Tirocini in Uffici giudiziari, “Decreto del Fare”: alcune criticità nella tassazione delle borse di studio

Tirocini in Uffici giudiziari, “Decreto del Fare”: alcune criticità nella tassazione delle borse di studio

Sommario: 1. Premessa – 2. La determinazione dell’imposta eventualmente dovuta – 3. La eventuale ritenuta – 4. Le criticità – 5. Conclusione

1. Premessa

In base ai commi 8-bis ed 8-ter dell’articolo 73 del Decreto Legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla Legge 9 agosto 2013, n. 69 e soprannominato “Decreto del Fare”, ad alcuni dei laureati in Giurisprudenza che hanno svolto il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari di cui al menzionato articolo, di durata complessiva pari a diciotto mesi, spetta una borsa di studio di importo non superiore a 400 euro mensili, assegnata annualmente in base al periodo di tirocinio effettivamente svolto nell’anno precedente – quindi per un periodo in ogni caso non superiore a dodici mesi –, tramite la procedura prevista dai sopra citati commi e nel limite dei fondi disponibili.

Secondo il disposto di cui all’articolo 50, comma primo, lettera c) del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, rubricato come “Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi”, le somme corrisposte, da chiunque, o a titolo di borsa di studio, oppure a titolo di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario delle suddette non è legato da rapporti di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante, sono considerate redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e rientrano comunque nella corrispondente categoria prevista dal menzionato Testo Unico.

Ben prima dell’introduzione nel nostro ordinamento giuridico del tirocinio del Decreto del Fare, la Circolare del Ministero delle Finanze del 23 dicembre 1997, n. 326/E[1], al paragrafo 5, sottoparagrafo 5.4, nel fornire l’interpretazione del vecchio articolo 47, comma primo, lettera c) del T.U.I.R. (il cui testo è stato trasfuso nell’articolo 50, comma primo, lettera c) del medesimo Testo Unico dal Decreto Legislativo 12 dicembre 2003, n. 344), precisava che per la nozione di borsa di studio si deve far riferimento alle erogazioni attribuite a favore di soggetti, anche non studenti, per sostenere l’attività di studio o di ricerca scientifica, di specializzazione, eccetera.

Di conseguenza, alle borse di studio del suddetto Decreto del Fare, poiché non rientrano tra quelle espressamente escluse in virtù di disposizioni di legge, si applica l’imposta sul reddito delle persone fisiche, secondo le disposizioni del Testo Unico delle Imposte sui Redditi. L’applicazione di tale imposta non è però automatica, ma ricorre solo in presenza di determinate condizioni, esposte di seguito.

2. La determinazione dell’imposta eventualmente dovuta

L’articolo 2 comma primo del menzionato Testo Unico riconosce quali soggetti passivi dell’imposta sui redditi le singole persone fisiche, sia quelle residenti sia quelle non residenti nel territorio dello Stato italiano.

L’articolo 3 comma primo del Testo Unico prevede l’applicazione della suddetta imposta sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti in Italia da tutti i redditi posseduti, al netto degli eventuali oneri deducibili indicati nell’articolo 10 della legge citata, e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato italiano, e determinato secondo le modalità di cui all’articolo 8 della menzionata legge.

Occorre rilevare che in base al comma secondo, lettera a) del sopra citato art. 3, sono in ogni caso esclusi dalla base imponibile i redditi esenti dall’imposta e quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva, quindi già sottoposti a tassazione.

In base all’articolo 7, comma primo, del D.P.R. n. 917/1986, l’imposta è dovuta per anni solari (intendendosi comunque anni di durata pari a 365 o 366 giorni e calcolati secondo il calendario comune[2]), a ciascuno dei quali corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma, salvo quanto stabilito nel comma terzo dell’articolo 8 e nel secondo periodo del comma terzo dell’articolo 11.

L’articolo 11, comma primo del menzionato D.P.R. prevede che la cosiddetta imposta lorda sia determinata applicando al reddito complessivo, al netto degli eventuali oneri deducibili indicati nell’articolo 10, delle aliquote differenziate a seconda del reddito posseduto dal soggetto. Le aliquote applicate sono le seguenti:

a) l’aliquota del 23 per cento per scaglioni di reddito fino a 15.000 euro;

b) l’aliquota del 27 per cento per scaglioni di reddito superiori a 15.000 euro e fino a 28.000 euro;

c) l’aliquota del 38 per cento per scaglioni di reddito superiori a 28.000 euro e fino a 55.000 euro;

d) l’aliquota del 41 per cento per scaglioni di reddito superiori a 55.000 euro e fino a 75.000 euro;

e) l’aliquota del 43 per cento per scaglioni di reddito superiori a 75.000 euro.

