Tra privacy e investigazione

Tra privacy e investigazione

Il decreto legislativo 19 dicembre 2017 n. 216, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 8 dell’11 gennaio 2018, attuando le direttive contenute nella legge 23 giugno 2017 n.103, persegue lo scopo di meglio coniugare le ragioni probatorie alla base dello strumento delle intercettazioni (telefoniche, ambientali e telematiche) con quelle della riservatezza.

Prima di procedere all’analisi della novella summenzionata, è opportuno, brevemente, illustrare la disciplina generale delle intercettazioni.

Come è noto, per intercettazione si intende quella captazione, ottenuta con strumenti tecnici di registrazione, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione segreta in corso tra due o più soggetti, quando l’apprensione medesima è operata da una parte terza, che nasconde la sua presenza agli interlocutori. [1]

Quindi, i requisiti sono:

1. la segretezza. Anzitutto, i soggetti devono comunicare tra loro col preciso intento di escludere estranei dal contenuto della comunicazione e secondo modalità tali da tenere quest’ultima segreta. Pertanto, non può qualificarsi come intercettazione la percezione di un’espressione del pensiero, sia pure ricolta ad un soggetto determinato, che venga effettuata in modo poco discreto, da renderla percepibile a terzi (es. parlare ad alta voce in pubblico)[2]

2. strumenti di captazione. Il soggetto autorizzato deve utilizzare esclusivamente strumenti tecnici di registrazione che siano idonei a superare le cautele elementari che dovrebbero garantire la libertà e segretezza del colloquio e a captarne i contenuti.

3. terzietà e clandestinità. Il captante deve essere necessariamente estraneo al colloquio e deve operare in modo clandestino. Non è intercettazione, ma documento, la registrazione di un colloquio effettuata da una delle persone che vi partecipano attivamente o da una persona che è comunque ammessa ad assistervi. In tale caso manca appunto il requisito della clandestinità. [3]

Ciò detto, l’intercettazione è un’attività che nell’ordinamento vigente può essere compiuta soltanto per iniziativa del pubblico ministero e su autorizzazione del giudice per le indagini preliminari nei casi e nei modi previsti dagli artt. 266-271 c.p.p. [4]

Da non confondere con l’intercettazione è il pedinamento mediante apparecchiatura satellitare G.P.S., che può essere disposto dalla polizia giudiziaria come mera attività atipica.

Sussistendo la riserva di giurisdizione, è indispensabile precisare che solo per talune categorie di reati, cd. intercettabili, è previsto l’utilizzo di detto strumento investigativo, e, nel decreto di autorizzazione all’intercettazione, il giudice deve motivare la presenza di ciascuno dei requisiti di seguito analizzati.

Occorrerà preliminarmente distinguere le due macro categorie di reati: quelli comuni e quelli speciali (criminalità organizzata e assimilati).

Per quanto riguarda la prima specie, le intercettazioni possono essere disposte nei procedimenti relativi ai reati previsti nell’art. 266, comma 1. [5]

Per essere disposta occorre che dagli atti di indagine risultino gravi indizi di reato [6], ovvero indizi dell’avvenuta commissione di uno di quei reati che consentano l’intercettazione. A differenza con quanto è previsto per le misure cautelari, non è richiesta la prova della responsabilità di un reato a carico di una determinata persona.

Quindi, non si applica l’art. 203 c.p.p.: se gli indizi si basano su dichiarazioni confidenziali di informatori della polizia, le dichiarazioni medesime possono essere utilizzate soltanto quando gli informatori sono stati esaminati come testimoni o come persone informate sui fatti e, quindi, abbiano cessato di essere anonimi. Se gli informatori non sono stati esaminati, le loro dichiarazioni non possono essere utilizzate ai fini della valutazione dei gravi indizi di reato.

Sempre sotto il profilo probatorio, l’intercettazione deve essere assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini, e cioè quando la prova non può essere acquisita con altri mezzi.

Riguardo ai termini, l’intercettazione non può superare i quindici giorni, salvo proroga con decreto motivato del giudice per ulteriore quindici giorni (267, comma 3, c.p.p.).

In riferimento al secondo gruppo di reati, detti speciali, occorre tenere presente che i requisiti testè indicati sono attenuati, atteso che il mezzo de quo può essere disposto in presenza di sufficienti indizi di reato, e quando è considerato necessario (e non indispensabile) ai fini delle indagini.

I termini di durata sono maggiori, infatti la legge assicura quaranta giorni, prorogabili di ulteriori 20; se vi è urgenza alla proroga provvede direttamente il pubblico ministero con provvedimento sottoposto a convalida del giudice.

Delineati così gli aspetti generali della disciplina in esame, torniamo ad analizzare la portata normativa della nuova legge, e l’impatto che essa ha con il diritto, altresì costituzionalmente garantito, alla riservatezza.

