Sulla natura (non vincolante) delle Linee Guida ANAC in materia di “Whistleblowing”

Sulla natura (non vincolante) delle Linee Guida ANAC in materia di “Whistleblowing”

Sommario: 1. Inquadramento normativo – 2. Linee guida ANAC in materia di “Whistle-blowing” – 3. Natura giuridica delle Linee Guida ANAC – 4. Rilievi e conclusioni

1. Inquadramento normativo

La tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità, di cui siano venuti a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro è stata introdotta nel nostro ordinamento relativamente tardi.

Numerose sono state infatti le fonti di diritto internazionale che, già dal 2003, avevano previsto diverse forme di tutela per i whistle-blowers, quali, a titolo esemplificativo, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (2003), il cui art. 33 prevedeva la possibilità, per ciascuno Stato di disporre le misure più appropriate al fine di proteggere da trattamenti ingiustificati chiunque avesse segnalato, in buona fede e sulla base di ragionevoli indizi, qualsiasi fatto previsto come reato dalla stessa Convenzione1; o, ancora, i Guiding principles for whistleblowers protection legislation, adottati dal G-20 Anti-corruption working group.

Con l’entrata in vigore della L. 6 novembre 2012, n. 190 (“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”), è stato introdotto all’interno del corpus normativo del D.Lgs. n. 165/2001, attraverso l’art. 54-bis, la prima forma di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti.

Infatti, la disposizione in esame prevedeva, al primo comma, che “Fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo stesso titolo ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che denuncia all’autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia”.

Ai sensi del secondo comma, era prevista una forma di tutela, in sede disciplinare, sull’identità del segnalante, la quale non poteva essere rivelata, senza il suo consenso e sempre che la contestazione dell’addebito disciplinare fosse fondata su fatti distinti e ulteriori rispetto alla precedente segnalazione. Qualora, invece, la contestazione dell’addebito si fosse fondata, in tutto o in parte, sulla segnalazione del whistle-blowers, la sua identità si sarebbe potuta rivelare, qualora ritenuta assolutamente necessaria per la difesa dell’incolpato.

Il terzo comma prevedeva, poi, che eventuali misure discriminatorie o ritorsive adottate nei confronti del segnalante dovessero essere segnalate, da parte del diretto interessato o delle organizzazioni sindacali, ad un’apposita struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri: il Dipartimento della funzione pubblica (istituito con l’art. 27 della L. 29 marzo 1983, n.93).

Sempre al fine di tutelare il dipendente, l’art. 54-bis, al quarto comma, prescriveva l’impossibilità di esercitare il diritto di accesso agli atti relativi alla segnalazione, di cui agli artt. 22 e ss. della L. n. 241/1990.

Con il D.L. 24 giugno 2014, n. 90 (convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114), è stata, poi, aggiunta, tra le autorità alle quali il dipendente poteva rivolgersi per denunciare condotte illecite delle quali era venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, l’Autorità Nazionale Anticorruzione.

Tra gli ulteriori strumenti per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni corruttivi nell’ambito del pubblico impiego, la L. n. 190/2012 ha introdotto nel nostro ordinamento il “Piano Nazionale Anticorruzione” (PNA) e i “Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione” (PTPC).

Il primo, per la cui adozione è competente l’ANAC, si configura quale atto di indirizzo per le pubbliche amministrazioni, il quale, individuando le principali aree di rischio in cui è più elevato il pericolo di corruzione2, e stabilendo obiettivi, tempi e modalità di adozione e attuazione delle relative misure di contrasto, si pone l’obiettivo di promuovere, per le singole amministrazioni, l’adozione di idonee misure di prevenzione del fenomeno corruttivo.

I secondi, invece, sono predisposti dalle singole amministrazioni sulla base delle prescrizioni contenute nel PNA.

La recente riforma al T.U. sul pubblico impiego, operata mediante L. n. 179/2017, ha senz’altro contribuito a delineare ulteriormente la disciplina del whistle-blowing.

Ed infatti, oltre all’introduzione di una specifica disciplina applicabile al settore privato, e all’introduzione, quale giusta causa di rivelazione del segreto d’ufficio (art. 326 c.p.), del segreto professionale (art. 622 c.p.), del segreto scientifico e industriale (art. 623 c.p.), il perseguimento – da parte del dipendente pubblico o privato che denuncia attività illecite – dell’interesse all’integrità delle amministrazioni e alla prevenzione e alla repressione delle vessazioni, la L. n. 179 del 2017 ha profondamente riformato l’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001.