Il comma terzo del menzionato articolo stabilisce che l’imposta netta, ovvero l’importo effettivamente dovuto dal contribuente, è determinata operando sull’imposta lorda, fino alla concorrenza del suo ammontare, le detrazioni previste dal sopra citato D.P.R., nonché in altre disposizioni di legge. Si ritiene importante, per la questione trattata, segnalare soltanto le detrazioni di cui agli articoli 12 e 13 del D.P.R.

L’articolo 12 stabilisce gli importi che vengono detratti dall’imposta lorda per i cd. carichi di famiglia, fornisce una definizione dei suddetti carichi e determina le modalità di calcolo delle detrazioni per tali carichi.

Tuttavia, il secondo comma del menzionato articolo afferma che le suddette detrazioni spettano a condizione che le persone alle quali si riferiscono possiedano un reddito complessivo non superiore a 2.840,51 euro, al lordo degli eventuali oneri deducibili.

Ne consegue che, qualora il beneficiario della borsa di studio del Decreto del Fare possieda un reddito complessivo superiore a tale importo – che è possibile superare anche soltanto con la suddetta borsa, il cui importo può arrivare fino a 4.800 euro –, il soggetto o i soggetti che abbiano a carico il beneficiario della stessa non potranno usufruire delle detrazioni per i carichi di famiglia.

Si segnala che, in base ad una modifica legislativa operata dalla Legge finanziaria per il 2018, che aggiunge un periodo all’art. 12 comma secondo del T.U.I.R. e che acquisterà efficacia a partire dal 1° gennaio 2019[3], per i figli di età non superiore a ventiquattro anni il limite di reddito complessivo previsto per le detrazioni per carichi di famiglia è elevato a 4.000 euro.

L’articolo 13 comma primo del T.U.I.R. prevede che, se alla formazione del reddito complessivo concorrono uno o più redditi di cui agli articoli 49, con esclusione di quelli indicati nel comma secondo lettera a), e 50, comma primo, lettere a), b), c), c-bis), d), h-bis) e l) del menzionato Testo Unico, spetta una detrazione dall’imposta lorda, rapportata al periodo di lavoro nell’anno – nel caso in esame corrispondente al periodo di tirocinio effettivamente svolto nell’anno di riferimento –, determinata nei modi esposti di seguito.

Se il reddito complessivo posseduto dal soggetto non supera 8.000 euro, la detrazione è di importo pari a 1.880 euro. L’ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 690 euro. Tuttavia, per i rapporti di lavoro a tempo determinato – al quale è assimilato il tirocinio del Decreto del Fare, la cui durata massima è inderogabilmente stabilita dalla legge –, l’ammontare della detrazione effettivamente spettante non può essere inferiore a 1.380 euro.

In pratica, se il reddito complessivo posseduto dal beneficiario della borsa di studio del Decreto del Fare, nell’anno in cui l’ha percepita – necessariamente nell’anno successivo a quello in cui ha svolto il periodo di tirocinio preso in considerazione per la determinazione dell’importo della suddetta, in virtù delle norme che disciplinano la sua assegnazione –, non supera gli 8.000 euro, inclusa la somma ricevuta per la borsa, non verrà applicata l’imposta sul reddito delle persone fisiche, in quanto la detrazione prevista dal menzionato art. 13 copre l’intero importo dell’imposta lorda.

Se, invece, il beneficiario della borsa di studio, nell’anno in cui l’ha percepita, abbia percepito anche altri redditi, e quindi il suo reddito complessivo superi l’importo di 8.000 euro – ipotesi non improbabile, considerando l’importo al quale può arrivare la sola borsa di studio, già riferito in precedenza –, la suddetta borsa è assoggettata ad imposta sui redditi, anche nel caso in cui le eventuali detrazioni spettanti, sia quelle calcolate in precedenza in base all’art. 12 del T.U.I.R. quando e se spettano, sia quelle esposte di seguito, non coprano l’intero importo dell’imposta lorda.

In base all’articolo 13 comma primo del menzionato Testo Unico, se il reddito complessivo posseduto dalla persona fisica è superiore a 8.000 euro ma non a 28.000 euro, la detrazione spettante è determinata seguendo uno schema sintetizzabile nella formula seguente[4]: 978 € + [902 € * (28.000 € – reddito complessivo)]/20.000.

