Cassa integrazione “a regime” e cassa integrazione “Covid-19”: questioni problematiche

Cassa integrazione “a regime” e cassa integrazione “Covid-19”: questioni problematiche

Sommario: 1. Premessa – 2. Cassa integrazione “a regime”: tipi e finalità – 2.1. Estensione della tutela. I fondi di solidarietà ed il fondo di integrazione salariale – 3. La cassa integrazione Covid e l’assegno ordinario. Profili problematici – 3.1. Segue: l’estensione del campo di applicazione ai contratti di lavoro a termine – 3.2. Segue: il divieto di licenziamento – 4. Conclusioni

 

1. Premessa

La Cassa Integrazione Guadagni, nelle sue forme ordinaria, straordinaria ed in deroga, si inquadra nelle misure di politica passiva del lavoro e rappresenta uno dei principali, se non il principale, tra gli ammortizzatori sociali.

L’istituto rispecchia ed è diretta emanazione di obiettivi programmatici della nostra Carta Costituente scolpiti dall’art.1, che fonda la Repubblica Italiana sul lavoro; e dall’art. 5, che prevede il lavoro come diritto. In tale prospettiva, il diritto al lavoro del singolo individuo si ricollega all’art. 2 Cost. come strumento per raggiungere una compiuta indipendenza e la realizzazione sociale ivi predicata.

Altro principio costituzionale che viene in rilievo nell’istituto della cassa integrazione è quello della retribuzione dignitosa ed adeguata del lavoratore, sancita dall’art. 36 della Carta fondamentale. Da ciò si può desumere che l’istituto tutela il lavoro come valore in quanto tale, a prescindere da valutazioni sociali quali l’indigenza o la debolezza del soggetto.

Non sembra, a parere di chi scrive, invece, che l’istituto abbia finalità assistenzialistiche, intendendo come tali tutte quelle misure che lo Stato sociale predispone come tutela di più deboli economicamente e socialmente. Benchè la legislazione sociale rappresenti, secondo la teoria prevalente, una branca del diritto del lavoro, non si può tacere come altra parte della dottrina rivendica una piena autonomia della materia. Oltretutto, a prescindere dall’inquadramento scientifico, si può notare come le norme costituzionali che fondano la materia siano diverse da quelle che tutelano il lavoro, venendo in rilievo principalmente l’art. 38 della Costituzione che prevede il diritto al mantenimento ed all’assistenza di cittadini inabili al lavoro e privi di mezzi necessari per vivere cui deve provvedere direttamente lo Stato mediante i suoi organi o enti. Anche lo stesso articolo 2, che pure viene qui in rilievo, lo fa sotto una prospettiva non tanto di realizzazione individuale, quanto di solidarietà sociale. Da quanto detto, emerge altresì la centralità dell’art. 3 della Costituzione in materia assistenziale, essendo tale materia un ambito in cui si realizza l’intervento dello Stato Sociale per rimuove le inuguaglianze sostanziali tra gli individui.

2. Cassa integrazione “a regime”: tipi e finalità

In ambito legislativo il principio della tutela del lavoro e della retribuzione, come detto, ha trovato piena espressione nel sistema di interventi di integrazione salariale, i quali si suddividono nella cassa integrazione guadagni ordinaria e nella cassa integrazione guadagni straordinaria, a ciò aggiungendosi interventi legislativi episodici e circoscritti concretanti una cassa integrazione (straordinaria) in deroga. Tali strumenti prevedono la corresponsione di un trattamento economico al verificarsi di eventi oggettivi ed imprevedibili.

Testo legislativo centrale per l’analisi dell’istituto della cassa integrazione è il D.lgs 148/2015, attuativo del Job Acts, venendo poi in rilievo altri interventi legislativi transeunte con riguardo la CIGS in deroga.

In generale, la cassa integrazione copre tutti i lavoratori subordinati (ad esclusione di dirigenti e lavoratori a domicilio) ed il trattamento ammonta all’80 % della retribuzione globale che sarebbe spettata al lavoratore per le ore non prestate. La durata massima degli interventi salariali è di 24 mesi in un quinquennio mobile.

La Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria si applica a tutte le aziende industriali, i presupposti consistono nella contrazione o sospensione dell’attività lavorativa per situazioni aziendali dovute ad eventi transitori o da situazioni temporanee di mercato.

La Cassa integrazione Guadagni straordinaria si applica a tutte le aziende industriali che hanno occupato in media 15 dipendenti nel semestre antecedente la richiesta ed alle aziende del commercio con più di 50 lavoratori. L’intervento può essere richiesto in caso di sospensione o riduzione di attività a causa di riorganizzazione aziendale, per la durata di 12 mesi, crisi aziendale, per la durata massima di 12 mesi, o n caso di contratto di solidarietà difensivo, per 24 mesi.

Con riguardo la cassa integrazione in deroga, storicamente, prima della Legge Fornero (L. 92/2012) e dei decreti attuativi del Job Acts (d.lgs. 22 e 148/2015) i trattamenti in deroga erano previsti al fine di fornire una tutela ai lavoratori esclusi dalla disciplina ordinaria e straordinaria (es. gli apprendisti). Con gli interventi legislativi del 2012 e del 2015, la finalità dell’istituto muta, non essendo dettata solo per garantire tutela a lavoratori esclusi, ma includendo tutti i lavoratori per far fronte a situazioni particolari e transeunte (1). Le diverse ipotesi riguardano trattamenti in deroga ai limiti massimi di durata stabiliti per la CIGS ex art. 4 e 22 D.lgs. 148/2015, novellati tra l’altro dal D.L. 4/2019 conv. in L. 26/2019 e sono le seguenti:

– per gli anni 2019 e 2020, può essere autorizzato per massimo 12 mesi il trattamento per crisi aziendale qualora l’azienda abbia cessato l’attività produttiva e sussistano prospettive di cessione dell’attività con conseguente riassorbimento occupazionale, o interventi di reindustrializzazione del sito prodotto, o specifici percorsi di politica attiva.

– Per gli anni 2018, 2019 e 2020, per le imprese con rilevanza economica strategica che presentino problematiche occupazionali con esuberi nel contesto territoriale, può essere concessa la proroga dell’intervento CIGS sino al limite massimo di 12 mesi.

– In presenza di piani pluriennali di riorganizzazione, che coinvolgono imprese operanti in più regioni con un organico superiore a 500 unità lavorative con gravi ricadute occupazionali concentrate nelle aree di crisi complessa, il ministero del lavoro, può autorizzare acconti per 6 mensilità di integrazione salariale (art. 22 bis, co.1bis, D.Lgs. 148/2015, introdotto dal D.L. 4/2019 conv. In L. 26/2019);

– le Regioni possono autorizzare per un periodo massimo di 12 mesi, la proroga delle prestazioni di cassa integrazione guadagni in deroga già concesse al fine del compimento dei piani di nuova industrializzazione, di recupero o di tenuta occupazionale relativi a crisi aziendali incardinate presso le unità di crisi delle Regioni (art. 26ter, co.2, D.L. 4/2019 conv. in L.26/2019).

2.1. Estensione della tutela. I fondi di solidarietà ed il fondo di integrazione salariale

Con l’articolo 26 del D.lgs. 148/2015 si è cercato di allargare le maglie di tutela dei già esistenti fondi di solidarietà o settoriali previsti dall’art.2 della legge 662/96, come modificati dalla L 92 del 2012.

In particolare, la norma prevede la costituzione obbligatoria dei fondi per le categorie di lavoratori e settori di impresa (l’esperienza trainante è quella dei fondi per l’artigianato) sprovvisti di un sistema di ammortizzatori sociali, prevedendone l’obbligatorietà per i datori di lavoro che occupano in media più di 5 dipendenti, compresi apprendisti. Tale prestazione corrisponde un assegno ordinario di importo almeno pari all’integrazione salariale.

