Stress da rumore: la Cassazione dice sì al danno non patrimoniale risarcibile

Stress da rumore: la Cassazione dice sì al danno non patrimoniale risarcibile

E’ di qualche giorno fa l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 16408/17 del 4 luglio 2017 che ha condannato un bar di Pavia a pagare ad una coppia di coniugi la somma complessiva pari ad E. 30.000,00 sia per lo stress loro cagionato sia per lesione dell’integrità psico-fisica nonché della sfera personale di marito e moglie a causa delle numerose ore di esposizione ai rumori ed alla musica ad altissimo volume.

I coniugi in primo grado lamentavano di aver subito per quasi vent’anni le immissioni sonore provenienti dall’esercizio commerciale sottostante la loro abitazione eccedenti il limite della normale soglia di tollerabilità ammessa dalla legge, in orario notturno e precisamente dalle ore 22 alle ore 6.

A seguito dell’assenza di qualsivoglia intervento idoneo ad eliminare tale situazione di dissidio da parte della società convenuta (e proprietaria del locale), i coniugi avevano anche proposto ricorso ex art. 700 cpc chiedendo l’immediata chiusura del bar nella fascia oraria compresa tra le ore 22 e le ore 7 finché non fosse stata ordinata la riconduzione delle immissioni sonore nei limiti di legge. Conseguentemente al deposito del ricorso ex art. 700 cpc, i gestori del locale si rivolgevano ad un’impresa affinché provvedesse alla insonorizzazione dei locali oggetto di causa e successivamente, a seguito del completamento dei lavori di insonorizzazione, il suddetto ricorso veniva abbandonato dagli attori/ricorrenti.

Gli coniugi chiedevano comunque la condanna della convenuta al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a causa delle immissioni sonore intollerabili, antecedenti ai lavori di insonorizzazione del locale, nonostante la convenuta chiedesse il rigetto della domanda ritenendo che le immissioni non superassero la normale soglia di tollerabilità.

A conclusione del procedimento il Giudice di prime cure rigettava la domanda attorea, ritenendo non provata l’esistenza di una vera e propria patologia a carico degli attori e, conseguentemente, l’esistenza di danni risarcibili.

La coppia di coniugi impugnava allora la sentenza di primo grado ed in sede di appello la Corte adita condannava gli appellati, in riforma della sentenza precedentemente emessa, al risarcimento del danno in favore degli appellanti riconoscendo al marito la necessità di una valutazione equitativa del danno, stante l’assenza di documentazione allegata in atti, mentre alla moglie liquidava l’importo sulla base della documentazione medica prodotta.

I soccombenti proponevano pertanto ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte ha ritenuto che il motivo di impugnazione proposto e censurante la statuizione di condanna al risarcimento dei danni, liquidata in via equitativa sulla base della mancata prova dell’esistenza del danno, fosse da considerarsi privo di fondamento.

A sostegno di tale argomentazione i Giudici di Legittimità, richiamando un recente orientamento della Cassazione, hanno ritenuto che ” il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente da un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita famigliare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 Conv. Eur. Dir. Uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi” (Cass. Ss.Uu. 2611/2017; Cass. 20927/2015 e Cass. 26899/2014).

Alla luce del principio sopra richiamato pertanto la Suprema Corte ha riconosciuto la correttezza di quanto statuito dalla Corte d’Appello territorialmente competente la quale aveva già riconosciuto ai coniugi il diritto al risarcimento del danno in conseguenza dell’esposizione prolungata per diversi anni, nella loro casa di abitazione e prevalentemente nelle ore notturne, ad immissioni rumorosi eccedenti la normale soglia di tollerabilità. Tale condizione aveva determinato un tale stress da ledere la sfera personale e l’integrità psico-fisica di entrambi i soggetti.

Ha ritenuto, infatti, la Cassazione nell’ordinanza che se per il marito di tale danno non patrimoniale non era possibile fornire la prova attraverso adeguato dossier medico, diversa era da considerarsi certamente la condizione della moglie che, allegando ampia documentazione clinica, aveva dimostrato la sussistenza di una vera e propria patologia ansioso-depressiva, direttamente causata dalla situazione di inquinamento acustico cui era stata esposta, con completo ed insindacabile accertamento del danno biologico eziologicamente riconducibile alle immissioni illegittime, con esiti permanenti.

La Corte di Cassazione ha ritenuto, tra l’altro, anche illegittima la censura in merito alla liquidazione equitativa del danno in quanto ” l’esercizio in concreto del potere discrezionale conferito al giudice di merito non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito” (Cass. n.13077/2002). La Corte territoriale aveva pertanto correttamente statuito ed il dispositivo non era sindacabile in sede di legittimità.

E’ stato, inoltre, ritenuto inammissibile il motivo proposto dai ricorrenti secondo i quali il Giudice d’Appello non aveva adeguatamente valutato le loro deduzioni circa la realizzazione di interventi che avrebbero ridotto le immissioni intollerabili, la durata delle stesse, la mancata prova dell’esistenza di una vera e propria lesione all’integrità psico-fisica e l’assenza di analoghe doglianze da parte di altri inquilini dello stabile poiché esso non si può considerare più censurabile in sede di legittimità alla luce del nuovo disposto del n.5) comma 1 dell’art. 360 codice di rito ( Cass. Ss. n.8053/2014) applicabile, ratione temporis, al caso di specie.

La Corte di Cassazione, pertanto, ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente alla refusione delle spese di giudizio.


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Elisabetta Natali

Dottore in Giurisprudenza presso l'Università di Macerata nell' A.A. 2012/2013 con la tesi di Laurea in Diritto Civile dal titolo "CESL: un passo verso il codice civile europeo". Ha frequentato la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l'Università di Macerata e si è diplomata nel 2015 con tesi in Diritto Amministrativo dal titolo " Il trattamento giuridico dello straniero irregolare affetto da grave patologia" con votazione 70/70. Ha intrapreso l'attività di pratica forense presso il Foro di Fermo ultimata nel 2015. Ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense nel settembre 2016 ed attualmente esercita la professione di Avvocato. Sta frequentando il "Corso Biennale di formazione tecnica e deontologica dell'avvocato penalista per l'abilitazione alla difesa d'ufficio" per l'anno 2015-2017.

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