2. Linee guida ANAC in materia di “Whistle-blowing

Ed infatti, tra le modifiche apportate dallart. 1 della L. n. 179/2017, deve essere annoverata l’introduzione, all’interno dell’art. 54-bis, del comma 5, il quale pone uno specifico potere/dovere in capo all’ANAC di adottare apposite Linee Guida in materia di whistle-blowing, favorendo il ricorso a strumenti di crittografia, anche al fine di tutelare l’identità del segnalante e il contenuto della relativa segnalazione3.

Riguardo il contenuto, esse sono suddivise in tre parti.

Nella prima parte viene esaminato l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina dell’art. 54-bis, ponendo particolare attenzione sia ai soggetti tenuti a ricevere le segnalazioni, sia ai soggetti – c.d. whistleblowers (id est, gli autori delle segnalazioni) – beneficiari del regime di tutela. In questa parte vengono fornite, inoltre, indicazioni sulle caratteristiche e sull’oggetto della segnalazione; sulle modalità e i tempi di tutela nonché sulle condizioni che impediscono di beneficiare della stessa.

Nella seconda parte, invece, sono contenuti i principi generali relativi alle modalità di gestione delle segnalazioni. Viene definito il ruolo svolto dal Responsabile per la prevenzione della corruzione e la trasparenza (RPCT), e, infine, vengono fornite indicazioni operative alle Amministrazioni sulle procedura da seguire per la trattazione delle segnalazioni, dalla fase di invio e ricezione a quella di valutazione della stessa.

Nella terza parte si dà conto delle procedure gestite da ANAC, cui è attribuito uno specifico potere sanzionatorio nei confronti delle amministrazioni e degli enti, con riferimento sia alle segnalazioni di condotte illecite, sia a quelle di misure ritorsive nei confronti del segnalante. Vengono indicate pertanto: le modalità di presentazione delle segnalazioni e delle comunicazioni, sia mediante la piattaforma informatica dell’ANAC sia mediante protocollo generale dell’ANAC; la gestione delle segnalazioni; la gestione delle comunicazioni di misure ritorsive o discriminatorie. Sono, infine, disciplinati i casi in cui si verifica la perdita, nel corso del procedimento, delle tutele riconosciute all’autore della segnalazione.

3. Natura giuridica delle Linee Guida ANAC

La prima sezione del Consiglio di Stato, nel parere n. 615 del 24 marzo 2020, al fine di stabilire quale fosse la natura giuridica delle Linee Guida ANAC in materia di whistle-blowing, ed in particolare, se esse fossero vincolanti o meno per le pubbliche amministrazioni, ha ripercorso gli orientamenti di dottrina e giurisprudenza che da tempo hanno cercato di delineare la natura, in via generale, delle Linee Guida.

Un primo approdo è sicuramente rappresentato dal parere n. 3235/2019, in cui il Consiglio di Stato, relativamente alla definizione di Linee guida ANAC richiamate dalla disposizione di cui all’art. 213, co. 2 del D.Lgs. n. 50/20164, ha distinto tre diverse tipologie di linee guida.

In particolare, le tre categorie sono: a) Linee guida adottate con decreto del Ministro delle infrastutture e trasporti, su proposta dell’ANAC, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari; b) Linee guida adottate con delibera dell’ANAC a carattere vincolante erga omnes; c) Linee guida adottate dall’ANAC a carattere non vincolante, alle quali dovrebbe assegnarsi un valore di indirizzo a fini di orientamento dei comportamenti di stazioni appaltanti ed operatori economici.

Tale ricostruzione, però, non ha mancato di suscitare dubbi interpretativi riguardo, sopratutto, ai criteri in base ai quali poter distinguere tra atti vincolanti e non vincolanti.

Infatti, all’orientamento secondo cui, dall’interpretazione letterale dell’art. 213, co. 2 del D.Lgs. n. 50/2016, non si sarebbe potuto far discendere alcun valore vincolante alle linee guida, se non nei casi espressamente tipizzati dalla legge, si contrapponeva quello che, valorizzando l’opportunità di una valutazione casistica, ne affermava l’intrinseca efficacia vincolante, e, ciò, in quanto tali tipi di atti trovavano riconoscimento in disposizioni integrative o attuative della fonte primaria.

Successivamente all’introduzione del comma 27-octies dell’art. 216 del Codice dei Contratti Pubblici, si è assistito ad un notevole ridimensionamento della categoria delle linee guida vincolanti, dovuto alla futura eventuale adozione, ai sensi dell’art. 17, co. 1, lett. a) e b), della L. n. 400/1988, di un regolamento unico recante disposizioni di esecuzione, attuazione e integrazione del codice dei contratti pubblici, nelle seguenti materie: a) nomina, ruolo e compiti del responsabile del procedimento; b) progettazione di lavori, servizi e forniture, e verifica del progetto; c) sistema di qualificazione e requisiti degli esecutori di lavori e dei contraenti generali; d) procedure di affidamento e realizzazione dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie; e) direzione dei lavori e dell’esecuzione; f) esecuzione dei contratti di lavori, servizi e forniture, contabilità, sospensioni e penali; g) collaudo e verifica di conformità; h) affidamento dei servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria e relativi requisiti degli operatori economici; i) lavori riguardanti i beni culturali.