Al riguardo, occorre notare come la costituzione dei fondi sia rimessa alla contrattazione collettiva, con la precisazione che la stessa diviene obbligatoria, qualora prevista dalla parte economica della contrattazione collettiva, alla luce dell’art 36 della Costituzione e della sua immediata precettività, (come statuito anche dalla sentenza della Corte cost. 28 giugno-6 luglio 1971, n. 156 che sottolinea il principio della giusta retribuzione) qualora inseriti nella parte normativa della contrattazione.

Qualora la norma non sia posta nella parte economica del contratto collettivo applicabile al caso concreto, la stessa diviene obbligatoria solo per i lavoratori ed i datori che fanno parte delle parti firmatarie.

Alla luce di quanto appena detto, emerge una criticità fondamentale, ovvero sia la previsione che tali forme di tutela, in quanto rimesse alla contrattazione collettiva, presuppongano l’adesione ai sindacati firmatari della contrattazione stessa, qualora si voglia essere sicuri circa l’operatività di detti interventi di integrazione, con ciò concretandosi in un palese vulnus alla libertà di associazione sindacale scolpito dall’art. 39 della Costituzione, il quale può anche declinarsi nella decisione di non voler aderire ad alcuna associazione di talfatta. In base a tali constatazioni il Ministero del Lavoro (2) ha stabilito, che obbligare all’iscrizione di tali fondi al fine di ottenere una misura d’integrazione salariale non sia legittimo. Al fine tuttavia di garantire una tutela al lavoratore, evitando disparità di trattamento tra lavoratori iscritti ai sindacati e non iscritti, in luogo dell’adesione a tali misure di sostegno, è prevista una corresponsione retributiva e “compensativa” direttamente allo stesso. In tal modo il datore avrebbe tutelato attraverso altra modalità la retribuzione del lavoratore salvaguardando, altresì, il diritto costituzionale di associazione sindacale.

Da quanto detto, fermo restando le misure retributivo/compensative alternativa al Fondo, si desume che potrebbero comunque esserci delle ipotesi di lavoratori non coperti da un sistema di integrazione salariale, come ad esempio il caso di lavoratori o datori di lavoro non facenti parte di associazioni firmatarie qualora l’istituzione dei fondi, pur prevista dal Contatto collettivo, non faccia parte della sezione normativa del contratto stesso.

Diversa ipotesi è quella della contrattazione collettiva che non abbia istituito detti fondi.

Per tale ultimo caso, lo stesso articolo 26 prevede anche l’istituzione di un fondo di carattere residuale ovvero il fondo di integrazione salariale disciplinato dal D.I. 3 febbraio 2016.

Il Fondo comprende tutti i datori di lavoro, anche non organizzati in forma d’impresa, che occupano mediamente più di cinque dipendenti, che non rientrano nel campo di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e che appartengono a settori nell’ambito dei quali non sono stati stipulati accordi per l’attivazione di un Fondo di solidarietà bilaterale o di un Fondo di solidarietà bilaterale alternativo.

In tale prospettiva, il FIS si pone come strumento di integrazione salariale residuale rispetto alla CIG ed ai fondi bilaterali.

Il FIS mette a disposizione interventi a sostegno del reddito nei confronti dei lavoratori la cui attività lavorativa è sospesa o ridotta in relazione alle causali previste in materia di cassa integrazione guadagni ordinaria (a eccezione delle intemperie stagionali) o straordinaria (a eccezione del contratto di solidarietà) ovvero ridotta al fine di evitare o ridurre le eccedenze di personale (3).

Tuttavia, occorre notare, come anche in tale caso la tutela escluda i datori che non occupino mediamente più di 5 lavoratori nel semestre precedente la richiesta.

Rimane un vulnus di tutela per i lavoratori, con meno di 5 dipendenti, per i quali i contratti collettivi non abbiano previsto l’istituzione di Fondi di Solidarietà. Tali soggetti saranno tutelati, eventualmente, solo con interventi Transeunte di CIGS in deroga. L’unica possibilità di una tutela “a regime”, svincolata da eventi limitati nel tempo, è qualora la singola Regione predisponga delle tutele di integrazione.

