Un tipico caso di truffa al vaglio della Cassazione

Un tipico caso di truffa al vaglio della Cassazione

Cass. pen., Sez. VI, 28 ottobre – 31 ottobre 2016,  n. 45856 

La Corte di appello di Roma, giudicando in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, disponeva la consegna di N.G.G. all’Autorità giudiziaria della Romania, in esecuzione del mandato di arresto europeo emesso l’8 aprile 2016 dalla pretura di Timisoara, ai fini della rinnovazione del giudizio definito con sentenza del 30 marzo 2016 della Corte di appello di Timisoara, in ordine ad alcune imputazioni di truffa.

Ricorrendo per cassazione, N.G.G. lamentava l’erroneità della sentenza impugnata laddove era affermata la sussistenza di artifici e raggiri rilevanti ex art. 640 c.p., costituiti dalla pregressa condotta di aver provveduto inizialmente ad effettuare un  pagamento iniziale alle società venditrici della merce acquistata, al quale sono poi seguiti ordinativi sempre maggiori pagati con assegni privi di provvista.

Secondo prospettazione difensiva, tale motivazione era inidonea a distinguere la truffa dall’illecito di emissione di assegni a vuoto, che ben può basarsi anch’esso su una pregressa fiducia da parte dell’accipiens; non solo, la condotta addebitata all’imputato consistita nell’aver tagliato ogni forma di canale di comunicazioni con le società venditrici sarebbe stata irrilevante ai fini dell’integrazione degli estremi del reato di truffa, trattandosi di un comportamento successivo al mancato pagamento degli assegni e quindi al momento consumativo del predetto delitto.

All’esito del giudizio, la S.C.  rigettava il ricorso.

La breve, concisa e chiara motivazione si articola in due punti ben precisi: dapprima, la Corte ricorda come a mente dell’art. 7 legge 22 aprile 2005, n. 69, il mandato di arresto europeo può essere eseguito qualora il fatto sia previsto come reato anche dall’ordinamento nazionale.

Per giurisprudenza costante,  la condizione della doppia punibilità è soddisfatta all’atto in cui la concreta fattispecie sia punibile come reato in entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l’eventuale diversità, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato (Cass. Sez. 6, n. 4538 del 1-2-2012, Rv. 251790; Sez. 6, n.19406 del 17-5-2012, Rv.252723).

Non è quindi necessario che lo schema astratto delineato dalla norma incriminatrice dell’ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma dell’ordinamento italiano.

Ciò premesso in via di principio, nella sentenza in commento si rinviene un’ulteriore precisazione nomofilattica – mai superflua e sempre necessaria per delineare i contorni dei reati – circa la fattispecie di truffa.

Il rigetto del ricorso promana dalla correttezza della motivazione della Corte di Appello di Roma in merito alla rilevanza penale della condotta dell’imputato: dagli atti emerge come la merce acquistata sia stata pagata mediante assegni privi di provvista e che furono altresì posti artifizi e raggiri consistiti nell’iniziale pagamento alle società venditrici dei beni oggetto di compravendita, al quale sono poi seguiti ordinativi sempre maggiori, pagati con assegni privi di fondi.

Ne discende che l’iniziale esatto adempimento fosse stato idoneo a generare nelle controparti piena fiducia inerente alla solvibilità dell’imputato, così da poter, nel prosieguo dei rapporti commerciali, ordinare quantità sempre più elevate d merce pagando mediante titolo di credito rivelatisi privi della provvista.

Afferma allora la Corte: “sulla base di quanto evidenziato dalla Corte territoriale è dunque senz’altro ravvisabile, nella condotta della ricorrente, un quid pluris atto a connotare in termini di fraudolenza il comportamento della N., che non si è esaurito nella mera emissione degli assegni a vuoto ma si è estrinsecato in una condotta caratterizzata da un elevato coefficiente di decettività. D’altronde, la giurisprudenza ha sempre interpretato il concetto di artifici e raggiri in senso ampio, affermando che essi possono consistere non solo in particolari, sottili e astute messe in scena ma anche nella concreta simulazione o dissimulazione di aspetti della realtà ovvero in qualsiasi espediente subdolo, posto in essere per indurre taluno in errore (Cass., 25-3-1982, Mazzaferro; Cass. 12-12-1983, Barberini). Dunque la condotta fraudolenta rilevante ex art. 640 c.p. si concreta in qualunque comportamento che, determinando altri in errore, consente la realizzazione di un ingiusto profitto, con altrui danno. La rilevanza giuridica di tale condotta va pertanto ricercata non nella particolarità della sua estrinsecazione ma nella sua idoneità a generare la percezione di una falsa apparenza esteriore, dalla quale derivi l’inganno. D’altronde, allorquando la truffa sia consumata, come nel caso di specie, e quindi la condotta abbia, in concreto, raggiunto lo scopo di indurre in errore il soggetto passivo, ogni questione in ordine all’astratta idoneità dell’artificio o del raggiro ad ingannare l’altrui buona fede non ha alcuna rilevanza, essendo l’idoneità dimostrata dall’effetto raggiunto (Cass. 27-2-1990, Casella; Cass. 11-7-1990, Ricci Petitone; Cass. 14-11-1989, Scarcelli). E’ pertanto da considerarsi pienamente sussistente il requisito della doppia punibilità ex L. n. 69 del 2005, art. 7”.


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Filippo Marco Maria Bisanti

Dottore magistrale in Giurisprudenza - Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Dottore in Operatori della Sicurezza Sociale - Facoltà di Scienze Politiche - Università degli studi Cesare Alfieri di Firenze; Diplomato alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali - Università Guglielmo Marconi di Roma; Esito positivo del tirocinio formativo ex art. 73 d.l. 69/2013, conv. in l. 98/2013, svolto presso la Sezione Penale del Tribunale Ordinario di Trento (dicembre 2014-giugno 2016); Cultore della materia presso la cattedra di Diritto civile dell’Università degli Studi di Trento, Cultore della materia presso la cattedra di Istituzioni di diritto privato dell’Università di Trento

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