La valenza contrattuale del Documento di Valutazione dei Rischi

La valenza contrattuale del Documento di Valutazione dei Rischi

All’esito della valutazione dei rischi , il datore di lavoro dovrà elaborare il documento disciplinato dall’art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 81/2008.

Secondo la norma, esso dovrà obbligatoriamente contenere: a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa. La scelta dei criteri di redazione del documento è rimessa al datore di lavoro, che vi provvede con criteri di semplicità, brevità e comprensibilità, in modo da garantirne la completezza e l’idoneità quale strumento operativo di pianificazione degli interventi aziendali e di prevenzione; b) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a); c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza; d) l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri; e) l’indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio; f) l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento.

Si è opportunamente rilevato che, con la redazione del documento di valutazione dei rischi, la legge viene calata nella specificità di ogni singola azienda: esso dovrà costituire il risultato meditato e critico dell’attività di valutazione svolta in precedenza[1].

Secondo quanto successivamente precisato dal decreto correttivo n. 106/2009, il documento può essere redatto con modalità scelte autonomamente dal datore di lavoro, senza che egli sia in alcun modo obbligato a seguire standard predefiniti.

Egli dovrà semplicemente conformarsi ai criteri di semplicità, brevità e comprensibilità del documento, in modo tale da garantirne completezza e idoneità alla funzione di prevenzione e pianificazione degli interventi aziendali in materia di sicurezza[2].

L’art. 53 del d.lgs. n. 81/2008 prevede che il documento di valutazione dei rischi possa essere redatto su supporto informatico, mediante l’impiego di sistemi di elaborazione automatica dei dati[3].

Esso deve comunque essere munito di data certa, al fine di scongiurare il rischio di retrodatazione del medesimo.

In proposito, la prima formulazione del d.lgs. n. 81/2008, nel fare laconicamente riferimento alla “data certa”, non aveva per la verità specificato le modalità secondo le quali essa dovesse essere assicurata.

In dottrina si erano, pertanto, sviluppate due distinte teorie: la prima, definita “formalistica”, aveva privilegiato un’interpretazione della norma maggiormente conforme alle disposizione del codice civile, prevedendo che al documento potesse essere attribuita data certa nel caso in cui esso fosse ancorato ad un “fatto oggettivo”, sottratto alla esclusiva disponibilità del soggetto che la invocava, ed adoperando alcune delle modalità utilizzate dalla legge in materia di protezione dei dati personali, seguendo le indicazioni fornite dal Garante.

Tra queste modalità rientrano, ad esempio, l’autopresentazione presso gli uffici postali, l’apposizione di marca temporale sui documenti informatici, l’apposizione di autentica in conformità alla legge notarile, la registrazione del documento presso un ufficio pubblico.

Il secondo approccio esegetico, definito “funzionalista”, riteneva invece che, proprio in considerazione dei caratteri di dinamicità  e adeguatezza della valutazione contenuta nel documento, il medesimo non potesse pedissequamente osservare i principi previsti dal codice civile per l’apposizione della data certa ma che potesse essere sufficiente a garantire la certezza della data la semplice sottoscrizione, insieme al datore di lavoro, di tutti gli altri soggetti che con esso partecipano alla valutazione, secondo principi di effettività e “buon senso”.

A tale ultima interpretazione si è conformato il d.lgs. n. 106/2009 che, all’art. 18, lett. c, prevede oggi espressamente che il documento di valutazione dei rischi “può essere tenuto, nel rispetto delle previsioni di cui all’art. 53 del decreto, su supporto informatico e deve essere munito, anche tramite le procedure applicabili ai supporti informatici di cui all’art. 53, di data certa o attestata dalla sottoscrizione del documento medesimo del datore di lavoro nonché, ai soli fini della prova della data, dalla sottoscrizione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e del medico competente, ove nominato”.

Dalla lettera della citata disposizione, dunque, emerge inequivocabilmente che il legislatore del 2009 ha aderito esplicitamente all’interpretazione funzionalista, ritenendo che il requisito della data certa possa essere soddisfatto in forme più agili rispetto a quelle previste dal codice civile[4].