L’attenzione del Legislatore si è soffermata proprio sulle conversazioni irrilevanti, ovvero inconferenti rispetto al tema investigativo, specie quando le informazioni captate riguardino dati sensibili, cioè non consentite, quindi inutilizzabili.

Tra queste, si annoverano:  a) le intercettazioni che abbiano riguardato le conversazioni del difensore con il suo assistito, tutelate dall’art. 103 c.p.p.; b) le intercettazioni irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti; c) altre intercettazioni non rilevanti per le indagini, che abbiano ad oggetto dati sensibili.

Sul punto pare opportuno precisare che, per quanto concerne la prima categoria, il divieto di intercettazione di conversazioni o comunicazioni di difensori, ha per oggetto soltanto conversazioni o comunicazioni inerenti la funzione difensiva; se ne deduce che tutti gli altri colloqui tra avvocato e assistito esulano dalle garanzie di inutilizzabilità.

L’esempio più comune è l’ipotesi in cui il legale fornisca all’assistito notizie utili per sottrarsi alle ricerche dell’autorità. [7]

Invece, per quanto concerne i dati sensibili, meritevoli di tutela, devono guardarsi le ragioni probatorie.

In tal caso si procederà ad un bilanciamento degli interessi, e, se saranno prevalenti le ragioni investigative, allora il diritto alla riservatezza subirà una restrizione.

A tal uopo si rimembra che, come ricorda l’articolo 4, lettera d), del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, per dato personale si intende qualunque informazione relativa a persona fisica identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale; per dati identificativi, i dati personali che permettono l’identificazione diretta dell’interessato; per dati sensibili, i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale.

Vista la delicatezza della materia in oggetto, il legislatore ha predisposto una serie di garanzie a tutela delle informazioni sensibili.

Infatti, la polizia giudiziaria che procede e che pensi di aver captato informazioni tra indagato e difensore, ovvero intercettazioni irrilevanti, specie se relative a dati sensibili, ha il divieto di non procedere alla trascrizione, anche sommaria, del relativo contenuto, e, nel verbale delle operazioni, deve limitarsi a indicare soltanto la data, l’ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta. [8]

D’altra parte, lasciare alla sola polizia giudiziaria l’importante compito di scremare le informazioni utili ai fini delle indagini, da quelle inutilizzabili, senza prevedere un organo di controllo, sarebbe stato oltremodo rischioso; per tale motivo è stato previsto il controllo del pubblico ministero.

Pertanto, ai sensi dell’art. 267, comma 4, ultimo periodo, del Cpp, l’ufficiale di polizia giudiziaria ha l’obbligo di informare il pubblico ministero, e contemporaneamente annotare “sui contenuti” delle comunicazioni e conversazioni.

Tale ipotesi, tuttavia, non ricorre nel caso di intercettazioni del difensore, giacché il disposto dell’articolo 267, comma 4, non è richiamato nell’articolo 103, comma 7, ultimo periodo, come invece era nello schema originario.

In questo caso per escludere la trascrivibilità è sufficiente l’apprezzamento della polizia giudiziaria.

Una volta ottenuta l’informativa dalla polizia giudiziaria, il pubblico ministero può:

– o essere concorde con la valutazione effettuata dalla polizia giudiziaria e, quindi, l’annotazione sui contenuti delle intercettazioni non trascritte sarà inviata e conservata nell’archivio riservato ex art. 269, comma 1, del cpp;

– non essere d’accordo con quanto effettuato dalla polizia giudiziaria, perché le informazioni sono rilevanti ai fini delle indagini, ed allora ne disporrà la trascrizione integrale nei modi ordinari, con decreto motivato.

In entrambi i casi, il pubblico ministero deve motivare la scelta, specie se trattasi di informazioni aventi ad oggetto dati sensibili necessari ai fini dell’accertamento del reato.

Nel primo caso è tuttavia sufficiente argomentare sulla ravvisata rilevanza per i fatti oggetto di prova, mentre nel secondo caso la condizione che giustifica la trascrizione deve essere ravvisata nella ritenuta necessità ai medesimi fini di prova (v. art. 268, comma 2-ter, del Cpp): l’indicazione normativa in proposito è in linea con la legge delega, laddove questa prescrive un più penetrante obbligo ai fini dell’utilizzazione delle conversazioni coinvolgimenti dati sensibili, la cui trascrizione è imposta solo se strettamente pertinenti all’accertamento dei fatti. [9]

Però, la disciplina de qua, non è applicabile alle intercettazioni tra indagato e difensore, coperte da inutilizzabilità assoluta.

Tuttavia, ciò non esclude che il pubblico ministero, apprezzando il contenuto delle registrazioni, possa comunque disporne la trascrizione (nelle ipotesi di procuratore da indagare).

Se ne deduce che il compito della polizia giudiziaria è molto ampio, sia riguardo alle trascrizioni, che agli obblighi informativi da fornirne, volta per volta, al pubblico ministero.

