Successione legittima quando il de cuius non ha discedenti né coniuge ed è stato adottato

Successione legittima quando il de cuius non ha discedenti né coniuge ed è stato adottato

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 565, 570 e 572 c.c., nella successione legittima in mancanza di coniuge, discendenti ed ascendenti, l’eredità si devolve ai fratelli e alle sorelle del testatore o ai loro discendenti (parenti collaterali).

Ove si tratti di una successione ab intestato di una persona adottata, a questa dovrebbero subentrare i componenti della famiglia adottiva e non quelli della famiglia d’origine.

Tale assunto si fonda sulla legge n. 184/1983 (il cui art. 27 sancisce che l’adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti e, al contempo, cessano i suoi rapporti con la famiglia d’origine), nonché sulla legge n. 219/2012 che ha unificato lo status di figlio, equiparando la posizione di figli naturali, legittimi ed adottivi.

E’ vero, l’attuale disciplina è questa appena riportata, ma è imprescindibile risalire al momento in cui il de cuius, della cui successione ex lege si tratta, è stato adottato poiché è a quella data che occorre guardare per determinare la disciplina concretamente applicabile a tutti i rapporti giuridici conseguenti, anche di ordine successorio.

Ebbene, la prima legge sull’adozione risale al 1967.

Fino ad allora l’adozione non mirava a dare una famiglia ad un bambino che ne fosse privo, bensì a dare un figlio a dei coniugi che non erano riusciti ad averne, per assicurare la continuità del nome e del patrimonio familiare.

L’adottante trasmetteva all’adottato i propri beni ed il proprio nome, ma non gli attribuiva una posizione identica a quella dei figli legittimi; non si creava, infatti, alcun rapporto di parentela tra l’adottato ed i parenti dell’adottante e persistevano i rapporti giuridici tra l’adottato e la sua famiglia d’origine.

Dunque, nessun vincolo di parentela si stabiliva con i parenti dell’adottante.

Si trattava storicamente di una adozione al servizio degli adulti, purché privi di discendenti e quindi senza figli.

Con l’adozione gli adottanti esercitavano i poteri parentali, ma l’adottato conservava il suo status originario (figlio di ignoti, figlio legittimo o illegittimo) e non stabiliva alcun rapporto di parentela con gli adottanti ed i loro parenti, lasciando inalterati i rapporti con la propria famiglia di sangue.

Quindi, l’archetipo dell’adozione costituiva uno strumento in grado di consentire, a chi non avesse un figlio, di averne uno e si fondava su una concezione strettamente patrimoniale diretta a dare un discendente a chi non lo avesse.

Negli anni ’60, pertanto, l’adozione era istituto giuridico deputato allo scopo precipuo di soddisfare il bisogno spirituale, morale e talora economico delle famiglie sterili o fornite di poca prole di avere un focolare allietato dal sorriso del fanciullo e di reclutare nuove forze di aiuto e di completamento della comunità economica familiare.

Inoltre, l’adozione andava ad assicurare la trasmissione del cognome infatti, su richiesta dell’adottante, il minore aggiungeva il suo cognome al proprio se figlio legittimo.

Tutto cambia con la legge 5 giugno 1967 n. 431 che, mossa da esigenze di natura assistenziale quali quelle di assicurare una famiglia ai minori abbandonati crea, accanto alla figura tradizionale dell’adozione ordinaria regolata dal codice civile del 1942, una nuova figura: l’adozione speciale che attribuisce all’adottato una posizione quasi identica a quella di figlio legittimo (manca solo il rapporto di parentela tra l’adottato e i parenti collaterali degli adottanti) e, inoltre, modifica di particolare importanza, fa cessare i rapporti giuridici con la famiglia di origine; in tal caso, quindi, la nuova famiglia diviene l’unica famiglia del minore.

La legge n. 431 del 1967, infatti, testimonia un cambio di prospettiva poiché con essa si mira ad inserire pienamente il minore nella famiglia adottiva e a far sì che l’adottato si integri stabilmente in essa.

La legge in esame, al fine di difendere i nuovi assetti parentali che dall’adozione discendono, tronca ogni rapporto e legame giuridico tra l’adottando e la famiglia d’origine.

E’ chiara, dunque, la rivoluzione apportata sul tema dalla legge del 1967 come è chiara la notevole differenza rispetto alla pregressa disciplina.

Orbene, qualora si tratti di una successione legittima di una persona adottata prima del 1967, l’unica disciplina concretamente applicabile è quella dell’adozione ordinaria, quella prevista dal codice civile, quella in vigore prima del 1967, poiché il dato fondamentale dal quale partire è l’anno in cui l’adozione è avvenuta; l’adozione avvenuta prima del 1967 non può che essere regolata dalle disposizioni del codice civile di allora.

E proprio quella disciplina impone di ritenere intatti ancora oggi i rapporti tra il de cuius e i suoi parenti biologici, né può sostenersi altrimenti senza arrivare all’assurdo di regolare in modo dissimile ed inaccettabile i vari rapporti giuridici ingenerati da quell’adozione.

Non può adottarsi una diversa soluzione poiché la L. n. 431/1967 e la L. n. 184/1983 che escludono, invece e prima facie, tali diritti successori rispetto alla famiglia biologica, sono intervenute solo in seguito.

