Trattamento contabile e fiscale delle plusvalenze derivanti dai contratti di sale and lease back

Trattamento contabile e fiscale delle plusvalenze derivanti dai contratti di sale and lease back

1. Premessa[1]

Il presente articolo si prefigge di analizzare da un punto di vista contabile e fiscale la plusvalenza generata da un particolare tipo di contratto atipico: il sale and lease back.

Questo contratto, cui faremo un breve cenno alle caratteristiche da un punto di vista giuridico, viene utilizzato sempre più spesso nell’ultimo ventennio, principalmente per far fronte a delle difficoltà finanziarie cui possono andare incontro aziende che realizzano impianti particolarmente costosi. Infatti questo genere di contratto ha trovato notevole diffusione nel settore delle imprese di produzione di energia alternativa (fotovoltaico, eolico, biomasse etc), dove i costi di realizzazioni degli impianti risultano particolarmente dispendiosi. Molto spesso, all’atto della cessione del bene oggetto di successivo leasing, matura per il venditore una plusvalenza che, da un punto di vista civilistico, va imputata al conto economico, in proporzione alla durata del contratto di leasing, spalmandone i ricavi in più esercizi. Da un punto di vista fiscale non essendoci una chiara normativa di riferimento, ci sono stati negli anni interpretazioni differenti, anche dopo che l’Agenzia delle Entrate ha fornito una interpretazione legale delle norme del TUIR. Interpretazione in disaccordo con la dottrina e con parte della giurisprudenza di merito. Fino a quando, nel 2016, una sentenza della Corte di Cassazione ha ribaltato la questione, allineando il trattamento fiscale a quello contabile.

2. Cenni sul contratto di sale and lease back

Il sale and lease – back (o leasing di ritorno) è un contratto atipico nato  come evoluzione di un ulteriore atto negoziale atipico, ossia  il leasing.

Il contratto di sale and lease – back, come tutti i contratti atipici, non trova disciplina nel codice civile. Trattasi di un negozio giuridico in cui intervengono due soggetti: il proprietario vende un bene ad un soggetto il quale, a sua volta, cede il bene stesso in locazione finanziaria a colui che ha proceduto alla vendita. Siamo di fronte a due distinti negozi giuridici (il primo di vendita e il secondo di locazione) regolamentati da un unico rapporto contrattuale.

Si è discusso in dottrina se il bene ceduto e nuovamente locato ha la diretta funzione di leasing, dando valore all’utilità del bene, ovvero ha solo la funzione di garanzia rispetto alle somme che vengono corrisposte dall’acquirente, diventando preponderante la funzione finanziaria.  La tesi per cui si è propeso sin dalla nascita di tale forma contrattuale è stata  la seconda, per cui il passaggio della proprietà del bene, non avendo lo scopo di procurare al finanziato la disponibilità del bene, dato che questi già l’aveva in precedenza, riveste solo una funzione di garanzia rispetto alle somme corrisposte.

Cero è che nella prima fase di vita di tale contratto atipico, è stato, persino, dichiarato nullo da una parte della giurisprudenza[2] in quanto ritenuto sostanzialmente riconducibile ad un mutuo assistito da garanzia reale, come detto in precedenza, e, quindi, in contrasto con il divieto del patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c.

Bisogna attendere la sentenza[3] della Suprema Corte che ha sottolineato come la preventiva cessione del bene costituisca il  presupposto necessario per la concessione del bene in “leasing”, e quindi non si è di fronte ad una vendita a scopo di garanzia, bensì ad una vendita dove lo scopo essenziale è il “leasing”.

Una ulteriore sentenza della Cassazione[4], a distanza di sette anni dalla precedente, ha chiarito che lo schema negoziale “socialmente tipico del lease-back presenta autonomia strutturale e funzionale” quale contratto di impresa e, dunque, presenta specifici caratteri, che escludono di ritenere che esso integri una fattispecie negoziale fraudolenta così come previsto degli artt. 1344 e 2744 del codice civile.

Anche sul piano fiscale le Commissioni Tributarie da sempre si sono orientate in favore della legittimità del contratto di leasing di ritorno, già dagli inizi degli anni novanta del secolo scorso.

La Circolare dell’Agenzia delle Entrate del 30 novembre 2000, n. 218/E precisa però che anche il lease-back, come qualsiasi altro contratto, può essere impiegato per scopi illeciti o fraudolenti ed in particolare ai fini di violazione o di elusione del divieto di patto commissorio ex art. 2744 del codice civile. In tal caso, laddove emergono anomalie tali da mettere in discussione la liceità del contratto, questo debba essere considerato in violazione del patto commissorio e, da un punto di vista fiscale, va disconosciuta la deducibilità dei costi e la ripartizione della plusvalenza da cessione.