Una volta redatto con i requisiti di legge, il documento di valutazione non dovrà considerarsi fisso e immutabile ma essere, anzi, oggetto di un costante aggiornamento ed essere sempre pertinente alle condizioni di svolgimento dell’attività lavorativa, al fine di garantire nel tempo il miglioramento dei livelli di sicurezza consentiti dal progresso tecnologico[5].

Ad ogni minimo mutamento dell’organizzazione aziendale che possa avere risvolti sulla salute e sicurezza dei lavoratori, il documento di valutazione dei rischi dovrà essere rivisto e aggiornato tenendo conto delle concrete condizioni di svolgimento dell’attività lavorativa[6].

Esso dovrà, inoltre, essere sempre aggiornato in relazione alle novità che intervengono a modificare il panorama legislativo di riferimento.

Si pensi, ad esempio, alle nuove normative che hanno introdotto forme atipiche e flessibili di rapporto di lavoro o a quelle (soprattutto di provenienza europea) emanate per far fronte ai rischi da rumore, amianto, mobbing o a quello legato al fumo passivo.

Il documento deve avere, in definitiva, carattere dinamico: non potrà mai considerarsi finito dovendo, al contrario, rimanere sempre aperto e aggiornabile[7].

Si tratta, del resto, di una delle molteplici applicazioni del principio della “massima sicurezza tecnologicamente possibile” che ha sempre caratterizzato il modello italiano di prevenzione antinfortunistica e che ha trovato conferma, d’altronde, anche nella legislazione nazionale di derivazione comunitaria.

Secondo quel principio, il datore di lavoro è tenuto ad allineare il proprio assetto produttivo e organizzativo ai livelli su cui si attesta il progresso scientifico e tecnologico.

Ciò non soltanto per quanto riguarda gli accorgimenti di tipo strettamente tecnico ma anche per le misure di carattere organizzativo e procedurale, al fine di mirare a prevenire anche i cosiddetti rischi psicosociali[8].

Col tempo, la dottrina[9] e la giurisprudenza, non senza ampio dibattito, hanno convenuto che il datore di lavoro, in ossequio al menzionato principio, non sia obbligato a ricercare tecnologie ancor più avanzate rispetto a quelle disponibili sul mercato ma debba, comunque, garantire la predisposizione delle misure già esistenti e l’applicazione della migliore tecnologia disponibile in quel dato momento storico (cosiddetto best practicable technology).

Anche la Corte di giustizia europea ha enucleato il rapporto tra obbligo di sicurezza ed acquisizioni scientifiche specificando che “ i rischi professionali che devono essere oggetto di valutazione da parte dei datori  di lavoro non sono stabiliti una volta per tutte ma si evolvono costantemente in funzione, in particolare, del progressivo sviluppo delle condizioni di lavoro e delle ricerche scientifiche in materia di rischi professionali[10].

Il datore di lavoro, come già illustrato, può essere considerato penalmente responsabile, ai sensi delle disposizioni di cui ai commi 1, lettera a e 4 dell’art. 55 del d.lgs. n. 81/2008, in caso di omessa o insufficiente valutazione dei rischi.

Una fattispecie del tutto differente, invece, si configura nel caso in cui il documento di valutazione dei rischi risulti esistente, sufficientemente dettagliato e completo in ogni sua parte ma il datore di lavoro disapplichi o violi le prescrizioni ivi contenute.

Il d.lgs. n. 81/2008 inizialmente non prevedeva per tale fattispecie alcuna sanzione di carattere penale.

La lettera f dell’art. 18, infatti, che prescrive al datore di lavoro di “richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti nonché delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e igiene sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezioni individuali messi a loro disposizione”, incredibilmente non era in alcun modo sanzionata penalmente.

La lacuna è stata, però, opportunamente colmata dal correttivo, anche a fronte della denunzia di parte della dottrina: la violazione di tale disposizione, è, infatti, oggi espressamente punita dall’art. 55, comma 5, lett. c[11].

L’art. 18, lettera d, inoltre, che impone al datore di lavoro di fornire ai propri dipendenti i necessari ed idonei dispositivi di protezione individuali, inizialmente anch’esso privo di sanzioni, è oggi assistito penalmente, in caso di violazione, dall’art. 55, comma 5, lett. d[12].