De Iure condendo, sarebbe opportuno predisporre un sistema di tutele, per il futuro, unitario e omnicomprensivo, anche alla luce dell’articolo 3 della Costituzione. Sarebbe auspicabile, altresì, svincolare la costituzione dei fondi di solidarietà da parte dei contratti collettivi e dalla gestione sindacale svincolato dalla gestione sindacale (proprio per tutelare la più ampia libertà associativa ex art. 39) ed ampliare, sotto l’ambito di applicazione soggettivo, l’operatività della CIGO e della CIGS. Tale soluzione accoglierebbe altresì istanze di completezza sistematica e di certezza del diritto.

3. La cassa integrazione Covid e l’assegno ordinario. Profili problematici

Di difficile analisi sistematica si pone la cassa integrazione prevista per fronteggiare il lockdown forzato dovuto alla recente crisi pandemica del Covid-19.

L’intervento è stato introdotto con l’art 19 del D.L. 18/2020 conv. In L 27/2020 e confermato, salvo piccole modifiche, con D.L. 34/2020 e con D.L. 52/2020.

La norma, a parere di chi scrive, si presenta avulsa dal sistema sopra delineato e presenta caratteri propri, a volte non pienamente giustificati ed apparentemente incoerenti con la natura stessa della cassa integrazione.

Infatti, già dal nomen iuris che si attribuisce a tali interventi, si palesa un’incongruenza.

Difatti, vista la predisposizione dell’intervento per fronteggiare un evento di carattere transitorio, la stessa non dovrebbe essere appellata come ordinaria, ma come cassa integrazione straordinaria in deroga (alla luce del dato che gli interventi di CIG in deroga non sono interventi a regime, ma interventi fatti in via provvisoria).

Con riguardo i presupposti per l’applicazione della cassa integrazione COVID, dispone l’art. 19 comma 1, del DL 18/2020 (confermato e prorogata dai successivi interventi sopradetti) che: “I datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attivita’ lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario con causale “emergenza COVID-19″….”.

La norma, quindi, al ricorrere di tali presupposti, riconosce l’integrazione salariale o l’assegno ordinario.

Con riguardo a quest’ultimo, il comma 5 dispone che l’assegno ordinario è concesso, limitatamente per il periodo indicato e nell’anno 2020, anche ai lavoratori dipendenti presso datori di lavoro iscritti al Fondo di integrazione salariale (FIS) che occupano mediamente piu’ di 5 dipendenti.

Il comma successivo (sesto) estende la tutela anche per i lavoratori per i quali siano previsti dalla contrattazione collettiva fondi di solidarietà.

In relazione a tale ultimo punto, la legge, nonostante la misura sia finanziata con risorse interamente statali, demanda l’erogazione dell’integrazione salariale a tali Fondi di Solidarietà. La norma si è da subito evidenziata come contraria al principio di libertà sindacale e di parità di trattamento, in quanto sembrava subordinare l’erogazione, per giunta con finanziamenti statali, all’iscrizione a tali fondi. Tuttavia, la giurisprudenza sta riportando a coerenza un sistema alquanto impreciso. Infatti, il tar Lazio ha sancito, dapprima (4), che l’erogazione dei fondi sia del tutto svincolata da qualsivoglia regolarizzazione; ed in secondo luogo (5) ha provveduto a sospendere la delibera di urgenza adottata dal Fondo di Solidarietà Bilaterale Alternativo dell’Artigianato il 2 marzo 2020 nella parte in cui prevede, per la concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale agli artigiani nel periodo emergenziale Covid-19, la preventiva iscrizione al Fondo e la conseguente assunzione di vincoli contributivi nei confronti dello stesso.