Trattasi di leggi non applicabili retroattivamente innanzitutto perché, in linea di principio, l’art. 11 delle Preleggi ed il principio di legalità ex art. 25 Cost. depongono nel senso che le leggi non dispongono che per l’avvenire e non possono applicarsi a fattispecie già venute ad esistenza al momento della loro entrata in vigore.

D’altronde, la retroattività non è stata prevista dal legislatore del 1967 che, dunque, ha lasciato invariata la disciplina preesistente fino a quel momento applicabile agli adottati.

Sul problema della disciplina intertemporale applicabile, il Tribunale di Bari con sentenza del 12 novembre 2007, occupandosi di un’adozione avvenuta nel 1945, ha statuito che quella adozione “non comportò affatto la perdita dei rapporti (e dei diritti ereditari) verso la famiglia d’origine; infatti, si applicò l’abrogata adozione ordinaria di persone minori, che secondo il codice del 1942 comportava l’acquisizione del doppio cognome e la conservazione dei rapporti con la precedente famiglia. Il principio di totale recisione dei rapporti con la precedente famiglia fu infatti introdotto solo con la l. 184/1983, che introdusse la c.d. adozione speciale e che certamente, in forza dei principi generali, non può retroagire nei suoi effetti alla specifica adozione in corso”.

Tutto ciò considerato, non può che ritenersi che la L. n. 184/1983 non retroagisca, come sostenuto dalla giurisprudenza di merito richiamata, con la conseguenza ineliminabile ed incontestabile che restano fermi i diritti successori tra il de cuius adottato ante 1967 e la sua famiglia biologica.

E’ necessario, a questo punto, delineare una netta linea di demarcazione poiché fino al 1967, mancando una specifica disciplina al riguardo, si applicava la disciplina sull’adozione regolata dal codice civile ed, in particolare, l’art. 300 (ancora oggi vigente sia pure riferito alla adozione dei maggiorenni) stabiliva e stabilisce che l’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine.

Pertanto, come sottolineato dalla giurisprudenza di merito citata, nonché come evidenziato in dottrina, in forza dell’art. 300, comma 1, c.c. l’adottato conserva verso i genitori di origine le qualità di legittimario e di successibile legittimo, nonché ogni altra posizione ereditaria che egli possa vantare per legge sul patrimonio di altri parenti della propria famiglia di origine.

Se ne deduce, a guisa di corollario davvero difficilmente contestabile, che per le adozioni intervenute prima del 1967 l’adottato conserva ancora oggi lo status di figlio con i genitori biologici e mantiene intatti i suoi rapporti con la famiglia naturale, compresi quelli successori, sia come avente causa che come dante causa.

A questo punto, preme però anche precisare che la legge n.184 del 1983, revisionando la materia, non disciplina l’adozione tout court senza distinzioni ma, al contrario, prevede tre diversi tipi di adozione, oltre all’adozione internazionale e all’istituto dell’affidamento.

La distinzione tra le varie tipologie di adozione rispecchia la diversità di requisiti degli adottanti e degli adottandi, la differenza delle situazioni di volta in volta esistenti ed inevitabilmente, conduce ad esiti differenti.

La prima forma prevista è l’adozione del minore abbandonato (c.d. adozione legittimante), l’unica che conferisce all’adottato la posizione di figlio legittimo degli adottanti, crea un vincolo che si sostituisce integralmente a quello della filiazione di sangue ed inserisce l’adottato nella nuova famiglia, eliminando ogni vincolo con la famiglia di origine.

La seconda forma è l’adozione di persone maggiori di età.

La terza forma è la c.d. adozione in casi particolari che consente l’adozione del minore in alcune ipotesi particolari e la cui principale caratteristica è quella di creare un vincolo di filiazione giuridica che non elimina, ma si sovrappone, a quello di sangue.

E’ bene chiarire, dunque, che la L. n. 184 del 1983 non consente di unificare gli status di figlio a fronte della radicale differenziazione che essa stessa fa tra adozione legittimante, la prima, e adozione non legittimante, la terza, ovvero la c.d. adozione nei casi particolari.

Ed anche la L. n. 219/2012 che parifica lo stato giuridico di tutti i figli e che nel novellato art. 74 c.c. attribuisce il vincolo di parentela anche quando la filiazione nasca da un rapporto adottivo, fa salva l’adozione non legittimante.

Orbene, anche per l’adozione post 1967 il problema sostanziale consiste nel capire di quale tipo essa sia, stante la distinzione tra adozione legittimante da un lato e adozione nei casi particolari dall’altro.

Ora, l’adozione nei casi particolari ricorre per persone non aventi le caratteristiche soggettive (età e status) richieste per l’adozione legittimante quali, ad esempio, lo stato di abbandono del minore e purché tra l’adottante e l’adottato esista un vincolo di parentela fino al sesto grado o un rapporto stabile, oppure quando l’adottato sia figlio minore del coniuge.

Trattasi, dunque, di uno strumento con effetti più limitati perché non si interrompono i rapporti con la famiglia d’origine, né si dà vita a rapporti di parentela con la famiglia degli adottanti.

Dunque, occorre pur sempre verificare di quale adozione si tratti poiché ove non sia una adozione legittimante, bensì, una adozione “in casi particolari”, ovvero quella forma di adozione che ha effetti più limitati rispetto all’adozione speciale, essa da un lato non estingue i rapporti con la famiglia di origine, dall’altro non crea alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, né tra l’adottato ed i parenti dell’adottante e, inoltre, l’adozione non attribuisce all’adottante alcun diritto di successione.


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