Atti persecutori: il minore che ha assistito al fatto delittuoso è persona offesa

Atti persecutori: il minore che ha assistito al fatto delittuoso è persona offesa

Il CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’infanzia) ha affermato che: “La violenza assistita da minori si verifica quando i bambini sono spettatori di qualsiasi forma di maltrattamento espresso attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte o minori”. 

Si tratta, pertanto, di una violenza indiretta, perpetrata in danno dei figli minori; sino al 2019 la violenza assistita non aveva un’autonomia e, di conseguenza, le vittime si trovavano senza una adeguata tutela giuridico – sociale.

La L. n. 69/2019, denominata “codice rosso”, introduce la nuova categoria dei reati di violenza domestica o di genere nell’ambito della quale vi è un esplicito riconoscimento normativo del fenomeno della violenza assistita.

Il codice penale considera la violenza assistita un’aggravante del reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. secondo cui il maltrattante abusa in modo reiterato nel tempo del coniuge convivente dinanzi ai propri figli.

La Cassazione, con sentenza n. 74/2020, in un caso ove non risultava applicabile ratione temporis il “codice rosso” in virtù del divieto di irretroattività delle norme penali più sfavorevoli, ha ritenuto di dover chiarire se si possa parlare di “violenza assistita” o reato aggravato dalla presenza di minori.

Nella fattispecie, infatti, la Corte di Appello di Milano aveva confermato la sentenza del Tribunale di Varese con la quale l’imputato era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni per i reati di atti persecutori e lesioni personali ai danni della ex convivente e della madre di costei. La Corte territoriale aveva, però, rigettato l’appello proposto dalla parte civile, nella qualità di legale rappresentante dei figli minori, sostenendo, in motivazione, che “i figli della coppia pur avendo assistito a tre degli episodi ascritti al padre (quelli del (OMISSIS)), non sono stati vittime dirette dei reati di stalking e di lesioni e il riconoscimento di un nesso eziologico tra il disagio agli stessi derivato e la condotta dell’imputato non è avvalorata neppure dal decreto definitivo di affidamento del Tribunale per i Minorenni di Milano del (OMISSIS) nel quale si dà atto che gli stessi hanno fortemente risentito della conflittualità genitoriale e familiare cui sono stati esposti“.

La Suprema Corte ha sottolineato come l’elaborazione della figura della violenza assistita sia un punto di grande evoluzione giurisprudenziale.

In molte pronunce in materia di “maltrattamenti contro familiari e conviventi” si è ritenuto che il bene giuridico protetto da tale norma non sia solo l’interesse dello Stato di salvaguardare la famiglia da comportamenti vessatori, violenti, ma anche la difesa dell’incolumità fisica e psichica dei membri del nucleo familiare.

Quindi l’art. 572 c.p. ricomprende non solo la violenza fisica. ma al tempo stesso tutti gli atti di disprezzo e di offesa della dignità della vittima che si estrinsecano in sofferenze morali.

La giurisprudenza alla luce dei citati presupposti ha ritenuto integrato il reato di maltrattamenti anche nei confronti dei figli seppur la condotta violenta sia stata perpetrata nei confronti della madre o del padre, in quanto per la Cassazione, gli stati di sofferenza, umiliazione delle vittime non è necessario che siano interconnessi con specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche dal clima che è instaurato all’interno di una comunità, conseguenza di atti di sopraffazione, umiliazione e vessazione.

I requisiti necessari ai fini della configurazione del reato di maltrattamenti nei confronti della prole devono, in ossequio alla natura abituale del reato, estrinsecarsi in condotte di violenza reiterate nel tempo. Occorre, inoltre, che il minore percepisca l’oppressione che l’altro genitore perpetra e che produca effetti negativi sia dal punto di vista dei processi di crescita morale che sociale della prole, conseguenze queste verificabili in modo oggettivo.

Il requisito ultimo citato è necessario per distinguere la “violenza assistita” da quei casi in cui il minore, sia stato solo presente durante la commissione di una delle condotte integranti il reato di cui all’art. 572 c.p. ovvero altri delitti contro la libertà personale, ricorrendo ove necessario all’aggravante di cui all’art. 61 n. 11 – quinquies c.p.. 

Ai fini dell’applicazione di tale aggravante, infatti, è sufficiente che il fatto sia commesso in un luogo ove si trovi contestualmente un minore, anche se questi per età o altre ragioni non fosse in grado di avere totale percezione e consapevolezza dell’ offensività della condotta posta in essere da taluno.

Sulla base dei principi sopra riassunti la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata, limitatamente alle statuizioni civili in favore dei figli minori, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per nuovo esame sul punto, affinché venga accertato, ai soli effetti civili: se ricorra una fattispecie di c.d. “violenza assistita” che abbia determinato ripercussioni negative sullo sviluppo psicofisico dei figli minori, o se ricorra l’aggravante dell’aver commesso il fatto “alla presenza” dei minori (art. 61 c.p., n. 11-quinquies), senza che ne sia derivato uno stato di sofferenza psico-fisica; se, nell’uno o nell’altro caso, sussistano i presupposti per la condanna risarcitoria anche nei confronti dei figli minori, in quanto ritenuti vittime “secondarie” della violenza assistita o percepita.

La violenza assistita è una delle tipologie di violenza più difficili da provare in sede giudiziaria, in quanto essendo il danno di carattere sia emotivo che mentale, si verificano spesso situazioni in cui la mente per proteggersi dall’evento fa si che il soggetto sia incapace di reagire.

Al fine di evitare e delimitare tale reato sarebbe indubbiamente proficuo predisporre un adeguato disegno di legge al fine di tutelare le vittime e di dare loro un supporto nel tempo.


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Federica Lorenza Perpignano

Dott.ssa Federica Perpignano Abilitata alla professione forense , specializzata in professioni legali e psicologia investigativa. Membro dell'Associazione Senza Veli Sulla Lingua sezione Lazio.

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