Sulla motivazione dell’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo

Sulla motivazione dell’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo

Con la sentenza n. 8 del 17 ottobre 2017, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha risolto il contrasto giurisprudenziale sviluppatosi sulla seguente questione: “se, nella vigenza dell’art. 21 -nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, l’annullamento di un provvedimento amministrativo illegittimo, sub specie di concessione in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, debba o meno essere motivato in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico valutato in concreto in correlazione ai contrapposti interessi dei privati destinatari del provvedimento ampliativo e agli eventuali interessi dei controinteressati, indipendentemente dalla circostanza che il comportamento dei privati possa aver determinato o reso possibile il provvedimento illegittimo, anche in considerazione della valenza – sia pure solo a fini interpretativi – dell’ulteriore novella apportata al citato articolo, la quale appare richiedere tale valutazione comparativa anche per il provvedimento emesso nel termine di 18 mesi, individuato come ragionevole, e appare consentire un legittimo provvedimento di annullamento successivo solo nel caso di false rappresentazioni accertate con sentenza penale passata in giudicato”.

In particolare, occorre rilevare che la richiamata questione è stata sollevata dalla Sesta sezione del Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 1830 del 19 aprile 2017.

Messo in rilievo il nodo problematico affrontato nella pronuncia in commento, appare opportuno effettuare preliminarmente alcune brevi considerazioni in ordine all’istituto dell’annullamento d’ufficio ex art. 21 -nonies L. n. 241 del 1990, anche alla luce delle innovazioni allo stesso apportate dalla L. n. 124 del 2015 (legge Madia).

L’annullamento d’ufficio ex art. 21-nonies L. n. 241/1990 è espressione del potere di autotutela della P.a. e, nello specifico, consente alla stessa P.a. di riesaminare un proprio provvedimento amministrativo e di rimuovere il medesimo ove risulti viziato. Si parla, in tal senso, di riesame con esito demolitorio. In particolare, l’annullamento d’ufficio ha ad oggetto un provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 21-octies, comma 1, e può essere disposto in presenza dei seguenti presupposti: la sussistenza di un interesse pubblico, concreto e attuale, la comparazione tra il suddetto interesse pubblico e gli interessi dei privati e, infine, l’esercizio del potere entro un termine ragionevole. Con riguardo a tale ultimo requisito, occorre precisare che il Legislatore del 2015 (L. n. 124 del 2015 di riforma della P.a.) ha modificato l’art. 21- nonies, fissando in diciotto mesi la durata massima del termine ragionevole per il ritiro di provvedimenti di autorizzazione o di concessione di vantaggi economici. Ciò in accordo con la necessità di garantire un bilanciamento tra l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata e il legittimo affidamento maturato in capo al privato per effetto del trascorrere del tempo.

Tanto precisato in ordine ai presupposti per l’esercizio del potere di annullamento, appare opportuno osservare che il medesimo è caratterizzato dalla discrezionalità. L’amministrazione non è, infatti, tenuta ad adottare il provvedimento di ritiro e le eventuali istanze del privato orientate in tal senso hanno valenza meramente sollecitatoria.

Tanto rilevato con riguardo alla disciplina dell’art. 21-nonies, è possibile osservare che l’Adunanza Plenaria, nel dirimere il contrasto interpretativo sorto in materia di annullamento d’ufficio delle concessioni edilizie in sanatoria dopo un notevole lasso di tempo, si è soffermata, in particolare, sul rilievo dell’interesse pubblico, quale necessario requisito per procedere all’annullamento, e sul rapporto di questo con i contrapposti interessi del privato, specie nelle ipotesi in cui in capo a quest’ultimo si sia formato un legittimo affidamento per effetto del considerevole lasso di tempo trascorso dall’adozione del provvedimento ampliativo. In relazione a tale rapporto, il Consesso si occupa, inoltre, di chiarire quale sia il rilievo da attribuire al comportamento del privato che abbia indotto in errore l’amministrazione attraverso l’allegazione di circostanze non veritiere idonee a determinare l’adozione dell’originario provvedimento favorevole.

Tracciati i termini della questione, occorre precisare che, nell’ipotesi esaminata, viene in rilievo l’art. 21- nonies nella sua versione precedente alle modifiche apportate con la Legge Madia del 2015.

