-humanities, le tecnologie applicate alle scienze dell’uomo e alla cultura. Ciò dimostra che non è azzardato, infatti, costruire una tecnologia che sappia collocare l’uomo al centro, un umanesimo digitale che contempli un legame forte tra identità e tecnica, tra autenticità e innovazione tecnologica. Da Matera parte oggi un impulso ed una progettualità per tutto il Sud Italia»[28].

Nel 2019, il governo italiano promuove due nuove strategie: una sull’intelligenza artificiale[29] e l’altra sulla c.d. blockchain[30].  Entrambe si basano sul supporto di esperti provenienti dal settore industriale, dall’università e dalle parti sociali. La prima, fondata sull’assunto che l’IA rappresenti una spinta verso la competitività, è stata oggetto di consultazione pubblica[31]. Essa utilizza un approccio di tipo olistico e predilige una visione sistematica. La finalità dichiarata è quella di favorire la nascita di una società digitale[32] 5.0 che superi definitivamente la quarta rivoluzione industriale[33], rimuovendo gli ostacoli di cui parla l’articolo 3 della Costituzione e garantendo a tutti i cittadini pari opportunità di sviluppo. La seconda, realizzata grazie al contributo scientifico di un pool di specialisti, chiarisce gli aspetti collegati alla tecnologie basate su registri distribuiti[34] (Distributed ledger Technologie) e costituisce il fondamento della futura pianificazione nazionale.

Nel 2020, vengono presentate alcune iniziative del piano[35] “Italia 2025” che, attraverso un approccio globale nel lungo periodo, mira al coinvolgimento dei soggetti interessati a migliorare il livello di digitalizzazione in tutti i settori[36].

Il piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione 2020-2022, approvato con DPCM del 17 Luglio 2020, rappresenta la naturale evoluzione delle precedenti versioni 2017-2019 e 2019-202. Esso attribuisce alla P.A. un ruolo guida nel processo di innovazione elencando una serie completa di azioni ed esaltando il ricorso allo strumento del cloud per razionalizzare le infrastrutture e incrementare il livello di sicurezza ed affidabilità.

In particolare, il nuovo piano prevede[37] di:

– favorire lo sviluppo di una società digitale, dove i servizi mettono al centro i cittadini e le imprese, attraverso la digitalizzazione della pubblica amministrazione che costituisce il motore di sviluppo per tutto il Paese;

– promuovere lo sviluppo sostenibile, etico ed inclusivo, attraverso l’innovazione e la digitalizzazione al servizio delle persone, delle comunità e dei territori, nel rispetto della sostenibilità ambientale;

– contribuire alla diffusione delle nuove tecnologie digitali nel tessuto produttivo italiano, incentivando la standardizzazione, l’innovazione e la sperimentazione nell’ambito dei servizi pubblici.

Queste tre sfide sono articolate in 20 azioni complementari di innovazione e digitalizzazione[38]. Un complesso di attività che mira ad una conversione radicale dell’intero ecosistema.

In sintesi, la spinta verso la trasformazione digitale, rilevata durante la pandemia, compensa, almeno in parte, il ritardo registrato negli anni precedenti e consente di avvicinarsi ai traguardi desiderati. La piena realizzazione del processo di trasformazione digitale esige, però, un’azione costante e di ampio respiro.

4. Gli ostacoli alla trasformazione digitale della P.A.

L’eccessiva attenzione nei confronti dell’aspetto tecnologico è una delle cause che impedisce di realizzare una visione d’insieme del processo di cambiamento. La c.d. digital transformation riguarda l’intera  organizzazione[39]. L’aggiornamento delle strutture informatiche deve accompagnarsi ad un ripensamento generale  della struttura.  Un cambio di mentalità che comporta la realizzazione di progetti di change management a largo coinvolgimento[40]. Ebbene, le strategie di trasformazione digitale della P.A.  sono spesso confinate nell’ambito della funzione IT[41].  A tal proposito, appaiono pertinenti le parole di Buonocore:

«[…]Questo è il motivo per cui spesso si tende a confondere l’espressione “digitalizzazione” con “trasformazione digitale”. La digitalizzazione rappresenta il passaggio da processi cartacei a processi digitali e può interessare differenti aree di attività all’interno di una organizzazione, in modo asincrono e indipendentemente le une dalle altre. La trasformazione digitale invece richiede la necessità di un cambiamento complessivo, che renda le amministrazioni più semplici, meno burocratizzate e più attente alla soddisfazione del cliente/utente»[42].

