Il whistleblowing: l’esame della legge n. 179/2012 e le tutele previste per il così detto “spione”

Il whistleblowing: l’esame della legge n. 179/2012 e le tutele previste per il così detto “spione”

A circa un anno dall’entrata in vigore della legge n. 179 del 2017 sul whistleblowing, diretta a tutelare i dipendenti segnalanti reati o altre irregolarità di cui siano venuti a conoscenza durante lo svolgimento del rapporto lavorativo, si vuole esaminare più da vicino tale disposizione normativa e le forme di tutela previste ed applicate nei confronti del così detto “whistleblower”.

Nonostante a tale termine fosse attribuita e riconosciuta l’accezione negativa di “spione” o “spifferatore” non è difficile modificarne in positivo la connotazione, a seguito di un dettagliato esame della normativa in cui sono previste molteplici forme di tutela nei confronti di colui che agisce, non per un proprio tornaconto personale, ma al fine di tutelare l’azienda privata o il pubblico impiego presso cui eroga la propria attività lavorativa.

Tale disposizione pertanto va ad integrare il sistema delle leggi vigenti in materia di diritto del lavoro, in quanto diretta a rafforzare le forme di tutela previste nei confronti dei lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato, visto che nel panorama normativo antecedente al 2017 era presente un unico articolo, diretto a tutelare il solo dipendente pubblico denunciante gli illeciti conosciuti durante lo svolgimento della propria mansione lavorativa, introdotto dalla legge n. 190/2012, così detta legge anticorruzione, all’interno del D.lgs. n. 165/2001, rubricato Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

Si procede ad esaminare più attentamente la legge n. 179/2017, i tre articoli da cui è composta, il ruolo riconosciuto al whistleblower, le condotte da tenere e le forme di tutela riconosciute.

L’art. 1 modifica e sostituisce l’articolo 54 bis del D.lgs. 165/2001 prevedendo che nessun dipendente segnalante possa essere soggetto a sanzione, demansionamento, licenziamento, trasferimento, o ad ogni altra misura avente effetti negativi sulla sua posizione lavorativa per il solo fatto di aver presentato la denuncia, prevedendo l’inefficacia dell’eventuale licenziamento o la nullità di atti ritorsivi e discriminatori adottati nei suoi confronti e ponendo l’onere della prova a carico del datore di lavoro che dovrà dimostrare l’assenza di collegamento tra la misura adottata e la segnalazione.

Tale disposizione inoltre garantisce la riservatezza dell’identità del segnalante in base all’organo dinnanzi al quale decida di presentare la propria denuncia che può essere la Corte dei Conti, la magistratura ordinaria, il responsabile della prevenzione, corruzione e trasparenza (RPCT), oppure l’Anac (Autorità nazionale anticorruzione).

In particolare se la denuncia è presentata dinnanzi alla Corte dei Conti l’identità del denunciante sarà mantenuta riservata sino al termine della fase istruttoria; in caso di segnalazione alla magistratura ordinaria l’identità del segnalante è coperta da segreto ai sensi e per gli effetti dell’art. 329 c.p.p., ossia se il fatto è configurato dalla legge come reato ed il dipendente provvede a presentare denuncia dinnanzi alla competente Procura della Repubblica, è applicata la disposizione relativa al segreto istruttorio secondo cui l’anonimato è garantito entro e non oltre la chiusura delle indagini preliminari.

L’identità del dipendente, che instaura un procedimento disciplinare dinnanzi al RPCT, sarà tutelata e non rivelata, se la contestazione di addebito disciplinare sia basata su accertamenti ulteriori e distinti rispetto alla segnalazione; qualora, invece, la suddetta contestazione sia fondata sulla segnalazione e la conoscenza dell’identità del segnalante sia elemento indispensabile per la difesa dell’incolpato, detta segnalazione sarà utilizzabile nel procedimento disciplinare solo previo consenso del denunciante a rivelare la propria identità.

Ciò evidenzia come non sia garantita una tutela assoluta ed incondizionata al dipendente segnalante, in quanto la sua denuncia non verrà utilizzata per finalità disciplinari se l’assenza di consenso a rivelare la propria identità, ostacoli l’esercizio del diritto di difesa del soggetto denunciato.

In caso di denuncia presentata dinnanzi all’Anac sono disposte delle specifiche linee guida per le procedure di presentazione e gestione delle segnalazioni nelle quali è prevista l’adozione di protocolli sicuri e standard per il trasporto dei dati, oltre all’uso di strumenti di crittografia per i contenuti delle segnalazioni e dei documenti allegati.

Nello specifico, fino al 7 febbraio 2018 l’Anac metteva a disposizione sul proprio sito web un modulo di segnalazione da compilare ed inoltrare per via telematica; diversamente dall’8 febbraio 2018 l’Autorità nazionale anticorruzione ha disposto, anche sulla rete Tor, un’applicazione che permette di presentare alla stessa delle segnalazioni in forma anonima.