Al di fuori di queste materie, l’ANAC avrebbe potuto continuare ad attuare o integrare, attraverso linee guida vincolanti, il precetto normativo delle norme del codice dei contratti pubblici.

In conclusione, l’intervento delle linee guida non vincolanti si sarebbe potuto ammettere con esclusivo riferimento alle disposizioni concernenti le procedure di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, o per l’esecuzione degli stessi; dovendosi escludere, invece, che nelle restanti materie, l’ANAC avesse il potere di adottare linee guida, ancorché non vincolanti.

Quanto detto, però, rimaneva circoscritto esclusivamente ai poteri dell’ANAC nell’ambito dei contratti pubblici, non potendo, dette osservazioni, essere estese anche agli altri poteri attributi alla stessa Autorità in materie diverse, quali la trasparenza e l’anticorruzione.

Nel parere del 29 luglio 2019, n. 2189, il Consiglio di Stato ha fornito alcuni elementi utili per distinguere quali linee guida fossero vincolanti e quali, invece, no.

La Sezione Atti normativi del Consiglio di Stato, ha, dapprima, richiamato i diversi orientamenti dottrinari secondo cui, le linee guida potevano essere ritenute vincolanti soltanto qualora espressamente qualificate tali dal legislatore5, così riconducendole agli strumenti di c.d. soft law, e quello per cui la natura vincolante doveva essere rintracciata alla stregua della funzione loro affidata dal codice. In particolare, qualora le disposizioni codicistiche avessero attribuito alle linee guida il compito di integrare ed attuare il precetto primario, si sarebbe tratta di linee guida vincolanti. Viceversa, qualora la funzione loro demandata fosse stata quella di dettare delle prassi applicative di norme già complete (come, ad esempio, meri suggerimenti o raccomandazioni volti a favorire l’adozione di comportamenti omogenei), si sarebbe dovuto concludere per la loro non vincolatività.

La Sezione Atti normativi precisava una ulteriore considerazione.

Ed infatti, riconoscere carattere vincolante alle disposizioni di un atto amministrativo, significa, al contempo, attribuirgli efficacia normativa, intesa, questa, come la capacità di modificare l’ordinamento giuridico, introducendo norme generali ed astratte, sia anche di livello secondario.

Nel parere 24 marzo 2020, n. 615, il Consiglio di stato ha, però, sottolineato la sostanziale distinzione tra la formulazione dell’art. 213 del Codice dei Contratti Pubblici rispetto all’art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001, in quanto, se nel primo si fa espresso riferimento alla “regolazione”, nel secondo, al contrario, si fa riferimento alla “promozione”.

Inoltre, nel codice dei contratti pubblici, l’obbligo di conformazione alle linee guida è espressamente previsto e coniugato con disposizioni transitorie6; nella L. n. 179/2017, invece, risultano del tutto assenti alcun tipo di norme i.

Tale assenza – spiegano i giudici di Palazzo Spada – si presta a due possibili letture, tra di loro contrapposte: secondo una prima, infatti, le amministrazioni, nelle more, possono comunque procedere ad organizzarsi per adeguarsi alle regole legislative del whistle-blowing; oppure, la regolazione ANAC è condizione necessaria a tal fine7.

Nel citato parere vengono, inoltre, presi in considerazione elementi quali il termine “indicazioni”, contenuto nella stessa premessa delle Linee Guida e considerato obiettivo delle stesse, nonché la formulazione in termini discorsivi e non precettivi del testo.

Alla luce di tali circostanze – secondo la Sezione – deve necessariamente concludersi per il carattere non vincolante delle Linee Guida, restando l’obbligo, per le Amministrazione destinatarie della relativa disciplina, di motivare espressamente le ragioni di eventuali scelte diverse da quelle indicate nelle stesse.

4. Rilievi e conclusioni

Deve essere segnalato, da ultimo, che la prima sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata anche riguardo l’ambito oggettivo delle Linee Guida.

In particolare, è stato rilevato che il riferimento ai “casi in cui si configurano condotte, situazioni, condizioni organizzative e individuali che potrebbero essere prodromiche, ovvero costituire un ambiente favorevole alla commissione di fatti corruttivi in senso proprio” non sembra possa essere facilmente riconducibile al dettato legislativo.