L’investimento sulla formazione dei dirigenti potrebbe contribuire ad  invertire il trend negativo. Spetta ai vertici creare le condizioni iniziali per il varo della riforma. A tale scopo, è necessario selezionare manager motivati e competenti in grado di co-programmare le scelte “pratiche”, attraverso un confronto costante e ragionato con gli “operatori” appartenenti a tutti i livelli. Occorre andare ben oltre la tradizionale impostazione in senso verticale che impedisce la condivisione e il superamento della logica a silos[43]. Non a caso, uno dei principali obiettivi del piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione è quello di utilizzare un approccio più sistemico e integrato che favorisca lo scambio di informazioni tra tutti gli attori coinvolti. In una siffatta prospettiva, la valorizzazione della c.d. soft skills[45] potrebbe contribuire ad orientare verso una dimensione partecipata e rispettosa del personale che coinvolga tutta la struttura organizzativa.

5. Conclusioni

La resistenza verso l’innovazione è un fenomeno riconducibile alla mentalità collettiva. Non è l’individuo a rifiutarsi ma l’insieme dei pregiudizi sottesi alla cultura di appartenenza. Basti pensare agli ostacoli generati dall’introduzione della raccolta differenziata dei rifiuti in larghi strati della popolazione.  Sul versante tecnologico, Derrick De Kerckhove  usa il concetto di tech-lag per indicare le difficoltà incontrate nell’accettazione di una tecnologia, appena  lanciata sul mercato. Ad esempio, prima che il fax venisse valorizzato appieno, al pari del televisore, sono trascorsi ben 13 anni[46].

Forse, sarebbe utile studiare gli effetti delle innovazioni sulle persone. Di certo, la rete internet presenta caratteristiche diverse da tutte le altre tecnologie. La specificità risiede nella natura connettiva di cui i social network costituiscono un esempio emblematico. Per orientarsi meglio, occorre riferirsi a due modelli fondamentali. Il primo, quello di intelligenza collettiva[47] è una sorta di serbatoio di informazioni al quale attingere in caso di necessità. Esso è descritto da Lévy in una forma “chiusa” che non ha alcuna pretesa di sostituirsi alle capacità umane. L’altro, quello di intelligenza connettiva, è stato teorizzato dal citato De Kerckhove come un sistema “aperto” che è alimentato dal mutuo e costante scambio di informazioni tra gli internauti.

Il rapporto con il primo modello è analogo a quello tra genus e species[48]: «[…]Una vecchia battuta di Molière in “Les femmes savantes” recita in questo modo: “Un gentiluomo è qualcuno che sa tutto senza avere imparato niente”. Penso che con Internet, con il Web e con l’accesso che abbiamo a questa intelligenza collettiva, a questa base cognitiva, siamo tutti dei gentiluomini. Possiamo avere accesso a tutto senza avere imparato mai niente. Ciò è divertente, fa parte del piacere di appartenere della nostra epoca, di essere legati a questa formidabile memoria collettiva»[49].

Ebbene, rapportando tali argomentazioni al variegato mondo della pubblica amministrazione, rileviamo come l’emergenza sanitaria abbia contribuito a superare alcune visioni preconcette, accelerando il processo di cambiamento. Così, spinti dalle baionette[50], amministratori e manager accettano, obtorto collo, di modificare le tradizionali modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Essi sono costretti a riconoscere come l’uso delle tecnologie dell’informazione digitale (TIC) garantisca elevati standard di qualità, economicità ed efficienza, contenga gli spostamenti (casa-ufficio e viceversa), riduca drasticamente la produzione di carta stampata e limiti la presenza fisica alle attività indifferibili.

È un’autentica rivoluzione copernicana del nostro modo di concepire il lavoro nel “pubblico”. Ripensare ad una diversa organizzazione consente di raggiungere il punto di equilibrio tra benessere organizzativo interno e un maggiore pregio dei servizi resi alla comunità. Muovendo in questa direzione, l’ecosistema locale che si intende costruire deve essere inserito in una trama che valorizzi fiducia e reputazione, elementi imprescindibili per il buon funzionamento e il mantenimento del sistema. Un cambio di paradigma epocale che pone al centro il conseguimento dei risultati piuttosto che la registrazione delle presenze mediante un timbratore. È un’occasione preziosa per la P.A. che può finalmente passare da un modello organizzativo “complicato”[51] ad uno “semplificato”. Di qui, l’importanza del ricorso alle c.d. soft skills per la gestione delle risorse umane.