Invece, se il reddito complessivo è superiore a 28.000 euro ma non a 55.000 euro, la detrazione spettante è di 978 euro; la detrazione però spetta solo per una parte del reddito, calcolabile in base alla seguente formula[5]: (55.000 € – reddito complessivo)/27.000 €.

Il comma 1-bis del sopra citato articolo prevede che, qualora l’imposta lorda sui redditi di cui agli articoli 49, con esclusione di quelli indicati nel comma secondo lettera a), e 50, comma primo, lettere a), b), c), c-bis), d), h-bis) e l) del Testo Unico superi la detrazione spettante ai sensi del comma precedente, compete un credito rapportato al periodo di lavoro nell’anno, che non concorre alla formazione del reddito, determinato come segue.

Se il reddito complessivo non è superiore a 24.600 euro, il credito è di 960 euro.

Se il reddito complessivo è superiore a 24.600 euro ma non a 26.600 euro, il credito è sempre di 960 euro; tuttavia spetta soltanto per una parte del reddito complessivo, calcolabile tramite la seguente formula: (26.000 € – reddito complessivo)/2.000 €.

3. La eventuale ritenuta

Per quanto concerne il pagamento dell’imposta netta eventualmente dovuta – qualora, a seguito dei calcoli effettuati tramite la procedura prevista dagli articoli sopra menzionati, l’importo delle detrazioni spettanti sia inferiore all’importo dell’imposta lorda –, si applica il combinato disposto di cui agli articoli 23 e 24 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e 50 e 73 del T.U.I.R. (i quali sostituiscono, rispettivamente, l’art. 47 e l’art. 87 del T.U.I.R., menzionati rispettivamente dagli artt. 23 e 24 del D.P.R. n. 600 del 1973).

Qualora debba essere applicata l’imposta sul reddito alla borsa di studio percepita per il tirocinio del Decreto del Fare, il soggetto erogatore della suddetta borsa, ovvero l’ufficio giudiziario presso il quale si trova la Ragioneria competente all’erogazione, deve operare all’atto del pagamento della stessa, con obbligo di rivalsa, una ritenuta a titolo di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche sulla parte imponibile di detti redditi, determinata a norma dell’art. 52 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (che sostituisce l’art. 48-bis del Testo Unico, menzionato dall’art. 23 del D.P.R. n. 600/73).

Nell’eventuale ipotesi in cui la ritenuta da operare sulla borsa di studio non dovesse trovare capienza, in tutto o in parte, sul contestuale pagamento in denaro della stessa – ovvero, qualora la ritenuta da operare per legge sia superiore all’importo che può essere trattenuto dalla borsa di studio da erogare –, il sostituito – il beneficiario della borsa di studio – sarebbe tenuto a versare al sostituto – il soggetto erogante – l’importo corrispondente all’ammontare della ritenuta. Tuttavia, si ritiene poco probabile che tale ipotesi possa concretamente verificarsi, in quanto la somma spettante per la borsa di studio del Decreto del Fare, come riferito in precedenza ed in considerazione della qualificazione giuridica data dalla legge a tale somma, è costituita da un importo fisso stabilito secondo le modalità previste dalla legge, non soggetto ad aumento o a diminuzione.

Si applicano, in quanto compatibili, tutte le disposizioni dell’articolo 23 del D.P.R. n. 600/1973 e, in particolare, i commi 2, 3 e 4.

L’art. 23, comma secondo, lett. a) del D.P.R. n. 600/73 stabilisce che la ritenuta da operare sia determinata sulla parte imponibile delle somme e dei valori, di cui all’articolo 48 (ora art. 52) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, esclusi quelli indicati alle successive lettere b) e c) del sopra citato art. 23, corrisposti in ciascun periodo di paga – anche di somme di denaro assimilate ai redditi da lavoro dipendente –, con le aliquote dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, ragguagliando al periodo di paga i corrispondenti scaglioni annui di reddito, ed effettuando le detrazioni previste negli articoli 12 e 13 del citato Testo Unico, rapportate al periodo stesso.

Le detrazioni di cui all’articolo 12 del Testo Unico – ovvero le detrazioni per i carichi di famiglia – sono riconosciute soltanto se il percipiente – ovvero colui che incassa i soldi, in questo caso della borsa di studio – dichiara di avervi diritto, indica le condizioni di spettanza, il codice fiscale dei soggetti per i quali si usufruisce delle detrazioni e si impegna a comunicare tempestivamente le eventuali variazioni. La dichiarazione ha effetto anche per i periodi di imposta successivi.

