Volantini pubblicitari: il Comune non può vietarne la distribuzione nelle cassette postali

Volantini pubblicitari: il Comune non può vietarne la distribuzione nelle cassette postali

TAR Piemonte, sez. I, 15 giugno 2017, n. 742

Il Comune non può vietare la distribuzione di volantini pubblicitari nelle cassette postali, anche in caso di affissione su queste dell’espresso divieto da parte del cittadino.

Una società operante nel campo del recapito porta a porta di posta pubblicitaria non indirizzata e delle affissioni pubblicitarie impugnava il Regolamento comunale di Ornassavo, in materia di Polizia Urbana e Decoro Ambientale, nella parte in cui permette la distribuzione del materiale pubblicitario solo il mercoledì e giovedì e prevede il divieto di introdurre la posta nelle cassette dove è scritto il divieto di introdurre altra posta, con sanzioni di cui risponderà in solido il beneficiario del messaggio contenuto nel volantino.

Il Tribunale ha accolto il ricorso affermando che l’amministrazione comunale non dispone di poteri autorizzatori relativi all’attività di distribuzione di materiale pubblicitario. Si tratta, infatti, di un’attività essenzialmente libera, come la generalità dei servizi resi da privati (v. art. 10 del Dlgs. 26 marzo 2010 n. 59), e tutelata dalle norme che proteggono e favoriscono l’iniziativa economica (v. art. 1 del DL 24 gennaio 2012 n. 1). Gli obblighi imposti dal Comune sono quindi illegittimi per contrasto con i principi della liberalizzazione economica ormai codificati anche nell’ordinamento interno (TAR Lecce, sez. II, 26 maggio 2014, n. 1288; TAR Brescia, sez. I, 9 luglio 2015, n. 905 e 22 marzo 2013, n. 284). Sicché, della norma regolamentare, anche laddove intesa (nel senso sostenuto dalla parte resistente) come recante disposizioni direttamente impingenti sulla materia della distribuzione di materiale pubblicitario, non potrebbe che disporsi la disapplicazione, in quanto contrastante con sovraordinate disposizioni legislative.

Né pare possibile trovare una giustificazione al regolamento neppure configurando le disposizioni contestate come introduttive di restrizioni alle attività economiche, in coerenza con la possibilità in tal senso prevista dall’art. 8, comma 1, lett. h) del D.Lgs. 59/2010 (di recepimento della c.d. Direttiva Bolkenstein) al ricorrere di “motivi imperativi d’interesse generale”, tra i quali sono inclusi anche quelli afferenti alla tutela dell’ambiente e del decoro urbano (oltre a quelli della salute, dei lavoratori, e dei beni culturali).

È vero infatti che detta facoltà sussiste in astratto e che la stessa può esplicarsi in funzione della garanzia della sicurezza urbana, concetto comprensivo di una vasta serie di interessi pubblici, quali la vita civile, il miglioramento delle condizioni di vivibilità nei centri urbani, la pacifica convivenza e la coesione sociale.

Tuttavia, al fine di evitare un effetto di facile elusione o di depotenziamento delle norme poste a tutela dell’iniziativa economica, si impone un’interpretazione cauta e restrittiva delle prevalenti esigenze di interesse generale quali ragioni ostative al libero esplicarsi dell’iniziativa economica. Proprio l’ampiezza del concetto di tutela dell’ambiente urbano e l’implicazione di rilevanti e diffusi interessi economici potenzialmente pregiudicati da misure di ordine pubblico, impongono di limitare i poteri di restrizione della libera attività economica alle sole situazioni di reale e comprovato disagio collettivo, tali da giustificare un proporzionato utilizzo di poteri invasivi della sfera di libertà dei privati. Siffatta conclusione è ulteriormente giustificata dal fatto che i Comuni possono invece operare attraverso i normali poteri di vigilanza sul territorio per prevenire gli effetti indesiderabili del volantinaggio (maggiori rifiuti, intasamento delle cassette postali) e per sanzionare i singoli abusi, colpendo esclusivamente i responsabili e le imprese per cui gli stessi effettuano la distribuzione pubblicitaria.

Le norme in materia di distribuzione della pubblicità non costituiscono espressione di una bilanciata e contingentata applicazione dei poteri restrittivi della libera iniziativa economica ai limitati casi di reale e accertata necessità: prova ne sia il carattere generalizzato e astratto con il quale vengono introdotti i divieti alla distribuzione del materiale pubblicitario.


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Avv. Giacomo Romano

Ideatore e Coordinatore at Salvis Juribus
Nato a Napoli nel 1989, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nell’ottobre 2012 con pieni voti e lode, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "Le c.d. clausole esorbitanti nell’esecuzione dell’appalto di opere pubbliche", relatore Prof. Fiorenzo Liguori. Nel luglio 2014 ha conseguito il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Subito dopo, ha collaborato per un anno con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli occupandosi, prevalentemente, del contenzioso amministrativo. Nell’anno successivo, ha collaborato con uno studio legale napoletano operante nel settore amministrativo. Successivamente, si è occupato del contenzioso bancario e amministrativo presso studi legali con sede in Napoli e Verona. La passione per l’editoria gli ha permesso di intrattenere una collaborazione professionale con una nota casa editrice italiana. È autore di innumerevoli pubblicazioni sulla rivista “Gazzetta Forense” con la quale collabora assiduamente da giugno 2013. Ad oggi, intrattiene collaborazioni professionali con svariate riviste di settore e studi professionali. È titolare di “Salvis Juribus Law Firm”, studio legale presso cui, insieme ai suoi collaboratori, svolge quotidianamente l’attività professionale avendo modo di occuparsi, in particolare, di problematiche giuridiche relative ai Concorsi Pubblici, Esami di Stato, Esami d’Abilitazione, Urbanistica ed Edilizia, Contratti Pubblici ed Appalti.

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