Ferma restando la valenza del documento di valutazione dei rischi ai fini penalistici e, quindi, la sua idoneità a fondare in capo ai soggetti obbligati doveri penalmente sanzionati, occorre però chiedersi anche se quel documento, proprio perché interviene nell’ambito di un rapporto contrattuale, sia idoneo a fondare anche vere e proprie obbligazioni fra le parti, con conseguente possibilità per il lavoratore, in caso di inadempimento, di attivare i rimedi di natura civilistica (adempimento in forma specifica e/o risarcimento del danno).

L’art. 1460 c.c., come noto, prescrive che nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora una delle parti non adempie alla propria prestazione, l’altra può legittimamente rifiutarsi si adempiere alla propria prestazione.

In virtù di tale disposizione la giurisprudenza ha fatto discendere la valenza contrattuale del documento di valutazione dei rischi sostenendo che, se il datore di lavoro non adotta, a norma dell’art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psicofisica del prestatore di lavoro, rendendosi così inadempiente ad un obbligo contrattuale, il lavoratore, oltre al risarcimento dei danni, ha diritto di astenersi dalle specifiche prestazioni la cui esecuzione possa arrecare pregiudizio alla sua salute o dovrebbe comunque svolgersi in condizioni rischiose[13].

Questa giurisprudenza ha ritenuto, infatti, che non sia ravvisabile l’ipotesi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo quando l’inadempimento (totale o parziale) del lavoratore trovi giustificazione nella mancata adozione da parte del datore di lavoro delle misure di sicurezza che questi, pur in mancanza di norme specifiche, è tenuto ad attuare a tutela dell’integrità psicofisica del prestatore e se quest’ultimo, prima del rifiuto e secondo gli obblighi di correttezza, informi il datore circa la situazione di rischio[14].

Il datore di lavoro che non adempia alle prescrizioni contenute nel documento di valutazione si rende, quindi, contrattualmente inadempiente ed il lavoratore potrà legittimamente pretenderne l’adempimento o, in alternativa, rifiutarsi di svolgere la propria prestazione lavorativa.

L’obbligo del datore di lavoro di tutelare l’integrità psicofisica del prestatore è, dunque, un obbligo di natura prettamente contrattuale.

Questa valenza si estende a tute le prescrizioni contenute all’interno del documento di valutazione dei rischi e ciò, come confermato dalla citata giurisprudenza, legittima persino il lavoratore a rifiutarsi di espletare la propria prestazione lavorativa in caso di sua mancata attuazione.

Il contenuto del documenti di valutazione dei rischi finisce con l’aver ricadute dirette nel rapporto contrattuale tra datore di lavoro e lavoratore, sino al punto da integrarne il contenuto: le prescrizioni ivi indicate costituiscono parte integrante del contratto individuale di lavoro e la loro applicazione può essere pretesa direttamente dai lavoratori.

Costituisce, del resto, principio consolidato del nostro ordinamento, espressamente codificato nell’art. 1374 c.c., quello secondo cui “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”.

Le norme di legge in tema di sicurezza, quindi, integrano il contratto individuale di lavoro arricchendone le clausole anche nel silenzio del testo contrattuale e possono essere invocate anche direttamente dai singoli lavoratori[15].

Il datore di lavoro che non ottemperi alle medesime, quindi, avrà una diretta responsabilità di natura contrattuale nei confronti dei propri dipendenti che si aggiunge all’eventuale ed autonoma responsabilità di carattere penale prevista dal d.lgs. n. 81/2008.


[1] Cfr. D. Ceglie, La valutazione dei rischi, cit., pp. 202-203.

[2] I. Destito, S. Ferrua, Il documento sulla valutazione dei rischi, cit., p. 554.