L’innovazione deve partire dalla valorizzazione dei talenti nascosti. La mappatura sistematica delle competenze trasversali dovrebbe prevalere sulle procedure formali per evitare il soffocamento delle potenzialità esistenti. La svolta in direzione della trasformazione digitale è soltanto il primo passo per migliorare l’efficienza di una pubblica amministrazione ancora troppo legata agli schemi obsoleti del passato.

 

 

 

 

 


[1] J. A. Schumpeter, Il capitalismo può sopravvivere? La distruzione creatrice e il futuro dell’economia globale, Milano, ETAS, 2010. La teoria delle innovazioni consente all’economista austriaco di giustificare l’avvicendamento delle fasi espansive (caratterizzate dalla presenza delle innovazioni)  con quelle recessive (in cui l’economia rientra nell’equilibrio del flusso circolare non più originario ma modificato  Le maggiori trasformazioni sono forme di quella che Schumpeter chiama “distruzione creatrice” o anche “distruzione creativa”, riferendosi, a quella selezione radicale che porta alla estinzione, alla nascita o al rafforzamento di talune attività imprenditoriali.
[2] «Figura retorica che risulta da un processo psichico e linguistico attraverso cui, dopo avere mentalmente associato due realtà differenti ma dipendenti o contigue logicamente o fisicamente, si sostituisce la denominazione dell’una a quella dell’altra. La relazione tra i due termini coinvolge aspetti quantitativi, cioè i rapporti parte-tutto (una vela per la barca), singolare-plurale (lo straniero per gli stranieri), genere-specie (i mortali per gli uomini), materia prima-oggetto prodotto (un bronzo per una scultura in bronzo)». https://www.treccani.it/enciclopedia/sineddoche/
[3] Cfr. P. Grossi, Oltre la legalità, Roma-Bari Laterza, 2020, 17.
[4] J. W. Goethe, Dalla mia vita. Poesia e verità, (E. Ganni, a cura di) Torino, Einaudi,2018
[5] L. Auria, relazione al convegno organizzato da Corecom Lombardia, La nuova riforma europea sul digitale, Milano, 13/05/2021: «[…]Viviamo non in un’epoca di cambiamento, ma in cambiamento d’epoca. Ormai le tecnologie dell’informazione e della comunicazione non costituiscono più un settore a sé stante, ma il fondamento di tutti i sistemi economici innovativi. Ciò ha rafforzato sempre più l’esigenza di superare la tradizionale disciplina dei media, attraverso un’impostazione tecnologicamente neutrale, complice anche il passaggio dalla scarsità delle frequenze dell’etere terrestre a quello dell’abbondanza tipico dei service providers. In questo scenario, le forze di mercato non sono – da sole – sufficienti a garantire lo sviluppo di un settore così strategico per il suo rapporto con i diritti fondamentali: l’aumento dell’offerta, infatti, non significa necessariamente l’ampliamento delle fonti di informazione, ben potendo detti “canali” essere appannaggio di pochi operatori. Il prodotto fruito, tra l’altro, non sempre risponde a quei criteri di veridicità e correttezza che da sempre hanno caratterizzato l’informazione tradizionale. Si è resa, pertanto, necessaria, una valutazione dell’efficacia, dell’efficienza, della pertinenza e coerenza delle norme esistenti».
[6] Cfr. M. Donateo, A Polimeni, Digital Services Act, così l’Europa vuole tutelare mercato UE e diritti degli utenti in Agenda digitale, 15/12/2020. https://www.agendadigitale.eu/sicurezza/privacy/digital-services-act-cosi-la-ue-prepara-la-stretta-sui-colossi-web-obiettivi-e-problemi/
[7]   V. Patrice Flicky, Une histoire de la communication moderne, Espace public et vie privée, Paris, La Découverte, 1997.
[8]  Cfr. L. Sepulveda: «Ci piaccia o no, portiamo tutti inscritti nel nostro codice genetico la meccanica della fuga in avanti».https://le-citazioni.it/frasi/332073-luis-sepulveda-ci-piaccia-o-no-portiamo-tutti-inscritta-nel-nost/
[9]   M. Prensky, Digital Natives, Digital Immigrants, in On the Horizon, 2001, vol. 9, 1-6. «[…]La contemporaneità ormai intende la tecnologia come la chiave per pensare e conoscere il mondo e richiede nuove abilità che vanno a scalzare le tradizionali. La tecnologia ci fornisce nuove e migliorate funzionalità di cui abbiamo bisogno. Quindi la tecnologia non è qualcosa di cui abbiamo bisogno oltre all’attività mentale, la tecnologia è ormai parte dell’attività mentale. E abbiamo bisogno di usarla con saggezza».
[10]  E. Wegner, Comunities of Practice. Learning, Meaning and Identity, Cambridge University Press 1998.