Infatti, sebbene tale questione sia al centro di due esigenze contrapposte (da un lato, quella di una efficace repressione dei fenomeni corruttivi nella p.a., dall’altro, quella dell’efficacia e del buon andamento dell’azione amministrativa), l’art. 54-bis si pone quale “norma eccezionale” rispetto al principio generale di accessibilità nei casi in cui sussista un interesse giuridicamente rilevante, e, pertanto, ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, non potrà essere applicato oltre i casi e i tempi in esso considerati.

Ciò, comunque, sembra non comportare il totale sacrificio dell’esigenza alla repressione dei fatti corruttivi all’interno della pubblica amministrazione.

Ed infatti, sarà sufficiente la configurazione del tentativo (qualora espressamente punito dal legislatore) a supplire i c.d. “atti prodromici”.

Inoltre, altre e più generiche figure di eccesso di potere, quali le ipotesi di nepotismo, false dichiarazioni, mancato rispetto delle tempistiche procedimentali, rientrerebbero già nel concetto di “illeciti” fissato dal legislatore.


1) Si riporta il testo integrale dell’art. 33 della Convenzione: “Ciascuno Stato Parte considera la possibilità di incorporare nel proprio sistema giuridico le misure appropriate per proteggere da qualsiasi trattamento ingiustificato ogni persona che segnali alle autorità competenti, in buona fede e sulla base di ragionevoli sospetti, qualsiasi fatto concernente i reati stabiliti dalla presente Convenzione”.

2) Ai sensi dell’art. 1, co. 16 della L. n. 190/2012, le principali aree di rischio sono così individuate: a) Procedimenti di autorizzazione o concessione; b) scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo n. 50/2016; c) concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati; d) concorsi e prove selettive per l’assunzione del personale e progressioni di carriera.

3) L’art. 54-bis, al comma 5, dispone, infatti, che “L’ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, adotta apposite linee guida relative alle procedure per la presentazione e la gestione delle segnalazioni. Le linee guida prevedono l’utilizzo di modalità anche informatiche e promuovono il ricorso a strumenti di crittografia per garantire la riservatezza dell’identità del segnalante e per il contenuto delle segnalazioni e della relativa documentazione”.

4) L’art. 213, co. 2, dispone infatti: “L’ANAC, attraverso linee guida, bandi-tipo, capitolati-tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, comunque denominati, garantisce la promozione dell’efficienza, della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti, cui fornisce supporto anche facilitando lo scambio di informazioni e la omogeneità dei procedimenti amministrativi e favorisce lo sviluppo delle migliori pratiche”.

5) Tale orientamento si fonda su due argomenti: 1) ildato letterale, secondo cui la stessa denominazione “linee guida” farebbe propendere per la non vincolatività delle stesse; 2)sarebbe proprio l’art. 213, co. 2 del D.Lgs. n. 50/2016 ad attribuire in via generale all’Autorità il potere di adottare “linee guida… ed altri strumenti di regolazione flessibile”.

6) Si veda, ad es., l’art. 78, co. 1 del D.Lgs. n. 165/2001, il quale dispone: “E’ istituito presso l’ANAC, che lo gestisce e lo aggiorna secondo criteri individuati con apposite determinazioni, l’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici. Ai fini dell’iscrizione nel suddetto albo, i soggetti interessati devono essere in possesso di requisiti di compatibilità e moralità, nonché di comprovata competenza e professionalità nello specifico settore a cui si riferisce il contratto, secondo i criteri e le modalità che l’Autorità definisce con apposite linee guida, valutando la possibilità di articolare l’Albo per aree tematiche omogenee, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente codice. Fino all’adozione della disciplina in materia di iscrizione all’Albo, si applica l’articolo 216, comma 12”.

7) Sembra, comunque, preferibile la prima opzione interpretativa, alla luce di quanto stabilito da Cons. St., Sez. VI, n. 28/2020, in cui, con riferimento ai rapporti tra le disposizioni sul whistle-blowing e la disciplina generale sul diritto di accesso, ha ritenuto che l’efficacia dell’art. 54-bis non fosse implicitamente condizionata all’adozione delle linee guida ANAC.

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Andrea Policarpo

Nasce a Palermo nel 1993. Dopo il diploma di maturità classica, ha conseguito la Laurea Magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Palermo. Attualmente svolge la pratica forense presso l'Ordine degli Avvocati di Palermo, occupandosi di Diritto Amministrativo, e specificamente diritto degli appalti pubblici e concessioni, concorsi pubblici, contrattualistica pubblica, giudizi di responsabilità in Corte dei Conti e interdittive antimafia.

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