[3] Art. 53 del D.lgs. n. 81/2008: Tenuta della documentazione: 1. E’ consentito l’impiego di sistemi di elaborazione automatica dei dati per la memorizzazione di qualunque tipo di documentazione prevista dal presente decreto legislativo. 2. Le modalità di memorizzazione dei dati e di accesso al sistema di gestione della predetta documentazione devono essere tali da assicurare che: a) l’accesso alle funzioni del sistema sia consentito solo ai soggetti a ciò espressamente abilitati dal datore di lavoro; b) la validazione delle informazioni inserite sia consentito solo alle persone responsabili, in funzione della natura dei dati; c) le operazioni di validazione dei dati di cui alla lettera b) siano univocamente riconducibili alle persone responsabili che le hanno effettuate mediante la memorizzazione di codice identificativo autogenerato dagli stessi; d) le eventuali informazioni di modifica, ivi comprese quelle inerenti alle generalità e ai dati occupazionali del lavoratore, siano solo aggiuntive a quelle già memorizzate; e) sia possibile riprodurre su supporti a stampa, sulla base dei singoli documenti, ove previsti dal presente decreto legislativo, le informazioni contenute nei supporti di memoria; f) le informazioni siano conservate almeno su due distinti supporti informatici di memoria e siano implementati programmi di protezione e di controllo del sistema da codici virali; g) sia redatta, a cura dell’esercente del sistema, una procedura in cui siano dettagliatamente descritte le operazioni necessarie per la gestione del sistema medesimo. Nella procedura non devono essere riportati i codici di accesso. 3. Nel caso in cui le attività del datore di lavoro siano articolate su vari sedi geografiche o organizzate in distinti settori funzionali, l’accesso ai dati può avvenire mediante reti di comunicazione elettronica, attraverso la trasmissione della password in modalità criptata e fermo restando quanto previsto al comma 2 relativamente alla immissione e validazione dei dati da parte delle persone responsabili. 4. La documentazione, sia su supporto cartaceo che informatico, deve essere custodita nel rispetto del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di protezione dei dati personali. 5. Tutta la documentazione rilevante in materia di igiene, salute e sicurezza sul lavoro e tutela delle condizioni di lavoro può essere tenuta su unico supporto cartaceo o informatico. Ferme restando le disposizioni relative alla valutazione dei rischi, le modalità per l’eventuale eliminazione o per la tenuta semplificata della documentazione di cui al periodo che precede sono definite con successivo decreto, adottato, previa consultazione delle parti sociali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. 6. Fino ai sei mesi successivi all’adozione del decreto interministeriale di cui all’articolo 8 comma 4, del presente decreto restano in vigore le disposizioni relative al registro infortuni ed ai registri degli esposti ad agenti cancerogeni e biologici.

[4] Cfr. A Giuliani, La “data certa” del documento di valutazione dei rischi, in M. Tiraboschi, L. Fantini (a cura di), cit., p.561.

[5] Cass. pen., sez. III, 21 giugno 2011, n. 24820, in Il Foro Italiano, 2011,10, II, p. 516.

[6] G. Porreca, Sull’obbligo di aggiornamento del documento di valutazione dei rischi, in www.puntosicuro.it, anno 2014, n. 2783, 30 gennaio 2012.

[7] Cfr. D. Ceglie, La valutazione dei rischi, cit., p. 206.

[8] M. Lai, Diritto della salute e della sicurezza sul lavoro, cit., p. 17.

[9] R. Guariniello, Obblighi e responsabilità delle imprese nella giurisprudenza penale, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, 2001, pp. 532-533.

[10] Corte di giustizia europea nella causa C-49/00 con la nota sentenza del 15 novembre 2001, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2008, II, p. 3 con nota di O. Bonardi.

[11] Art. 55, comma 5, lett. c del D.lgs. n. 81/2008: Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.200 a 5.200 euro per la violazione dell’articolo 18, comma 1, lettere c, e, f e q, articolo 36, commi 1 e 2, articolo 37 commi 1, 7, 9 e 10, articolo 43, comma 1, lettere d ed e-bis, articolo 46, comma 2.

[12] Art. 55, comma 5, lett. d del D.lgs. n. 81/2008: Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.500 a 6.000 euro per la violazione degli articoli 18, comma 1, lettere a, d, e z prima parte, e articolo 26, commi 2 e 3, primo periodo. Medesima pena si applica al soggetta che violi l’articolo 26, commi 3, quarto periodo, o 3-ter.

[13] Cass. civ., sez. lav., 4 ottobre 2012, n. 18921, in Il Foro Italiano, 2012, 12, I, p. 3285.

[14] Cass. civ., sez. lav., 18 maggio 2006, n. 11664, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2006, 4, II, p. 882; Cass. civ., sez. lav., 7 novembre 2005, n. 21479, in Diritto del lavoro, 2006, 3, II, p. 165.

[15] A. Stolfa, La valutazione dei rischi, cit., p. 15.


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