Il risarcimento del danno da demansionamento è in re ipsa e va provato anche per presunzioni

Il risarcimento del danno da demansionamento è in re ipsa e va provato anche per presunzioni

È questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione- Sez. lavoro, nell’ordinanza n. 21/2019. 

Nel caso di specie, un dipendente di Poste Italiane S.p.A., citava quest’ultima innanzi al Tribunale,  chiedendo la condanna al risarcimento del danno biologico e professionale subito per il demansionamento. 

In particolare, il dipendente lamentava un peggioramento delle condizioni lavorative e lo svolgimento di mansioni di fatto non corrispondenti alla qualifica ricoperta. 

Il Tribunale, in primo grado, rigettava con sentenza il ricorso del dipendente,  avverso il quale, poi,  veniva proposto appello. 

La Corte di Appello, in riforma della Sentenza di primo grado, condannava Poste Italiane S.p.A. al pagamento della somma di € 60.000,00 a titolo di risarcimento di danno biologico e alla professionalità patiti dalla dipendente. 

Avverso tale decisione, Poste Italiane S.p.A. proponeva ricorso per cassazione, che veniva però rigettato.

La Suprema Corte, nell’ordinanza n. 21/2019 ha, pertanto, riconosciuto, ancora una volta, che “il danno da demansionamento è in re ipsa, la cui prova può essere data, ai sensi dell’art. 2729 c.c., anche attraverso la allegazione di presunzioni gravi, precise e concordanti, sicché a tal fine possono essere valutati, quali elementi presuntivi, la qualità e la quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la durata del demansionamento, la diversa e nuova collocazione lavorativa assunta dopo la prospettata qualificazione”. 

Ed ancora, la Corte ha osservato il principio secondo cui “ogni pregiudizio, di natura non meramente emotiva o interiore, ma oggettivamente accertabile sul fare areddituale del soggetto,  va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni”


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