Tanto chiarito, è possibile dare conto dei due contrapposti orientamenti giurisprudenziali relativi alla questione principale, vale a dire il quantum di motivazione necessaria per l’annullamento d’ufficio di una concessione in sanatoria intervenuto dopo un notevole lasso di tempo.

Sulla scorta di un primo orientamento, l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio illegittimo è, in re ipsa, teso alla cura dell’interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. Il rilascio di un titolo illegittimo comporta, infatti, la sussistenza di una permanente situazione contra ius, con conseguente potere-dovere dell’amministrazione di annullare in ogni tempo il titolo edilizio illegittimamente rilasciato, senza dover motivare in modo specifico nell’ipotesi in cui l’illegittimità del titolo in sanatoria sia da collegare ad una falsa rappresentazione dei fatti e dello stato dei luoghi imputabile al privato stesso.

In virtù di un altro, minoritario, indirizzo, invece, “anche nel caso di annullamento ex officio di titoli edilizi in sanatoria dovrebbero trovare integrale applicazione i generali presupposti legali di cui all’articolo 21- nonies della l. 241 del 1990, non potendo l’amministrazione fondare l’adozione dell’atto di ritiro sul mero intento di ripristinare la legalità violata”. In tal senso, è, infatti, possibile affermare che l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio si fonda su un presupposto ‘rigido’ – l’illegittimità dell’atto da annullare – e su due presupposti ‘elastici’ – ragionevolezza del termine di esercizio del potere di ritiro e interesse pubblico alla rimozione, unitamente alla considerazione dell’interesse dei destinatari – . A sostegno di tale differente impostazione si pone la tutela del legittimo affidamento ingenerato nel privato ad opera del provvedimento favorevole illegittimo. La P.a. sarà, quindi, tenuta ad effettuare un bilanciamento tra l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata e l’interesse dei destinatari al mantenimento della situazione derivante dall’originario provvedimento ampliativo.

Dato atto del quadro giurisprudenziale di riferimento, è necessario mettere in evidenza il percorso logico-giuridico seguito dal Supremo Consesso.

In primo luogo, il Collegio rileva che, nelle ipotesi di annullamento d’ufficio di titoli edilizi in sanatoria illegittimi, debbano trovare applicazione le regole generali valide per il ritiro ex art. 21-nonies degli atti amministrativi illegittimi. Non appare, infatti, possibile affermare la sussistenza, in via generale e indifferenziata, di un interesse pubblico in re ipsa alla rimozione dei richiamati atti. Ne consegue, quindi, che l’Amministrazione ha l’obbligo di motivare in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’atto, tenendo altresì conto dell’interesse del destinatario al mantenimento dei relativi effetti. Avverte, inoltre, il Collegio che tale conclusione non ostacola, in ogni caso, l’esigenza di contrastare il fenomeno dell’abusivismo edilizio, ma si limita a porre in capo alla P.a. l’obbligo di adottare un “contegno chiaro e lineare, tendenzialmente fondato sullo scrupoloso esame delle pratiche di sanatoria o comunque di permesso di costruire già rilasciato”, in virtù del principio del clare loqui. Da tali considerazioni emerge, dunque, una delegittimazione della tesi dell’interesse pubblico in re ipsa. Appare utile rilevare che in tale direzione si è posto, in concreto, il legislatore del 2015 che ha abrogato il comma 136 dell’articolo 1 della l. 30 dicembre 2004, n. 311, a mente del quale si consentiva alla P.a. di disporre, in ogni tempo, l’annullamento d’ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi fosse ancora in corso, a condizione che tale annullamento mirasse “al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari”.

In definitiva, è, quindi, possibile affermare che, con riguardo alle vicende sorte nella vigenza dell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990, ante modifica del 2015, “l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio anche in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal titolo medesimo, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro, tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole, non potendosi predicare in via generale la sussistenza di un interesse pubblico in re ipsa alla rimozione in autotutela di tale atto”.