[11]  F. Gaspari, Città intelligenti e intervento pubblico, in Il diritto dell’economia, n.98 (1/2019), 92. «[…] È evidente che il digital divide costituisce una barriera che impedisce a buona parte dei cittadini non solo di accedere, ma anche di utilizzare la tecnologia, entrambi elementi essenziali per l’implementazione delle città intelligenti».
[12]  «[…]Che i nostri figli non siano mai più separati da un divario digitale (“That our children will never be separated by a digital divide”). C’era già tutto il senso dell’inclusione e dell’accesso in queste poche parole pronunciata da Al Gore nel 1996 a Knoxville, in Tennessee. In quell’occasione l’allora vice presidente americano tenne a battesimo il termine ‘digital divide’, che da allora è diventato di uso comune anche in altre lingue per indicare il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell’informazione, in particolare ai pc e a internet, e chi ne è escluso, risultando quindi emarginato dal mondo digitale, quell’enorme spazio comune in cui oggi le persone possono confrontarsi e informarsi, dibattere e scambiarsi idee, oggetti e servizi».https://www.treccani.it/enciclopedia/diritti-e-digital-divide_%28Atlante-Geopolitico%29/.
[13] M. Morcellini, L’origine delle nuove diseguaglianze sociali (e digitali), in Agenda digitale, 28/07/2018: «[…] A partire dalla metà degli anni novanta del secolo scorso, comincia a diffondersi la tesi secondo cui il mancato utilizzo di Internet possa dare luogo a una nuova forma di disuguaglianza sociale che si manifesta nel gap esistente fra gli information haves e gli havenots e che, pertanto, richiede l’elaborazione di specifiche politiche pubbliche volte a garantire effettive condizioni di accesso ad Internet. Il 29 maggio 1996, l’allora Vice-Presidente Al Gore dell’amministrazione Clinton utilizzò l’espressione “digital divide” per indicare il gap esistente fra gli information haves e gli havenots nell’ambito del programma K-12 education (“Kindergarten through 12th grade”) ». https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/il-digital-divide-culturale-e-una-nuova-discriminazione-sociale/ .
[14]F. Gaspari, Città intelligenti e intervento pubblico, op.cit., 92: «[…]Il diritto alla alfabetizzazione digitale del cittadino sembra essere configurato dal legislatore nazionale come diritto sociale, in quanto l’art. 8 del CAD non ha carattere cogente, limitandosi il legislatore ad assegnare ai pubblici poteri il (solo) compito di “promuovere iniziative volte a favorire la diffusione della cultura digitale tra i cittadini con particolare riguardo ai minori e alle categorie a rischio di esclusione”, con lo specifico fine di “favorire lo sviluppo di competenze di informatica giuridica”».
[15] Ibidem.
[16]L’avvento della  c.d. società dell’informazione rivoluziona le modalità di relazione sociale, impatta  sull’economia e causa nuove forme di disuguaglianza. L’assenza delle condizioni minime di accessibilità alle nuove tecnologie discrimina gran parte della popolazione mondiale: «[…]La società dell’informazione è un contesto in cui le nuove tecnologie informatiche e di telecomunicazione assumono un ruolo fondamentale nello sviluppo delle attività umane. Queste tecnologie servono a produrre e comunicare, in forma digitale, messaggi, immagini, testi, musica, filmati, e così via. In termini più generali, gran parte delle informazioni e delle conoscenze del genere umano può essere riprodotta, o generata, in modo digitale a costi sempre più bassi. Il progresso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sta cambiando il modo di vivere, di lavorare, di produrre e distribuire beni e servizi, il modo in cui si formano le nuove generazioni, come si studia e si produce ricerca, come ci si diverte. La società dell’informazione non sta soltanto influenzando le modalità di interazione tra persone, ma sta forzando le tradizionali strutture organizzative a diventare più partecipative e più decentralizzate. La disponibilità di informazioni tempestive e affidabili ha determinato la revisione e la semplificazione di molti processi interni alle organizzazioni, e tra le organizzazioni, con un incremento dell’efficienza e della produttività complessiva dei sistemi. Internet ha mutato profondamente il panorama sociale, culturale, economico, fornendo straordinarie opportunità a oltre un miliardo di persone che ne fanno uso ma, allo stesso tempo, ponendo in una posizione marginale coloro che non hanno accesso alla rete».
[17] https://www.treccani.it/enciclopedia/societa-dell-informazione_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/