A parere dello scrivente, qualora eventuali fondi abbiano richiesto, oltre l’iscrizione obbligatoria, la regolarizzazione contributiva, il datore che abbia ottemperato a tale illegittima richiesta potrebbe verosimilmente, oltre che richiedere la restituzione dell’indebito, il risarcimento dei danni. (senza voler in questa sede approfondire se la richiesta di somme non dovute presenti profili di illeicità penale).

Punto peculiare del nuovo intervento di integrazione è che, a differenza della Cassa integrazione “a regime”, la cassa integrazione Covid, all’articolo 22 del decreto “cura-Italia”, prevede come tutela residuale per i lavoratori non coperti dall’art. 19, un sistema integrativo che mira a ricomprendere al suo interno quanti più soggetti possibili indipendentemente dal sistema dimensionale e settoriale.

A parere dello scrivente, non si vede per quale motivo, in un’ottica di economia legislativa, non sia stata disciplinata unitariamente in un unico articolo l’ipotesi di integrazione salariale per tutte le imprese.

3.1. Segue: l’estensione del campo di applicazione ai contratti di lavoro a termine

Di apparente incompatibilità con la natura della CIG, quale intervento predisposto in caso di eventi eccezionali al sostegno del lavoro, è l’estensione della stessa anche alle proroghe ed ai rinnovi dei contratti a termine, estensione fatta in sede di conversione (L. 27/2020) dall’art 19 bis del D.L. 18/2020.

Al riguardo, se pure è vero dire che in tali casi, l’uso della cassa integrazione potrebbe essere utile al fine di non perdere professionalità interessanti in forza all’azienda, è altresì vero che ciò non è la finalità dell’ammortizzatore sociale, in quanto lo stesso è pensato per un sostegno al pieno impiego e tutela del lavoro stabilizzato.

Si noti inoltre quanto segue. Anzitutto, una tale estensione asseconderebbe una situazione precaria (come quella del lavoro a tempo determinato). Ciò costituisce un fatto alquanto singolare, visto che scopo della CIGO e quella di dare sostegno al reddito del lavoratore, per evitare situazioni di precariato, fino al superamento della situazione eccezionale sottostante. In secondo luogo, non si vede perché il datore di lavoro non stabilizzi da subito il lavoratore mediante contratto indeterminato, qualora ritenga che sia una risorsa interessante e non voglia perderne la professionalità.

Quanto sopra sembra confermato dal legislatore del 2015, dove, nel d.lgs. 81, all’art. 20 precisa l’incompatibilità tra interventi di integrazione salariale e contratto a termine.

Infatti l’articolo vieta l’assunzione di lavoratori a tempo determinato presso unità produttive ove siano in corso riduzioni di orario in regime di integrazione salariale e che riguardano dipendenti adibiti a mansioni alle quali si riferisce il contratto a termine.

Tale conclusione viene revocata in dubbio dal D.L. 18/2020 intervenendo in un punto in cui il D.L. 18/2020 taceva) dove, all’articolo 19 bis (aggiunto in sede di conversione, tra l’altro con norma qualificata di interpretazione autentica) prevede l’estensione della tutela anche a nuove assunzioni con contratto a tempo determinato, derogando altresì alla regola dello “stop & Go” di cui all’art. 21 del D.Lgs. 81/2015.

In tale prospettiva, si potrebbe sostenere che l’istituto della Cassa integrazione Covid e dell’assegno ordinario abbiano natura anche assistenziale, oltre che puramente di sostegno al lavoro. Ci si discosterebbe quindi in parte dalla natura originaria degli interventi di integrazione salariale, che, come visto in premessa, hanno natura prevalentemente, se non esclusivamente, di tutela del lavoro.

3.2. Segue: il divieto di licenziamento

Altra norma che rappresenta un punto critico del sistema è la previsione del divieto di licenziamento per Giustificato Motivo Oggettivo durante il periodo pandemico, previsto dall’ art. 46 del D.L. 18/2020 e prorogato dai successivi interventi sopravisti.