L’omissione della comunicazione relativa alle variazioni comporta l’applicazione della sanzione amministrativa da euro 250 a euro 2.000, prevista dall’articolo 11, comma primo, del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e successive modificazioni, per le violazioni di cui alla lettera a) del menzionato comma.

In base all’art. 23, comma terzo, del sopra citato D.P.R. n. 600/73, i soggetti erogatori delle borse di studio in oggetto devono effettuare, entro il 28 febbraio dell’anno successivo a quello del pagamento delle somme dovute, il conguaglio tra le ritenute operate sulle somme e i valori di cui alla lettera a) del secondo comma di tale articolo, e l’imposta dovuta sull’ammontare complessivo degli emolumenti stessi, tenendo conto delle detrazioni eventualmente spettanti a norma degli articoli 12 e 13 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi e delle detrazioni eventualmente spettanti a norma dell’articolo 15 dello stesso Testo Unico, e successive modificazioni, per eventuali oneri a fronte dei quali il datore di lavoro – si intende, nel caso in oggetto, il soggetto erogante le borse di studio – avesse effettuato trattenute.

L’importo che al termine del periodo d’imposta – ovvero l’anno per il quale è dovuta l’imposta sul reddito, calcolata nei modi appena esposti – non dovesse essere stato trattenuto per incapienza delle retribuzioni – nel caso in esame, per la poco probabile incapienza delle borse di studio –,  deve essere comunicato all’interessato, che deve provvedere al versamento entro il 15 gennaio dell’anno successivo a quello del suddetto periodo.

Qualora la ritenuta operata sulla borsa di studio sia maggiore di quella effettivamente prevista dalla legge, oppure il beneficiario della suddetta borsa paghi una somma maggiore di quella effettivamente dovuta per l’imposta sui redditi, è possibile ottenere, alle condizioni e con la procedura stabilite dalla legge, il rimborso delle somme non dovute.

4. Le criticità

La disciplina della tassazione, nel caso delle borse di studio del Decreto del Fare, presenta almeno due aspetti critici.

Occorre innanzitutto osservare che la Circolare del Ministero delle Finanze n. 326/E del 1997, nel paragrafo 5, sottoparagrafo 5.1.,  divide i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente in tre distinti gruppi, e colloca nel terzo gruppo le ipotesi, diverse da quelle di cui alle lettere f), g), h) ed i) dell’art. 47 (ora art. 50) del T.U.I.R., in cui, per ragioni perequative – ovvero, per garantire equità nella tassazione –, sono disciplinate fattispecie in cui – secondo la definizione della circolare, probabilmente sbrigativa e non completa – esiste una prestazione lavorativa, ma questa è scissa da un elemento caratterizzante quale la retribuzione, in quanto il relativo compenso discende da elementi diversi dalla effettiva prestazione lavorativa.

Certo, come riconosciuto dalla stessa circolare, per le fattispecie inquadrabili nel terzo gruppo il legislatore ha previsto l’attribuzione delle detrazioni per redditi di lavoro dipendente, in quanto ritenute ipotesi più vicine concettualmente ai suddetti redditi. Inoltre, la legge riconosce la totale esenzione dalla tassazione per le borse di studio assegnate per attività di formazione considerate lontane dal concetto di lavoro dipendente, o comunque di lavoro, quali, a titolo esemplificativo, gli studi universitari.

Devono però essere segnalate le seguenti criticità.

È vero che l’articolo 53 della Costituzione impone la partecipazione alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva di ciascuno e di modellare il sistema tributario seguendo criteri di progressività nelle imposte. Tuttavia, va rilevata la contraddizione logica insita nell’articolo 50, comma primo, lettera c) del T.U.I.R. e nella circolare ministeriale che fornisce la interpretazione dello stesso, i quali assimilano a redditi di lavoro dipendente anche le borse di studio assegnate per il tirocinio previsto dall’art. 73 del D.L. n. 69/2013.

La contraddizione è determinata dai seguenti motivi: l’art. 73 è collocato nel Capo II del Titolo III del menzionato decreto legge, capo rubricato come «Tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari», e lo stesso articolo 73 è rubricato come «Formazione presso gli uffici giudiziari»; inoltre, il suddetto tirocinio è espressamente definito dal comma primo del menzionato articolo come «periodo di formazione teorico-pratica», e l’ottavo comma dello stesso stabilisce espressamente che lo svolgimento di tale stage «non dà diritto ad alcun compenso e non determina il sorgere di alcun rapporto di lavoro subordinato o autonomo ne’ di obblighi previdenziali e assicurativi».