[18] «[…]A questa iniziativa hanno fatto seguito altri piani d’azione sullo stesso filone: eEurope 2002, eEurope 2005, i2010 e Digital agenda for Europe, quest’ultima centrata sul ruolo chiave delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la strategia Europa 2020, di cui si configura come uno dei sette pilastri. L’agenda punta in particolare a “ottenere vantaggi socioeconomici sostenibili grazie a un mercato digitale unico basato su Internet veloce e superveloce e su applicazioni interoperabili”». https://www.treccani.it/enciclopedia/societa-dell-informazione_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/  (14/07/2021).
[19] M. Di Paolantonio, Divario digitale, il confinamento degli “esclusi” in Vulcano statale: «[…]la digital literacy che permette di fare un uso adeguato del medium digitale, è fondamentale per motivare all’utilizzo di un computer, di un telefono o della connessione» http://vulcanostatale.it/2020/06/divario-digitale-il-confinamento-degli-esclusi/
[20] «[…]Il gap digitale si sta ampliando, in quello che viene definito l’effetto San Matteo del digital divide, che si fonda sul principio del ricco che diventa sempre più ricco e del povero che diventa sempre più povero. L’ epidemia ha infatti allungato le distanze tra chi ha la possibilità -– fisica e culturale -– di usufruire del web e chi no, che resta sempre quel passo indietro dal punto di vista umano, sociale, economico, e sente questa distanza».
[21] https://www.capgemini.com/research-institute/
[22] P. Licata, Allarme “great” digital divide: niente lavoro e servizi per milioni di persone in Corcom, (06/05/2020): «[…]Essere offline limita anche la mobilità professionale. La difficoltà a candidarsi online per un posto di lavoro e la mancanza di accesso a strumenti di apprendimento e istruzione online possono rendere la mobilità professionale più difficile per la popolazione non connessa, mentre il mancato sviluppo di competenze digitali può ridurre la possibilità di fare carriera. Il 44% degli intervistati offline ritiene che, se avesse accesso a internet, sarebbe in grado di trovare un lavoro più remunerativo e di accrescere la propria formazione». https://www.corrierecomunicazioni.it/digital-economy/allarme-great-digital-divide-niente-lavoro-e-servizi-per-milioni-di-persone/
[23]  C. Iaione La collaborazione civica per l’amministrazione, la governance e l’economia dei beni comuni, in G. Arena, C. Iaione (a cura di), L’età della condivisione, Roma, Carocci, 2015, 40.
[24] P. Licata, Allarme “great” digital divide: niente lavoro e servizi per milioni di persone in Corcom, (06/05/2020): «[…]“Il Covid-19 avrà probabilmente un impatto duraturo sull’accesso ai servizi pubblici e sull’atteggiamento nei confronti di opportunità come il lavoro da remoto, quindi le aziende che lavorano per superare il digital divide e creare un cambiamento di lungo periodo e non una soluzione temporanea hanno una responsabilità a livello collettivo”». https://www.corrierecomunicazioni.it/digital-economy/allarme-great-digital-divide-niente-lavoro-e-servizi-per-milioni-di-persone/
[25] «Le relazioni DESI (indice di digitalizzazione dell’economia e della società) sono lo strumento mediante cui la Commissione Europea monitora il progresso digitale degli Stati membri dal 2014. Le relazioni DESI comprendono sia profili nazionali che capitoli tematici. Alla relazione per ciascuno Stato membro è allegato anche un capitolo di approfondimento dedicato alle telecomunicazioni. Le relazioni nazionali DESI raccolgono prove quantitative derivanti dagli indicatori DESI sotto i cinque aspetti dell’indice, con approfondimenti specifici per paese riguardanti le politiche e le migliori prassi. L’attuale pandemia di Covid-19 ha dimostrato quanto le risorse digitali siano diventate importanti per le nostre economie e come le reti e la connettività, i dati, l’intelligenza artificiale e il supercalcolo, come pure le competenze digitali di base e avanzate, sostengano le nostre economie e società, rendendo possibile la prosecuzione del lavoro, monitorando la diffusione del virus e accelerando la ricerca di farmaci e vaccini».https://d110erj175o600.cloudfront.net/wp-content/uploads/2020/06/report-italia.pdf
[26] «Lo scarso uso dei servizi Internet riflette il basso livello di competenze digitali. Il 17% delle persone che vivono in Italia non ha mai utilizzato Internet; tale cifra è pari a quasi il doppio della media UE e colloca il Paese al 23º posto nell’UE. Le attività online più diffuse sono l’ascolto di musica, la visione di video o giochi, seguite dalle videochiamate, dalla lettura di notizie e dall’uso dei social network. Seguire un corso online e vendere online sono le attività meno diffuse».https://d110erj175o600.cloudfront.net/wp-content/uploads/2020/06/report-italia.pdf