La polizia giudiziaria, infatti, deve evitare di trascrivere nei brogliacci sia le conversazioni inutilizzabili, perché intercorse tra indagato e difensore, sia quelle irrilevanti rispetto alle indagini in itinere, specie quando trattasi di dati sensibili.

Il Legislatore ha, inoltre, previsto l’introduzione nel codice penale di una nuova fattispecie delittuosa, l’art. 617-septies, denominato “diffusione di riprese di comunicazioni fraudolente”.

Detta norma punisce colui che, partecipando a incontri o conversazioni riservati con la persona offesa, ne raccolga il contenuto, con mezzi insidiosi o fraudolenti e lo diffonda, con lo scopo di arrecare danno all’altrui reputazione o immagine.

Per quanto concerne l’elemento soggettivo, trattasi di dolo specifico, atteso che occorre la volontà di arrecare danno alla reputazione o all’immagine altrui.

Quindi, la punibilità è esclusa nel caso in cui la registrazione è finalizzata a farne diretto utilizzo in un procedimento giudiziario o amministrativo o per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca.

Riguardo alla condizione di procedibilità, è richiesta la querela, trattandosi di reato punibile con la reclusione fino a quattro anni.

In riferimento alla condotta punibile, la norma si riferisce alla divulgazione finalizzata a recare danno all’altrui reputazione o immagine.

In definitiva, l’illecito è integrato solo in ragione dell’uso che di tali registrazioni audio e/o video venga fatto.

Nonostante l’introduzione di detta fattispecie penale, merita evidenziare, in conclusione, l’assenza di un idoneo apparato sanzionatorio per le violazioni della disciplina a tutela della riservatezza.

Manca, infatti, una specifica tutela sia in ambito civile che penale in relazione al divieto di pubblicazione (forse per non contrastare efficacemente la posizione di molti giornalisti favorevoli alla ostensione) [10]; ed anche in sede processuale, allorquando il pubblico ministero opera il giudizio di rilevanza ai fini delle indagini, utilizzando un parametro eccessivamente discrezionale.

Potrebbero infatti essere trascritte, per errore di valutazione della procura, captazioni irrilevanti ai fini dell’accertamento del reato, lesive del diritto della privacy [11]


[1] In tal senso, Cass., Sez. Un. 28 maggio-24 settembre 2003, Torcasio, in Guida dir., 2003, 42,49
[2] v. Lineamenti di diritto processuale penale, Tonini, XXI ed., Giuffrè editore, 2013, 197 e ss.
[3] In quest’ultimo caso, il nastro della registrazione, assumendo la natura di documento, potrà essere ammesso all’interno del processo, salvo che vi osti un divieto probatorio.
[4] Le intercettazioni possono avere ad oggetto: a) conversazioni o comunicazioni telefoniche e altre forme di telecomunicazioni (art. 266 c.p.p.); b) il flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente con più sistemi (art. 266 bis c.p.p.); c) le comunicazioni o conversazioni tra presenti (cd. intercettazioni ambientali)
[5] Trattasi di: a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’art. 4 c.p.p.; b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell’art. 4 c.p.p.; c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope; d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive; e) delitti di contrabbando; f) reati di minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, molestia o disturbo alle persone col mezzo del telefono; f-bis) delitti previsti dall’art. 600-ter, comma 3, c.p. anche se relativi al materiale pornografico di cui all’ art. 600 quater, 1, c.p.; f-ter) delitti previsti dagli artt. 444, 473, 474, 515, 516 e 517 quater c.p.
[6] v. Art. 267, comma 1, cpp
[7] Cass., sezione VI, 16 giugno 2003, Pm in procedimento Franchi. Imputato un avvocato per il reato ex art. 378 cp, commesso in favore del proprio assistito, la Corte, accogliendo il ricorso del Procuratore della Repubblica, ha ritenuto utilizzabile il contenuto di un’intercettazione telefonica in cui il legale aveva comunicato al suo assistito, latitante a seguito di emissione di ordinanza cautelare in carcere, notizie riservate circa il prosieguo delle indagini e delle ricerche finalizzate alla sua cattura.
[8] Cfr. articoli 103, comma 7, ultimo periodo, e 268 comma 2-bis, del Cpp
[9] fonte: Guida al diritto/il sole 24 ore, numero 7 / 3 febbraio 2018, di Giuseppe Amato; così anche, La riservatezza delle intercettazioni nella “delega Orlando”, in Giustizia penale e informazione giudiziaria,
www.penalecontemporaneo.it
[10] così anche, La riservatezza delle intercettazioni nella “delega Orlando”, cit.
[11] Il legislatore avrebbe dovuto prevedere un divieto di allegazione con un’adeguata sanzione in caso di inosservanza, L. Filippi, sub comma 84, lett. a-e, Riforma Orlando, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda e G. Spangher, 5 ed., Milano, 2017 t. III, 3533

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Valeria Franchella

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