Tribunale di Sorveglianza, va accolta l’istanza di affidamento in prova anche se la pena residua espianda è di breve durata

Tribunale di Sorveglianza, va accolta l’istanza di affidamento in prova anche se la pena residua espianda è di breve durata

Commento alla sentenza Cass. Pen. n. 1032 del 13/11/2018, depositata il 10/01/2019

A cura dell’Avv. Marco La Grotta

La Prima Sezione della Corte di Cassazione ha affermato che un’istanza di affidamento in prova al servizio sociale non può essere rigettata sul mero rilievo della breve durata della pena da espiare, atteso che tale misura alternativa, essendo finalizzata ad evitare il ricorso allo strumento carcerario ove in concreto meno idoneo al conseguimento della finalità rieducativa, può essere concessa se ritenuta utile a favorire il reinserimento sociale del condannato e ad assicurare la prevenzione del pericolo di recidiva.

Fatto

Il Tribunale di sorveglianza poneva a fondamento del provvedimento di rigetto dell’istanza presentata da un condannato ex art. 47 Ord. Pen., il solo presupposto della brevità della pena residua da scontare.

Avverso tale decisione l’interessato proponeva ricorso per Cassazione per l’annullamento del provvedimento.

La decisione

La Suprema Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 1032/2019, ha annullato la decisione del Tribunale di sorveglianza per manifesta illogicità e ribadito che le misure alternative si ispirano al principio del favor libertatis, pertanto non è possibile porre a fondamento del provvedimento di rigetto un presupposto non codificato, ossia la brevità della durata della pena residua.

Anzi, la ratio che governa tali misure mira a valorizzare e favorire il percorso risocializzante del condannato che deve espiare una pena detentiva breve, in piena aderenza al principio costituzionale di rieducazione di cui all’art. 27.

L’art. 47 Ord. Pen., contempla la possibilità per il condannato a una pena non superiore a tre anni di detenzione, anche quale parte residua di una pena maggiore, di essere ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova, nei casi in cui tale misura possa favorire la sua rieducazione e contenere il pericolo che egli commetta altri reati.

La Corte richiama il proprio orientamento che impone al Tribunale di sorveglianza, di effettuare una serie di valutazioni circa la brevità della pena da espiare, la condizione di incensuratezza del condannato e l’assenza di pericolosità sociale, tali da favorire il suo reinserimento, tenendo in considerazione l’assenza di nuove denunce, il ripudio delle condotte pregresse, l’adesione a valori socialmente condivisi, la condotta della vita attuale e la congruità della condanna (Cass. n. 44992/2018).

A parere degli Ermellini, il Tribunale avrebbe dovuto esaminare l’istanza ex art. 47 Ord. Pen., alla luce degli elementi suindicati, nonché ulteriori requisiti quali: la violazione della legge penale, le modalità della sua commissione, il comportamento tenuto successivamente al reato e delle condizioni di contesto, personale e socio-ambientale, tali da consentire un giudizio prognostico finalizzato al reinserimento sociale del condannato e al contenimento del rischio di recidiva.

Di conseguenza la Cassazione, preso atto della totale assenza di valutazioni circa i requisiti summenzionati, ha annullato l’ordinanza impugnata e rinviato gli atti al Tribunale di sorveglianza per il nuovo esame dell’istanza.

Considerazioni

L’orientamento della Suprema Corte va certamente condiviso, anche alla luce della recente pronuncia della Corte Costituzionale (Sent. n. 41 del 02/03/2018) che ha introdotto il c.d. affidamento allargato.

Invero, ai sensi del comma 3-bis dell’art. 47 Ord. Pen., l’affidamento in prova può, altresì, essere concesso al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2.

Di conseguenza, è pacifico ribadire che la tendenza del nostro legislatore è quella di favorire il più possibile la rieducazione del condannato, ammettendolo ad espiare pene detentive di breve durata, attraverso misure alternative, tali da evitargli il trauma della detenzione carceraria.


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Avv. Marco La Grotta

Laurea Magistrale in Giurisprudenza, conseguita presso Università degli Studi di Bari "Aldo Moro". Pratica forense svolta in ambito civile, penale ed amministrativo presso lo studio legale dell'Avv. Prof. Giuseppe Chiarelli del Foro di Taranto. Attestato di frequenza della Scuola Forense-Taranto. Attestato di partecipazione al corso biennale per difensore d'ufficio. Attualmente iscritto presso l'Albo degli Avvocati di Taranto ed esercita la professione forense prevalentemente nell'ambito penale e della consulenza a società.

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