La procedura è abbastanza semplice in quanto il segnalante registrandosi ottiene un apposito codice identificativo univoco, detto key code, mediante il quale potrà effettuare, in totale anonimato, le proprie segnalazioni, dare informazioni, allegare documenti diretti a provare la veridicità di quanto asserito ed ottenere, allo stesso tempo, informazioni sullo stato della denuncia presentata.

Tutto ciò utilizzando dei protocolli di crittografia che manterranno anonima l’identità del segnalante e renderanno i dialoghi ed il rapporto con l’Autorità anticorruzione pienamente riservati.

In caso l’Anac ritenesse fondata la segnalazione potrà accordarsi con il RPCT dell’Amministrazione verso cui è stata presentata la denuncia, oppure provvedere ad inviare la suddetta segnalazione agli organi competenti, come la Corte dei Conti, la Procura della Repubblica, la Funzione Pubblica oppure la Guardia di finanza.

A tutela del dipendente è altresì riconosciuto all’Anac il potere di applicare sanzioni amministrative pecuniarie comprese tra i 5.000,00 euro ed i 30.000,00 euro, se durante l’istruttoria abbia accertato l’emanazione di misure discriminatorie da parte delle amministrazioni pubbliche nei confronti del dipendente segnalante, e tra i 10.000,00 euro ed i 50.000,00 euro, qualora venga accertata la mancanza di procedure dirette ad inoltrare e gestire le segnalazioni, oppure l’adozione di procedimenti non conformi al disposto legislativo, o ancora l’accertamento del mancato svolgimento delle segnalazioni ricevute da parte del responsabile di attività di verifica ed analisi.

Nel formulare la presente normativa il legislatore ha considerato un ampio spettro di fattispecie anche quelle secondo cui il dipendente possa denunciare fatti non veritieri o accusare persone innocenti, per cui ha introdotto la cosiddetta clausola anti-calunnie che prevede la mancata applicazione delle tutele previste dalla legge n. 179/2017 nei confronti del segnalante in caso di sua condanna, anche solo con sentenza di primo grado, per i reati di calunnia e diffamazione, o per altri reati commessi attraverso la segnalazione, oppure in caso di accertamento della sua responsabilità civile per dolo e colpa grave.

Il secondo articolo dell’esaminanda legge, rubricato Tutela del dipendente o collaboratore che segnala illeciti nel settore privato, integra l’art. 6 del d.lgs. 231/2001 ed estende appunto ai lavoratori dipendenti del settore privato la disciplina del whistleblowing, oltre all’applicazione delle medesime forme di tutela previste per i pubblici impiegati e, allo stesso tempo, stabilisce sanzioni sia per chi emetta provvedimenti ritorsivi e discriminatori avverso i propri dipendenti sia per coloro che, con dolo e colpa grave, inoltrino delle segnalazioni infondate.

Altresì viene riconosciuto al dipendente segnalante ed all’organizzazione sindacale il diritto di denunciare all’Ispettorato Nazionale del lavoro l’adozione di misure che violano la tutela dell’impiegato stesso.

Il legislatore infine, nel terzo articolo, disciplina le ipotesi in cui oggetto della segnalazione sia un segreto d’ufficio, aziendale, professionale, scientifico o industriale e prevede che la denuncia, diretta a garantire l’integrità delle amministrazioni pubbliche e private ed a prevenire e reprimere le malversazioni, possa avere per oggetto notizie coperte dalle forme di segreto elencate e disciplinate dagli articoli 326 c.p., 622 c.p., 623 c.p. e 2105 c.c.

E’ esclusa l’applicazione di tale disposizione normativa nei confronti di chi sia titolare dell’obbligo di mantenere il segreto professionale e sia venuto a conoscenza della notizia a causa di un rapporto di assistenza o consulenza professionale con la persona fisica, l’impresa oppure l’ente interessato.

Rappresenta inoltre violazione dell’obbligo di segreto la segnalazione di notizie e documenti, aventi ad oggetto un segreto aziendale, comunicate con modalità ulteriori rispetto allo specifico canale di comunicazione previsto dalla legge.

Si conclude infine richiamando la disciplina del whistleblowing vigente in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove il whistleblower è lontano dallo stereotipo dello spione e dello spifferatore ed è considerato un modello degno di stima e di rispetto al quale, oltre ad essere riconosciuta la tutela della propria posizione lavorativa e la libertà di denunciare gli illeciti rilevati nell’esercizio della propria mansione, vengono attribuiti dei premi per aver tutelato, non solo gli interessi dei più deboli, ma anche quelli del settore, pubblico o privato, in cui opera.


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Giurisprudenza
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