Straniero coniugato con cittadino italiano: la separazione di fatto non osta all’acquisto della cittadinanza

Straniero coniugato con cittadino italiano: la separazione di fatto non osta all’acquisto della cittadinanza

L’art. 5 della l. n. 91/1992, recante norme sulla cittadinanza, sancisce espressamente che:

“Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica, oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero, qualora al momento dell’adozione del decreto di cui all’articolo 7, comma 1, non sia intervenuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi”.

Nel caso di specie sia il Tribunale sia la Corte d’Appello di Firenze avevano riconosciuto che la signora H.E.K aveva acquistato la cittadinanza ai sensi della summenzionata disposizione, ritenendo irrilevante la separazione di fatto – incontestatamente intervenuta tra i coniugi – poiché ad avviso dei Giudici la legge richiede come condizione ostativa al riconoscimento del diritto in questione la separazione personale giudizialmente accertata.

Secondo la Corte d’Appello, infatti, la separazione di fatto ha un carattere di minore stabilità rispetto a quella legale; inoltre, sebbene la ratio dell’art. 5 sia quella di evitare matrimoni volti esclusivamente all’acquisto della cittadinanza italiana, nel caso specifico il matrimonio risultava presentare carattere di effettività ed, in aggiunta, era da ritenersi presente anche l’altra condizione preventiva richiesta dalla legge, ossia la residenza nella Repubblica da almeno due anni.

Il Ministero dell’Interno proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza argomentando che la locuzione “separazione personale” indica un genus più ampio, nell’ambito del quale ricomprendere sia la separazione personale sia quella di fatto. Secondo il Ministero, quindi, l’effettiva sussistenza in concreto del rapporto matrimoniale è da intendersi quale requisito ineludibile ai fini dell’acquisto della cittadinanza. A supporto delle suesposte motivazioni nei propri atti difensivi citava la sentenza n. 6526 del 2005, pronunciata dal Consiglio di Stato, nella quale si specifica che ai fini dell’acquisto della cittadinanza è rilevante non solo il matrimonio ma anche la conseguente instaurazione di un vero e proprio rapporto coniugale.

Il Ministero, inoltre, evidenziava che era da tenere in considerazione anche la novella introdotta dalla l. n. 94/2009 – intervenuta in corso di giudizio – che nell’art. 5 ha sostituito la locuzione “separazione legale” con la più generica “separazione personale”.

La Suprema Corte, pronunciatasi con la sent. n. 969/2017, ha ritenuto infondate le censure formulate.

Secondo la Cassazione, infatti, con la modifica apportata all’art. 5 della l. n. 91/1992 dalla l. 94/2009 il Legislatore ha solamente effettuato un’ opportuna correzione al disposto normativo in essa contenuto. L’espressione “separazione legale” risulta, in effetti, atecnica rispetto a quella utilizzata in diverse disposizioni del codice civile (cfr. artt. 150, 154 e testo previgente art. 155 c.c.) nelle quali si fa riferimento alla “separazione personale”.

La Corte, infine, rileva che la differenza tra le due fattispecie astratte può cogliersi anche nel regime giuridico delle adozioni. L’art. 6 della l. n. 184/1983 prescrive, infatti, che tra i coniugi che intendono procedere all’adozione non deve essere intervenuta negli ultimi tre anni separazione personale, neppure di fatto. Dal mero esame della menzionata disposizione si può, quindi, facilmente cogliere la differenza tra le due diverse tipologie di allontanamento tra i coniugi.

Per tali ragioni il ricorso è stato rigettato.


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Emanuela Calabro

Laureata in Giurisprudenza nel 2012 presso l'Università degli studi di Catania con una tesi in diritto costituzionale comparato dal titolo: "L'inviolabilità parlamentare: analisi comparata." Abilitata all'esercizio della professione forense dall'ottobre 2014.

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