C’è da dire, in realtà, che il divieto in esame non sarebbe illegittimo, ed anzi sarebbe coerente con il sistema predisposto, qualora esso sia previsto per i datori di lavoro i cui dipendenti usufruiscano della Cassa Integrazione.

Discorso totalmente diverso sarebbe da fare per i datori di lavoro i cui dipendenti non beneficino del trattamento di integrazione salariale per i più svariati motivi, vuoi perché esauriti i fondi, vuoi perché finito il periodo di copertura salariale.

Tuttavia, il legislatore prevede un divieto generalizzato e sembra svincolare il divieto di licenziamento all’effettiva fruizione dell’integrazione salariale. Tale sistema, a parere di chi scrive, sembra in palese contrasto con L’art. 41 della Costituzione, che tutela l’iniziativa privata.

Ci si chiede, a questo punto, visto il divieto di licenziamento anzidetto, come il datore di lavoro debba comportarsi qualora i dipendenti non siano coperti dalla CIG o dall’assegno ordinario, e lo stesso tuttavia non abbia lavoro da assegnare. Una soluzione giuridica, a parere di chi scrive, potrebbe essere quella di avvalersi del rifiuto della prestazione lavorativa alla stregua delle normali regole giuridiche vigenti per i contratti, in particolare ricorrendo all’istituto dell’impossibilità sopravvenuta (art.1256 c.c.).

Tale soluzione è l’unica a non impingere nel divieto previsto dalla legge, ed anzi, restituisce allo stesso una certa coerenza con i principi Costituzionali.

4. Conclusioni

In conclusione, a seguito della recente emergenza epidemica, l’intervento di integrazione salariale predisposto sembra essere ispirato, oltre che a scopi di sostegno al lavoro, anche da un intento latamente assistenzialistico (vista l’inclusione nel sistema di tutele di contratti, come quelli a termine, esclusi dalla normativa della CIGO “a regime”; e vista anche la previsione, all’art. 22, di un sistema di tutela dall’ampio ambito di applicazione). Il quadro normativo risultante sembra incoerente a livello sistematico, a partire dal “nomen iuris” indicato originariamente dall’art. 19 del D.L. 18/2020 come cassa integrazione ordinaria ed assegno ordinario. A parere dello scrivente, di ordinario non sembra esserci alcunchè, essendo stato più coerente con il sistema inquadrare tali interventi tra quelli in deroga, vista la loro portata delimitata nel tempo ed episodica. Incoerente è anche la remissione ai Fondi di Solidarietà della gestione ed erogazione dell’assegno ordinario, ed infatti, come evidenziato sopra, nella sua applicazione concreta, la norma si è manifestata in tutta la sua inopportunità. Ulteriore incoerenza sistematica è quella di prevedere un articolo autonomo (art. 22. D.L.18/2020) per ricomprendere nell’intervento di sostegno anche categorie escluse dall’articolo 19. Visti i finanziamenti di origine statale, sarebbe stato più coerente prevedere un unico sistema di gestione ed erogazione salariale, svincolato da qualsivoglia interesse associativo. Altra incoerenza è predisposizione di un divieto di licenziamento sganciato da un ancillare copertura salariale, che dovrebbe invece procedere di pari passo. Fortunatamente, le imprecisioni del nuovo legislatore possono essere riportate a coerenza sistematica e Costituzionale con l’ausilio degli ordinari istituti giuridici predisposti dal codice civile (da cui il legislatore odierno dovrebbe, a sommesso avviso dello scrivente, prendere spunto per l’elaborazione di una normativa chiara).

 

 

 


(1) Diritto del lavoro, Riccardo Del Punta, Milano 2018, p.704.
(2) Circolare Min. Lavoro e Politiche Sociale n. 43 del 15 dicembre 2010.
(3) Circolare INPS 9 settembre 2016, n.176.
(4) TAR Lazio, provvedimento cautelare 25-26/05/2020.
(5) TAR Lazio, Sez. III Quater, Decr. 26 maggio 2020, n. 4047.

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