[27] «La Casa delle Tecnologie Emergenti ha, infatti, l’obiettivo di supportare progetti di ricerca e sperimentazione, sostenere la creazione di startup e il trasferimento tecnologico verso le PMI, nell’ambito dei programmi su Blockchain, IoT e Intelligenza Artificiale. Avrà al suo interno diversi laboratori di innovazione: uno dedicato al settore audiovisivo, all’extended reality e alle tecnologie per le riprese 3D, un altro dedicato alla blockchain e alla quantum key distribuition, uno alla robotica avanzata per lo sviluppo di strumenti e sistemi basati sull’Internet delle Cose, un altro ancora alle applicazioni del 5G». https://www.mise.gov.it/index.php/it/per-i-media/notizie/it/198-notizie-stampa/2040587-al-via-la-casa-delle-tecnologie-emergenti-di-matera
[28]M. Liuzzi, sottosegretario per lo sviluppo economico, in occasione della firma della convenzione per l’avviamento a Matera della prima “Casa delle Tecnologie Emergenti”, Roma, 11/12/2019. https://www.mise.gov.it/index.php/it/per-i-media/notizie/it/198-notizie-stampa/2040587-al-via-la-casa-delle-tecnologie-emergenti-di-matera
[29] «Disciplina che studia se e in che modo si possano riprodurre i processi mentali più complessi mediante l’uso di un computer. Tale ricerca si sviluppa secondo due percorsi complementari: da un lato l’intelligenza artificiale cerca di avvicinare il funzionamento dei computer alle capacità dell’intelligenza umana, dall’altro usa le simulazioni informatiche per fare ipotesi sui meccanismi utilizzati dalla mente umana».
[30] «La blockchain è un’invenzione molto recente, creata da una persona o un gruppo di persone conosciute con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, di cui ancora oggi non si conosce la vera identità. La blockchain può essere considerata come un libro mastro digitale dove vengono iscritte tantissime diverse informazioni (transazioni) di varia natura, questo registro non si trova fisicamente da nessuna parte perché è condiviso tra tutti gli utenti della rete, per questo motivo viene detto decentralizzato e per lo stesso motivo non può poi essere modificato, consentendo, quindi, di inviare informazioni digitali ma non la loro copia. ». https://treccanifutura.it/tecnologieesponenziali/blockchain/
[31] «Nella comunicazione della commissione europea del 7 dicembre 2018 l’Intelligenza Artificiale viene definita riferendosi ai “sistemi che mettono in atto comportamenti intelligenti analizzando l’ambiente circostante e agendo con un certo livello di autonomia per raggiungere specifici obiettivi”». https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/Strategia-Nazionale-Intelligenza-Artificiale-Bozza-Consultazione.pdf
[32] La c.d.“società 5.0” è stata descritta, per la prima volta nel 2016, dal comitato giapponese per la scienza, la tecnologia e l’innovazione, come «una società in grado di fornire i beni e i servizi necessari alle persone che ne hanno bisogno al momento opportuno e nella giusta quantità; una società in grado di rispondere con precisione alle più svariate esigenze sociali; una società che sia in grado di fornire i beni e i servizi necessari a chi ne ha bisogno; una società in cui tutti i tipi di persone possono ottenere servizi di alta qualità, al di là di ogni differenza di età, sesso, religione e lingua, e vivere una vita vigorosa e confortevole». Per approfondimenti, visitare la pagina web: https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/Strategia-Nazionale-Intelligenza-Artificiale-Bozza-Consultazione.pdf
[33] L’espressione “Industria 4.0”, coniata per la prima volta alla fiera di Hannover nel 2011, risponde all’esigenza di lasciare a macchine “intelligenti” la gestione contestuale di domanda, offerta e prezzi al dettaglio. https://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/rivoluzione-252.htm
[34] «Tecnologie e protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili. Per “smart contract” si intende «un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse. Gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati da AgID, con linee guida da adottare. La memorizzazione di un documento informatico attraverso l’uso di tecnologie basate su registri distribuiti produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica (art. 41 regolamento (UE) n. 910/2014)». https://www.sixtema.it/digital-transformation/communication-technology/definizione-di-tecnologie-basate-su-registri-distribuiti-e-smart-contract/
