Sulla natura giuridica delle società in house: il caso SOGEI S.p.a.

Sulla natura giuridica delle società in house: il caso SOGEI S.p.a.

Alla SOGEI è riconducibile l’esercizio di una pubblica funzione di certificazione quanto ai procedimenti alla stessa gestiti, con l’ulteriore conseguenza che le certificazioni – quale quella attinente l’attestazione del procedimento di consegna della sentenza notificata dalla parte vincitrice in primo grado nella posta certificata della Avvocatura dello Stato – risultano assistite dalla particolare fede di cui all’art. 2700 c.c.; ne consegue che il certificato rilasciato dalla SOGEI in ordine all’errore di consegna di un file può essere contestato solo con querela di falso”.

Con questo passaggio, il Consiglio di Stato (sez. III, 18 ottobre 2018, n. 5970) attribuisce alla Società Generale d’Informatica S.p.a., operante nel settore ICT, la qualifica di società in house del MEF (dal quale è partecipata al 100%): la facoltà accordata a SOGEI S.p.a. di produrre atti e documenti che ricadono nell’applicabilità dell’art. 2700 c.c. (‘Efficacia dell’atto pubblico’) non contrasta con la sua forma societaria privatistica; di tal che essa può ben dirsi affidataria di una mission di connotazione marcatamente pubblicistica.

L’attuale architettura normativa che perimetra i confini dell’in house providing (art. 16, d.lgs. 175/2016 e ss.mm.ii., cd. ‘Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica’; artt. 5 e 192, d.lgs. 50/2016 e ss.mm.ii., cd. ‘Codice dei contratti pubblici’) – fenomeno che, del resto, ha oramai acquisito una sua dimensione fisiologica e ordinaria –1 ruota essenzialmente attorno ai criteri dell’istituzione preordinata allo svolgimento di attività prevalente a fini pubblici, della gestione delle partecipazioni e del controllo esercitato dai pubblici poteri su questo particolare genere di società2; essendo pacificamente riconosciuta a queste ultime, come detto, la possibilità di esercitare una funzione che tende al soddisfacimento di un pubblico interesse (nel caso di cui trattasi, una funzione di certificazione), poco importa se espletata a livello nazionale o locale3.

La sentenza in commento, nell’avallare questo tipo di impostazione, afferma invero che “[…] se da un lato, la SOGEI ha natura pubblicistica (in quanto in house rispetto al Ministero dell’Economia e delle Finanze), non può stabilirsi un rapporto di identificazione interorganica con un altro soggetto quale l’Avvocatura dello Stato, rispetto alla quale essa mantiene la propria autonomia […]”; ciò che non può dirsi uniformemente condiviso tanto dalla giurisprudenza civile, quanto da quella amministrativa4, nella misura in cui si sostiene che “nel sistema vigente le società in house – pur costituendo sul piano sostanziale mere articolazioni della Pubblica amministrazione, con la conseguente soggezione alla giurisdizione contabile per ipotesi di responsabilità amministrativa – rimangono società di diritto privato sul piano formale per cui, quando provvedono alla propria provvista di personale, esercitano la loro generale capacità privatistica, con conseguente devoluzione al giudice ordinario delle relative controversie”5.

Un ‘tema caldo’, in tema di società partecipate in house, è stato storicamente quello della natura (qualitativa e quantitativa) della partecipazione: se sin dalle prime pronunce comunitarie e nazionali la, seppur minima, compartecipazione di capitali privati poteva addirittura minarne la natura6, ora è la stessa legge a legittimarne la sussistenza, sebbene “ in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l’esercizio di un’influenza determinante sulla società controllata”7. E, assai di recente, è il medesimo Consiglio di Stato ad aver fissato le condizioni di ammissibilità di affidamenti in house nei casi in cui la presenza di capitali privati sia particolarmente elevata8.

Concludendo, dalle brevi considerazioni svolte in relazione alla sentenza in questione (lungi dal voler essere esaustivi sulla materia) emerge alquanto chiaramente che alcuni aspetti, anche rilevanti, della disciplina delle società in house risultano attualmente, se non controversi, sicuramente oggetto di disamine e ‘approdi’ divergenti; dacché non è peregrino attendersi che molto ancora, in termini di produzione dottrinaria e giurisprudenziale, potrà (e dovrà) essere detto e scritto.


1 Nel distinguere tra la fattispecie dell’invalidità ad effetto caducante e dell’invalidità ad effetto viziante, i Giudici di Palazzo Spada (Sez. V, 10.04.2018, n. 2168) confermano che l’in house provinding non può certo considerarsi un fenomeno extra ordinem, a maggior ragione laddove tale modello trae la propria effettiva ragion d’essere nel solco delle tradizionali vie procedimental-amministrative.