Tale contraddizione viene giustificata con le esigenze perequative riportate nella sopra citata circolare del Ministero delle Finanze. Tuttavia, non si comprende quali siano le esigenze perequative che ricorrono nel caso in esame. Non è chiaro il motivo per il quale debba essere assimilata a reddito da lavoro dipendente, e quindi sottoposta ad imposta sui redditi, una borsa di studio assegnata per quello che è chiaramente qualificato dalla legge come un periodo di formazione – non si capisce come possa essere ritenuta capace di produrre reddito un’attività formativa –.

Va inoltre segnalato – e qui si espone la seconda criticità, ben più grave – che la disciplina della tassazione delle borse di studio del Decreto del Fare, così come attualmente prevista, determina un trattamento fiscale ingiustificatamente sfavorevole per i suoi beneficiari.

Infatti, facendo un esempio per illustrare meglio la questione, i percipienti risultano svantaggiati rispetto ad un lavoratore a tempo determinato, il quale abbia diritto ad una retribuzione di 400 euro mensili – ipotesi purtroppo non improbabile, di questi tempi –, abbia lavorato nello stesso periodo in cui il beneficiario della borsa di studio del Decreto del Fare ha svolto il tirocinio di cui al suddetto decreto ed abbia ricevuto la propria retribuzione nell’anno in cui ha lavorato. Ai fini fiscali, tale retribuzione verrà ovviamente riferita all’anno in cui è stata percepita, e quindi, in mancanza di ulteriori redditi del lavoratore, potrebbe non essere dovuta alcuna imposta sul reddito. Qualora tale lavoratore l’anno successivo non dovesse svolgere lo stesso lavoro, ma dovesse comunque guadagnare dei soldi, ovviamente nel calcolo della eventuale imposta sui redditi dovuta non rientrerebbe la retribuzione ricevuta l’anno precedente.

Invece, il beneficiario della borsa di studio per il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari riceverà la suddetta, in virtù delle norme che disciplinano la sua assegnazione, nell’anno successivo a quello in cui ha svolto il periodo di tirocinio preso in considerazione per la determinazione dell’importo della borsa. Di conseguenza, qualora nell’anno successivo dovesse aver guadagnato altri soldi – ipotizziamo, le stesse somme guadagnate dal lavoratore a tempo determinato di cui all’esempio nell’anno successivo a quello in cui ha effettuato la prestazione lavorativa menzionata in precedenza –, ai fini della determinazione dell’importo della eventuale imposta sul reddito dovuta verranno presi in considerazione non solo i soldi guadagnati dal beneficiario nell’anno in cui si applica l’imposta, ma anche la borsa di studio percepita per il tirocinio svolto nell’anno precedente.

Di conseguenza, il percipiente, qualora nell’anno in cui si applica l’imposta abbia avuto un reddito complessivo superiore ad 8.000 euro – importo per la verità non elevato, corrispondente ad una somma non superiore a 666,67 euro mensili –, potrebbe trovarsi a pagare una imposta sul reddito maggiore di quella dovuta dal lavoratore a tempo determinato dell’esempio, il quale potrebbe in ipotesi addirittura non dover pagare tale imposta. Questo senza che il tirocinante abbia guadagnato, concretamente, più soldi rispetto al lavoratore a tempo determinato! Senza considerare, peraltro, l’ulteriore svantaggio per il tirocinante di non aver ricevuto alcun contributo previdenziale o assicurativo.

Si potrebbe comunque ritenere opportuno tassare la borsa di studio percepita per l’attività prevista dal tirocinio del Decreto del Fare, formalmente qualificata come formativa, se non fosse che in realtà sono gli uffici giudiziari presso i quali viene svolto lo stage di cui all’art. 73 del suddetto decreto ad aver bisogno dell’opera dei tirocinanti. Questo era stato riconosciuto già nello stesso Decreto Legge n. 69 del 2013, tanto è vero che l’articolo 73, che istituisce il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari,  è collocato, come già riferito, nel Titolo III del suddetto decreto, titolo rubricato come «Misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile»!