[35] «L’innovazione e la digitalizzazione devono far parte di una riforma strutturale dello Stato che promuova più democrazia, uguaglianza, etica, giustizia e inclusione e generi una crescita sostenibile nel rispetto dell’essere umano e del nostro pianeta»: https://docs.italia.it/italia/mid/piano-nazionale-innovazione-2025-docs/it/stabile/index.html
[36] https://leasenews.it/news/innovazione/innovazione-digitale-la-strategia-italia-2025
[37] C. Ruggero, Il piano triennale per l’informatica 2020-2022: la trasformazione digitale della pubblica amministrazione in Diritto.it, (25/11/2020): «[…]Redatto dall’AgID – Agenzia per l’Italia digitale – il Piano  fissa  gli  obiettivi e  individua  i  principali interventi  di  sviluppo  e  gestione  dei  sistemi  informativi  delle  P.A. in attuazione dell’articolo 14-bis, comma 2, lettera b) del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), secondo cui l’AgID svolge, tra l’altro, “funzioni di programmazione e coordinamento delle attività delle amministrazioni per l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, mediante la redazione e la successiva verifica dell’attuazione del Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione contenente la fissazione degli obiettivi e l’individuazione dei principali interventi di sviluppo e gestione dei sistemi informativi delle amministrazioni pubbliche”». https://www.diritto.it/il-piano-triennale-per-linformatica-2020-2022-la-trasformazione-digitale-della-pubblica-amministrazione/
[38]https://docs.italia.it/italia/mid/piano-nazionale-innovazione-2025-docs/it/stabile/index.html
[39] P. Licata, Digital Transformation: cos’è e come fare trasformazione digitale in azienda in Networkdigital360, 3/02/2021:  «[…]la  trasformazione digitale implica un ridisegno dei processi, e va accompagnata da un percorso di change management, per vincere le normali resistenze al cambiamento delle persone». https://www.digital4.biz/executive/digital-transformation/digital-transformation-tecnologie-leadership-competenze-obiettivi-misurabili/
[40] G. Fiertler, Change Management, cos’è e come affrontare bene in azienda la gestione del cambiamento, in Networkdigital360, 13/01/2021 :  «[…]Il Change Management è l’insieme delle attività strutturate per la gestione del cambiamento in azienda. Si tratta di un percorso articolato e complesso, perché ha un forte impatto sulle abitudini delle persone, che per loro natura mostrano sempre una certa resistenza al cambiamento. Gestire l’aspetto umano, che significa accompagnare le persone verso nuovi obiettivi e consuetudini, risulta quindi l’aspetto più delicato». https://www.digital4.biz/hr/hr-transformation/digital-transformation-e-change-management-vanno-avanti-di-pari-passo/
[41]Tale abbreviazione viene usata per intendere l’applicazione dell’informatica in un’organizzazione aziendale (Information Technology).
[42] F. Buonocore, Dalla digitalizzazione alla trasformazione digitale nella PA. La prospettiva organizzativa, in  Prospettive in Organizzazione, 23/10/2020: :  «[…]Diversi sono i fattori che possono essere considerati per spiegare le difficoltà nella realizzazione di un efficace processo di trasformazione digitale nel nostro Paese». http://prospettiveinorganizzazione.assioa.it/dalla-digitalizzazione-alla-trasformazione-digitale-nella-pa-la-prospettiva-organizzativa-buonocore/    (18/07/2021).
[43] M. Piazza, Il superamento della logica a silos in La trasformazione digitale della pubblica amministrazione: «[…]Una logica, quella “a silos”, eredità del modello passato con cui si intende “una componente isolata di un sistema informativo che non condivide i dati, le informazioni e/o i processi con le altre componenti del sistema”. Il Piano definisce senza equivoci che “Per sfruttare le potenzialità dell’immenso patrimonio dei dati raccolti e gestiti dalle PA è necessario attuare un cambio di paradigma nella loro gestione che consenta di superare la “logica a silos” in favore di una visione sistemica. Il dato deve essere inteso come bene comune, condiviso gratuitamente tra pubbliche amministrazioni per scopi istituzionali”». http://www.mauriziopiazza.com/Piano_triennale_2017-3.html#dati (18/07/2021).