2 “[…] Si tratta di un modello organizzativo riconducibile alle così dette ‘quasi amministrazioni’, in virtù di quegli indici individuati dalla legge medesima in termini di istituzione, partecipazione e controllo, interpretabili nel senso della ‘strumentalità’ e ‘funzionalizzazione’, quindi ‘pubblicità’ (v. ex multis: Consiglio di Stato, IV, 24 maggio 2013, n. 2829), ed alle quali sono affidati compiti pubblici se non funzioni pubbliche in senso proprio […]”.

3 Così, ad esempio, alla società in house che gestisca servizi pubblici locali va riconosciuta natura pubblica, con la duplice conseguenza che per le assunzioni di personale è soggetta alle regole del d.lgs. 267/2000 (cd. ‘TUEL’), e che i relativi soggetti operanti con funzione apicale sono pubblici ufficiali per il fatto stesso di concorrere alla predisposizione di atti con efficacia pubblicistica (cfr. Corte di Cassazione, Penale, sez. VI, 05.07.2018, n. 30441). Nello stesso senso, si veda: Corte di Cassazione, Penale, sez. V, 25.09.2018, n. 41421, secondo cui un soggetto che svolge funzioni apicali all’interno di una società in house che gestisce un servizio pubblico locale riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio (ex art. 358 c.p.) secondo un ‘criterio oggettivo-funzionale’, e pertanto si deve concludere “[…] che un soggetto che […] svolga funzioni apicali all’interno di una società per azioni che gestisce un servizio pubblico locale (quale quello di trasporto) riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, a prescindere dalla natura privata di tale società, in considerazione della indubbia connotazione pubblicistica di quel servizi”.

4 È opinione della Corte di Cassazione (sez. II, 14.03.2016, n. 4938) che “la natura in house providing della società partecipata vanifica il dato formale della sua distinta personalità giuridica e giustifica in toto l’assimilazione della stessa società alle articolazioni organiche dell’ente pubblico, degli enti pubblici che al suo capitale partecipano in forma totalitaria; la società in house, in fondo, è una sorta di ‘impresa-organo’ ”. Dello stesso avviso, cioè di considerare tali società articolazione in senso sostanziale della P.A. da cui promanano: Corte Costituzionale, 20.03.2013, n. 46; Consiglio di Stato, sez. VI, 26.05.2015, n. 2660; Consiglio di Stato, sez. VI, 11.12.2015, n. 5643; Tar Lazio, sez. II, 17.06.2016, n. 7032.

5 Per il Tar Abruzzo, sez. I, 15.03.2018 n. 101, le procedure seguite dalle società in house per l’assunzione del personale dipendente sono infatti sottoposte alla giurisdizione del giudice ordinario.

6 Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza n. C-107/98 del 18.11.1999 (Teckal), n. C-26/03 del 11.05.2005 (Stadt Halle) e n. C-295/05 del 19.04.2007 (Tragsa); Consiglio di Stato, Ad. Plenaria n. 1/2008; Consiglio di Stato, sez. VI, 24.09.2010, n. 712. Emblematico (e lapidario) Tar Trieste, Sez. I, 04.12.2014, n. 629: “La giurisprudenza comunitaria è tassativa nel ritenere impossibile la partecipazione ancorché in percentuale minima di soggetti privati alle società in house e tale posizione è stata ripetutamente confermata dal Consiglio di Stato […] È pacifico, nell’attuale stato di evoluzione giurisprudenziale, che il requisito della totalità della proprietà pubblica del capitale della società in house debba sussistere in termini assoluti […] Al contrario, per escludere radicalmente ogni possibilità di legittimo affidamento in house è, infatti, sufficiente che vi sia, sebbene in minima percentuale, una partecipazione privata al capitale sociale. La nuova direttiva comunitaria sulle concessioni 2014/23/UE, che sul punto ammette in talune ipotesi la partecipazione indiretta dei privati alle società in house, non risulta ancora recepita dagli Stati membri, né essa si può considerare self executing, sia per la sua natura, che richiede un recepimento e adattamento a livello nazionale, sia perché non è ancora scaduto il termine per il recepimento stesso”.

7 Art. 16, co. 1, d.lgs. 175/2016 e ss.mm.ii.

8 Con parere n. 2583 del 08.11.2018 (reso alla Regione Piemonte) sono stati delineati i limiti quantitativi di ingresso di capitali privati e la dimensione entro la quale tale partecipazione osti o meno alla concessione diretta di un servizio pubblico. In buona sostanza, anche nell’eventualità di una elevata ‘presenza economica privata’ (in proporzione, in questo caso, ad una partecipazione pubblica regionale), la partecipazione è da considerarsi comunque legittima al ricorrere di particolari condizioni, ulteriori a quelle previste in via generale dalla normativa nazionale: 1) la presenza di un oggetto sociale della società in house improntato all’erogazione di un servizio che ricade nell’esercizio di funzioni amministrative territoriali; 2) la costante permanenza del requisito del controllo analogo (cfr. art. 2, co. 1, lett. c), d.lgs. 175/2016 e ss.mm.ii.); 3) la possibilità effettiva della presenza di capitali privati stabilita sia dallo statuto societario, sia dalla legislazione regionale.

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