Per meglio qualificare quali possono essere considerate anomalie tali da far venir meno il contratto di leasing di ritorno, con circolare 24 maggio 2000, n. 20, la Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia , ha previsto una serie di elementi oggettivi che possano far presumere l’intento elusivo delle parti, alcuni dei quali sono:

  • la sproporzione tra valore elevato del bene e prezzo esiguo pagato dalla società di leasing al venditore;

  • il bene che permane nella disponibilità della società di leasing;

  • il tasso di interesse applicato all’operazione, se particolarmente gravoso;

  • la mancanza di interesse dell’apparente venditore ad usare il bene oggetto di leasing;

  • la facoltà concessa all’utilizzatore di sub-locare il bene.

3. Il trattamento contabile

Nell’operazione di cessione del bene, prima del successivo riacquisto in leasing, è possibile che emerga una differenza rispetto al prezzo d’acquisto o di produzione, determinando quindi una plusvalenza (nel caso in cui la differenza tra il prezzo di acquisto o di produzione, al netto degli ammortamenti, e il prezzo di cessione, sia positiva) o una minusvalenza (nel caso la predetta differenza sia negativa).

La normativa civilistica, in tema di valutazione delle poste di bilancio, stabilisce, asi sensi dell’art. 2425 – bis comma 4, quale criterio di valutazione delle plusvalenze da lease-back, che queste siano ripartite in funzione della durata del contratto di locazione. Recita infatti tale norma che “le plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione”.

Anche per le società che hanno l’obbligo di redazione del bilancio secondo quanto previsto dai princìpi contabili internazionali, sono soggette alla stesso criterio di valutazione delle plusvalenze, così come riportato dallo IAS 17,  che specifica che  l’eventuale plusvalenza da cessione deve essere differita e imputata a conto economico, in base alla durata del contratto di leasing, al fine di assicurare il pieno rispetto del principio di correlazione tra i costi derivanti dal leasing e i ricavi emergenti in sede di vendita.

Il codice civile e i princìpi contabili internazionali non disciplinano l’ipotesi in cui dalla vendita del bene e successiva retrolocazione in leasing finanziario allo stesso venditore emerga, anziché una plusvalenza, una minusvalenza. È da ritenere che, in tal caso, la minusvalenza vada imputata direttamente a conto economico nell’esercizio in cui si realizza la compravendita, in ossequio ai principi di prudenza e di competenza.

4. Il trattamento fiscale

In relazione a tale fattispecie contrattuale, l’Agenzia è intervenuta in più di una occasione, evidenziando come il contratto in commento sia da suddividere in due operazioni autonome, quella di cessione e la successiva locazione finanziaria.

In particolare, secondo la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 38/E/2010 (punto 1.5.della predetta circolare), la plusvalenza rileva secondo le regole ordinarie dell’articolo 86 comma 4 del TUIR, ed è imponibile per intero nell’esercizio di realizzo, ovvero imputabile in cinque periodi d’imposta, se il bene è detenuto da almeno tre anni.

In particolare, recita la predetta circolare: Il principio secondo cui il contratto di sale and lease back comporti il trasferimento giuridico del diritto della proprietà del bene, ossia si concretizzi in un’operazione a tutti gli effetti realizzativa, è stato ribadito nelle recenti circolari del 13 marzo 2009, n. 8/E e del 19 marzo 2009, n. 11/E con riferimento alla disciplina della rivalutazione dei beni immobili relativi all’impresa. Sul piano civilistico, alla luce delle modifiche apportate dall’articolo 16 del decreto legislativo 28 dicembre 2004, n. 310 – che ha introdotto il comma 4 all’articolo 2425-bis del codice civile – si evidenzia che le plusvalenze da lease back sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione. In altri termini, in sede civilistica il contratto di sale and lease back è stato qualificato come un contratto complesso di durata, da cui derivano corrispettivi periodici. Posto che la modifica dell’articolo 2425-bis del codice civile non è stata accompagnata da una corrispondente modifica in ambito fiscale, devono ritenersi confermati i principi espressi nella circolare n. 218/E del 2000 e nei successivi documenti di prassi sopra citati, in virtù dei quali il regime tributario applicabile alla plusvalenza derivante da un’operazione di sale and lease back deve necessariamente essere quello previsto dall’articolo 86 e dall’articolo 109, comma 2, lett. a) del TUIR. Pertanto, la plusvalenza concorre integralmente alla formazione del reddito imponibile nell’esercizio in cui è realizzata ovvero, qualora ricorrano i presupposti previsti dalla legge, in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi ma non oltre il quarto (cfr. risoluzione del 25 agosto 2009, n. 237/E)”.