Di conseguenza, la tassazione della borsa di studio per il suddetto tirocinio, nelle ipotesi in cui ricorre, anche per questo motivo risulta ingiustamente penalizzante per i suoi beneficiari, anche in considerazione del più favorevole trattamento fiscale riservato agli operatori volontari del servizio civile universale di cui al Decreto Legislativo 6 marzo 2017, n. 40, di durata non inferiore ad otto mesi e non superiore a dodici (art. 16, comma quarto, D.Lgs. n. 40/2017).

Infatti, l’articolo 16 comma terzo del sopra citato decreto legislativo dichiara – giustamente – esenti da imposizioni tributarie gli assegni mensili attribuiti ai suddetti operatori volontari ed inquadra espressamente tali assegni nei redditi derivanti dalle assunzioni di obblighi di fare, non fare o permettere. Questo implica che sui suddetti assegni non può essere effettuata alcuna ritenuta.

L’importo di tali assegni è determinato secondo la procedura stabilita dal menzionato decreto legislativo. Comunque, nei bandi per il servizio civile universale pubblicati negli ultimi tre anni, o quantomeno in quelli pubblicati nel 2016 e nel 2018, tale importo è stato fissato in 433,80 euro mensili, mentre la durata del servizio civile è stata determinata in dodici mesi.

Va inoltre osservato che per divenire operatore volontario del servizio civile universale è prevista più o meno la stessa età stabilita dalla legge per lo svolgimento del tirocinio del Decreto del Fare (non meno di 18 e non più di 28 anni per il servizio civile universale, art. 14, comma terzo, D.Lgs. n. 40/2017; meno di 30 anni per il tirocinio presso gli uffici giudiziari, riservato ai laureati in Giurisprudenza che rispettano i requisiti stabiliti dalla legge, art. 73, comma primo, D.L. n. 69/2013).

In virtù di quanto appena riferito, si comprendono ancora meno i motivi alla base dell’imposizione fiscale – quando viene applicata in quanto ne ricorrono i presupposti – sulla borsa di studio assegnata per aver svolto il tirocinio del Decreto del Fare, che, occorre ricordare, è qualificato come attività formativa.

5. Conclusione

Concludendo il discorso affrontato nel presente articolo, si ritiene opportuno esporre la seguente considerazione.

L’imposizione fiscale a carico della borsa di studio prevista per il tirocinio di cui all’art. 73 del D.L. n. 69/2013, che può essere concretamente applicata ai beneficiari della suddetta i quali, nell’anno in cui l’hanno percepita, abbiano un reddito superiore ad 8.000 euro, è ingiustificata e – diversamente da quanto riportato nella circolare ministeriale esposta in precedenza – contraria a qualsiasi criterio di equità fiscale, sia in considerazione della qualificazione formale del menzionato tirocinio, sia per il riconoscimento operato dallo stesso Decreto del Fare della necessità dell’opera dei tirocinanti per gli uffici giudiziari.

Alla luce di quanto appena riferito, si ritiene opportuno prevedere per legge l’esenzione totale da qualsiasi imposizione tributaria per la suddetta borsa di studio, e si auspica un intervento rapido del legislatore in tal senso, data l’urgenza della questione.


[1] Citata nell’articolo “Borse di Studio italiane ed estere: il regime di tassazione”, pubblicato online da “Fiscomania”
[2] Secondo quanto pubblicato online l’8 maggio 2015 da ”Diritto e giustizia”, il quale riporta, citandone la fonte, l’articolo “Niente astronomia, il Fisco guarda il calendario: l’anno solare inizia l’1 gennaio”, pubblicato online nella medesima data da “Fiscopiù” a commento dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 9014 del 6 maggio 2015
[3] Articolo 1, commi 252 e 253, Legge 27 dicembre 2017, n. 205
[4] Che è simile alla formula riportata nell’articolo “Borsa di studio: quale tassazione?”, di Noemi Secci, pubblicato online il 27 aprile 2018 da “La legge per tutti”
[5] Diversa dalla formula erroneamente riportata nell’articolo “Borsa di studio: quale tassazione?”, cit.

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Valerio Stomeo

Ho superato l'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense il 30 luglio del 2018, ma non ho ancora richiesto l'iscrizione all'albo degli avvocati. Ho conseguito l'abilitazione al patrocinio, in qualità di praticante avvocato, nel Distretto di Corte d'Appello di Lecce, il 5 luglio 2017. Ho svolto il tirocinio del cd. Decreto del Fare presso il Tribunale Penale - Sezione Riesame di Lecce dal 5 luglio 2016 al 5 gennaio 2018. Ho svolto la pratica forense presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce dall'8 aprile 2016 al 27 ottobre 2017.

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