La natura del rapporto di lavoro dei medici iscritti ad una scuola di specializzazione

La natura del rapporto di lavoro dei medici iscritti ad una scuola di specializzazione

Recentemente la Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza n. 19792 del 09/08/2017, ha avuto nuovamente modo di pronunciarsi in merito alla natura del rapporto di lavoro dei medici iscritti ad una scuola di specializzazione.

Il giudizio ha avuto origine dal ricorso proposto da sedici medici, i quali adivano il Tribunale di Verona, in funzione di Giudice del Lavoro, per ivi sentire condannare l’Università degli Studi di Verona al riconoscimento della natura subordinata del loro rapporto di lavoro con conseguente pagamento delle differenze retributive attraverso l’adeguamento della borsa di studio percepita ex artt. 2099 c.c. e 36 Cost..

Sia il Tribunale di Verona, sia la Corte di Appello di Venezia, respingevano le domande dei lavoratori, i quali investivano della questione la Suprema Corte, sostenendo in particolare che le modalità concrete attraverso cui si era realizzato il percorso formativo aveva integrato gli estremi di un rapporto di lavoro subordinato.

Tuttavia, il Supremo Collegio ha ritenuto di non discostarsi dai numerosi precedenti sul tema (cfr. Cass. nn. 20403/2009, 6089/1998 e 9789/1995), rigettando così i motivi di ricorso dei lavoratori.

In sostanza, la Corte ha riaffermato il granitico principio secondo il quale l’attività lavorativa svolta dai medici iscritti ad una scuola di specializzazione non può essere inquadrato nell’alveo di un rapporto di lavoro subordinato o di un lavoro autonomo. Tale rapporto di lavoro possiede, invece, una particolare natura caratterizzata dalla doppia esigenza di svolgere contemporaneamente un’attività lavorativa ed un’ulteriore attività formativa, in cui “…non può essere ravvisata una relazione sinallagmatica di scambio tra la suddetta attività e la remunerazione prevista dalla legge a favore degli specializzandi, in quanto tali emolumenti sono destinati a sopperire alle esigenze materiali per l’impegno a tempo pieno degli interessati nell’attività rivolta alla loro formazione, e non costituiscono, quindi, il corrispettivo delle prestazioni svolte, le quali non sono rivolte ad un vantaggio per l’università, ma alla formazione teorica e pratica degli stessi specializzandi ed al conseguimento, al fine corso, di un titolo abilitante…“.

La Cassazione ha così respinto il ricorso proposto dai medici, compensando le spese di lite.


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