La tesi sostenuta dall’Agenzia è stata oggetto di diffuse critiche da parte della dottrina[5] e persino contestata dalla Commissione Tributaria di Modena con sentenza nr. 5 del 12.01.2011. In tale circostanza la predetta commissione, ha affermato che per la tassazione della plusvalenza nei contratti sale and lease back, deve prevalere il principio di derivazione del reddito d’impresa dalle risultanze di bilancio, ai sensi dall’articolo 83, comma 1, del TUIR.

Nella predetta sentenza, la  Commissione ha inteso sottolineare che l’articolo 86, comma 4, del TUIR, prevedendo la tassazione nell’anno o ripartita in 5 esercizi, può risultare una sorta di agevolazione per il contribuente quando la plusvalenza è di competenza di un unico esercizio. Di contro, non può certo essere considerata una norma di svantaggio fiscale quando contabilmente la plusvalenza, sulla base dell’articolo 2425-bis cod. civ., risulta essere ripartita su più esercizi, in ottemperanza del  principio  generale di derivazione previsto dall’art. 83 del TUIR.

A risolvere la questione, tendenzialmente in accordo con la predetta Commissione Tributaria e sconfessando l’impostazione prevista dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate nr. 38/E/2010, è intervenuta una recente posizione della Cassazione[6] che evidentemente prospetta una soluzione alla questione combaciante con il trattamento contabile previsto dalla normativa civilistica per tale tipologia di contratto.

Dice la Suprema Corte che “Occorre sul punto aggiungere che la possibilità, concessa al contribuente, di “diluire” negli anni la plusvalenza ottenuta dalla cessione di beni costituisce una deroga al criterio di competenza di cui all’articolo 109, TUIR; il che giustifica l’onere di effettuare la scelta nella dichiarazione dei redditi (articolo 86, comma 4, TUIR). La ripartizione della somma finanziata per la durata del contratto di “sale and lease back”, invece, è coerente con la causa effettiva del contratto, sicché l’assimilazione di tale finanziamento al corrispettivo derivante da una normale compravendita costituisce un’ingiustificata forzatura che non trova una espressa codificazione e impedisce pericolose applicazioni analogiche anche degli oneri dichiarativi previsti, ad altro fine, dall’articolo 86, comma 4, TUIR”.

In sintesi, tale pronuncia specifica che la previsione dell’articolo 86, comma 4, del TUIR è una deroga al principio di competenza dell’articolo 109 del TUIR. Questo significa che esso risulta applicabile solo quando, nel rispetto del principio di competenza, la plusvalenza viene imputata contabilmente in un unico esercizio, quello appunto in cui viene ceduto il bene. Siccome l’articolo 2425-bis del codice civile prevede, invece, una ripartizione della plusvalenza che è giustificata dalla causa del contratto, ossia l’obiettivo di finanziare l’impresa, e dalle caratteristiche dello stesso, non è applicabile la disciplina del comma 4 dell’articolo 86 del TUIR che ha invece come presupposto una vera e propria cessione del bene.

Quindi, in sintesi, siccome contabilmente, ai sensi della vigente normativa civilistica, la plusvalenza da cessione viene ripartita sull’arco dell’intera durata contrattuale, allo stesso modo  tali componenti positive di reddito dovranno essere ripartite allo stesso modo e in funzione della durata del contratto ai fini della loro tassazione.

La portata di tale sentenza non solo serve a definire in maniera chiara questa peculiare forma contrattuale che ha creato, dall’emanazione della Circolare dell’Agenzia delle Entrate e per circa un quindicennio, una notevole mole di contenzioso tributario, vista l’assenza di una specifica norma fiscale e l’interpretazione dell’Agenzia difforme dalla normativa civilistica.  Ma, a parere dello scrivente, questa sentenza apre una maggiore riflessione sulla necessità di una nuova e più ampia armonizzazione tra la normativa civilistica e fiscale, che elimini quella enormità di differenze di valutazione nelle singole poste di bilancio, che causano un notevole spreco di risorse alle imprese ed ampliano a dismisura il contenzioso tributario.


[1] A cura del Dott. Enzo Quaranta, dottore di ricerca in Management e Finanza, ispettore della Guardia di Finanza e cultore della materia in Economia Aziendale

[2] Tribunale di Verona del 15/12/1988 e Corte d’Appello di Brescia del 29/06/1990

[3] Sentenza della Corte di Cassazione n. 4612 del 7 maggio 1998

[4] Sentenza Corte di Cassazione n. 10805 del 16 ottobre 1995

[6] Cfr nota 4

[5] Anche i Giovani Commercialisti, con circolare n. 2/2007 del Centro Studi dell’Unione dei Giovani Dottori Commercialisti hanno criticato la posizione dell’Agenzia evidenziando l’unitarietà dell’operazioni di lease back

[6] sentenza Corte di Cassazione nr. 35294 del 23 agosto 2016


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