Così risolto il quesito relativo all’obbligo di motivazione del ritiro di titoli edilizi illegittimi, i giudici amministrativi si soffermano su alcune ulteriori questioni. In particolare, l’organo giudicante si interroga sull’incidenza del ‘fattore tempo’ rispetto all’esercizio del potere di annullamento d’ufficio.

In via generale, il tempo è qualificabile come fatto giuridico oggettivo idoneo a produrre effetti sui rapporti giuridici, determinando la trasformazione degli stessi. Nello specifico, occorre comprendere quale sia l’effettiva incidenza di tale fattore sull’esercizio del potere di autotutela.

Archiviata l’impostazione per cui la P.a. godrebbe di un potere perenne di annullamento in autotutela, le tesi successive, volte a garantire maggiore protezione per i soggetti interessati dall’esercizio del potere di autotutela, hanno predicato la necessaria previsione di un termine ragionevole entro cui procedere all’annullamento o alla revoca, con conseguente valutazione tanto dell’interesse pubblico al ripristino della legalità violata, quanto degli altri interessi in gioco e, in particolare, di quello del destinatario del provvedimento favorevole illegittimo.

In virtù di quanto esposto, il Consesso chiarisce, quindi, che: “in relazione alle vicende sorte nella vigenza della l. 15 del 2005, il decorso di un considerevole lasso di tempo dal rilascio del titolo edilizio non incide in radice sul potere di annullare in autotutela il titolo medesimo, ma onera l’amministrazione del compito di valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale”.

Il Consiglio di Stato chiarisce, inoltre, che vi è una stretta correlazione tra la nozione di ragionevolezza del termine e quella di esigibilità in capo all’amministrazione, con la conseguenza che il termine in questione decorre soltanto dal momento in cui l’amministrazione è venuta concretamente a conoscenza dei profili di illegittimità dell’atto. In particolare, nelle ipotesi in cui il rilascio del titolo abilitativo sia fondato su dichiarazioni oggettivamente non veritiere, il termine ‘ragionevole’ decorre solo dal momento in cui l’amministrazione sia venuta a conoscenza della richiamata non veridicità.

Tanto osservato con riferimento all’incidenza del fattore tempo sull’annullamento d’ufficio di titoli abilitativi edilizi, occorre chiarire che l’onere di motivazione imposto alla P.a. nelle suddette ipotesi deve essere assolto tenendo conto della preminenza degli interessi pubblici sottesi alla disciplina in materia edilizia e dei valori che essa tende a tutelare. Ne consegue, quindi, che, il suddetto obbligo di motivazione può considerarsi validamente assolto nell’ipotesi in cui la P.a. richiami le circostanze in fatto e rimandi alle disposizioni di legge in concreto violate. A tanto deve, inoltre, aggiungersi che, ove il rilascio del titolo abilitativo sia dovuto alla non veritiera prospettazione dei fatti rilevanti da parte del soggetto interessato, l’onere di motivazione della P.a. è attenuato, in quanto non si configura, in capo al privato stesso, una situazione di legittimo affidamento, difettando il presupposto soggettivo della buona fede. Ne deriva, quindi, che “l’amministrazione potrà legittimamente fondare l’annullamento in autotutela sulla rilevata non veridicità delle circostanze a suo tempo prospettate dal soggetto interessato, in capo al quale non sarà configurabile una posizione di affidamento legittimo da valutare in relazione al concomitante interesse pubblico”. Occorre, infatti, rilevare che, secondo un costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, non viene in rilievo la necessità di tutelare l’affidamento del privato che abbia ottenuto un titolo edilizio sulla scorta di elementi non veritieri, e ciò anche nel caso in cui sia trascorso un notevole lasso di tempo fra l’abuso e l’intervento repressivo dell’amministrazione.

Alla luce di quanto esposto, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato enuncia, quindi, il seguente principio di diritto: “nella vigenza dell’articolo 21-nonies della l. 241 del 1990 – per come introdotto dalla l. 15 del 2005 – l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all’adozione dell’atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi: i) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell’annullamento d’ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole’ per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell’amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell’atto di ritiro; ii) che l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell’esercizio del ius poenitendi); iii) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell’atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l’onere motivazionale gravante sull’amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte”.


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Valeria Vitale

Avvocato, Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi Roma Tre

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