[45] S. Tomei, Le Soft Skills: competenze chiave anche per l’Europa, in Soskills, 15/12/2019: «[…]Le Soft Skills rappresentano lo stile lavorativo di una persona (il modo in cui svolge i compiti e il ruolo assegnati), il suo stile personale a prescindere dalle conoscenze e qualifiche che possiede (Hard Skills). […]Nel 2018 il Consiglio europeo ha pubblicato le nuove raccomandazioni relative alle “competenze chiave” (The European Framework for Key Competencies for Lifelong Learning), cioè a quella combinazione di conoscenze, abilità e atteggiamenti ritenuti necessari affinché ogni individuo possa affrontare le sfide della globalizzazione e adattarsi, in modo flessibile, ai cambiamenti in atto, andandole in parte a modificare rispetto al 2006». https://www.sosskills.it/soft-skills-competenze-chiave-per-leuropa/  (18/07/2021).
[46] D. De Kerckhove, La pelle della cultura. Un’indagine sulla nuova realtà elettronica, Genova, Costa e Nolan, 2000, 15.
[47] P. Lévy, L’intelligenza collettiva: per un’antropologia del cyberspazio, (trad. it di M. Colò e D. Feroldi, Feltrinelli, Milano 2002), 211: «[…]In Internet, sostiene Pierre Lévy, i singoli incanalano la loro competenza individuale verso fini e obiettivi condivisi: “Nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell’umanità”. “Intelligenza collettiva” è questa capacità delle comunità virtuali di far leva sulla competenza».
[48] D. De Kerckhove, La pelle della cultura. Un’indagine sulla nuova realtà elettronica, op. cit., 191:  Lo stesso sociologo belga considera l’intelligenza connettiva una delle forme dell’organizzazione all’interno dell’intelligenza collettiva.
[49] D. De Kerckhove, P. Levy, Due filosofi a confronto. Intelligenza collettiva e intelligenza connettiva: alcune riflessioni, Firenze,  Mediartech, 27/03/1998: «[…] Considero l’intelligenza connettiva in quanto una delle forme dell’organizzazione all’interno dell’intelligenza collettiva. Come Freud aveva trovato molto più interessante l’inconscio privato mentre Hume si era indirizzato verso l’inconscio collettivo, io mi trovo più interessato, per il mio lavoro, nell’esplorare sul campo, con le persone, in tempo reale. Preferisco la pratica dell’intelligenza collettiva nella sua rete specifica che chiamo intelligenza connettiva, piuttosto che lasciare semplicemente il concetto svilupparsi da solo senza sperimentazione. Amo lavorare con le mani. C’è un altro aspetto che mi appassiona. Una vecchia battuta di Molière in “Les femmes savantes” recita in questo modo: “Un gentiluomo è qualcuno che sa tutto senza avere imparato niente”. Penso che con Internet, con il Web e con l’accesso che abbiamo a questa intelligenza collettiva, a questa base cognitiva, siamo tutti dei gentiluomini. Possiamo avere accesso a tutto senza avere imparato mai niente. Ciò è divertente, fa parte del piacere di appartenere della nostra epoca, di essere legati a questa formidabile memoria collettiva».  https://docuver.se/mirrors/www.mediamente.rai.it/mmold/home/bibliote/intervis/d/dekerc05.htm.html
[50] P. Valera, Il giornalismo eroico, in La Folla, n. 6, 1/09/1912, 2: « […] Il gregge sbigottito fra i cordoni militari e spinto dalle baionette alla prigione o alla morte gli suscitava pensieri di vendetta». 
[51]S. Scalia, Upas. Ufficio complicazione affari semplici, Sesto S. Giovanni, Mimesis, 2013. L’autore, per la scelta del titolo, si avvale di un’espressione in uso durante la naja per evidenziare l’eccesso di burocrazia dell’organizzazione militare. Il libro mette in luce punti di forza e debolezze della P.A., a partire dagli interventi legislativi introdotti negli anni ’70 del secolo scorso e individua nell’uso ragionato delle nuove tecnologie una risorsa preziosa per migliorare i rapporti con cittadini e imprese.

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Enrico Pintaldi

Messinese d’origine e vimodronese d’adozione, lavora nella pubblica amministrazione da un quarto di secolo. Funzionario responsabile dei tributi in un Comune della città metropolitana di Milano per un decennio, da dicembre 2021, è stato trasferito, per mobilità volontaria, in provincia di Monza e Brianza. Laureato in scienze della formazione continua, specializzato in comunicazione pubblica, è stato più volte richiamato alle armi, in qualità di ufficiale della riserva selezionata dell’Esercito. Giornalista professionista (iscritto all’ordine professionale dal 1996), ha frequentato due master universitari. Uno, di primo livello in diritto tributario e l’altro, di secondo livello, in scienze della pubblica amministrazione. Dottorando di ricerca in scienze giuridiche e politiche è autore di tre saggi e di numerosi articoli, pubblicati su quotidiani e periodici.

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