L’apposizione della canna fumaria sul muro condominiale e gli eventuali limiti

L’apposizione della canna fumaria sul muro condominiale e gli eventuali limiti

Tribunale di Roma 5214/2022

Mai come in questo momento storico si è iniziato a fare attenzione, in modo più insistente, a quella che è la sostenibilità ambientale ed a quelli che sono i meccanismi di risparmio energetico preferibili soprattutto con riguardo alla vita domestica. Questo ha fatto si che, tra gli altri aspetti, si sia registrato un aumento di installazioni di canne fumarie che si vanno a sommare a quelle per uso commerciale che, spesso, vediamo sulle facciate degli stabili.

Il rovescio della medaglia di questa situazione è leggibile nell’incremento di controversie condominiali relative, appunto, alla libera possibilità di istallazione di dette canne fumarie.

Come è evidente, il presupposto base per la legittima istallazione delle canne fumarie risiede nel rispetto di determinati criteri e limiti che sono stati correttamente tipizzati, tra gli altri, dal Tribunale di Oristano con una sentenza del settembre del 2021, nella quale viene precisato che il primo criterio che deve essere seguito nell’istallazione di una canna fumaria è la distanza. Lo scarico dell’impianto che sia in uso esclusivamente di un singolo condomino deve essere collocato a una altezza dal tetto dell’edificio tale da rispettare le distanze legali dalle proprietà confinanti per evitare di mettere a rischio la salute dei vicini che si troverebbero, altrimenti, a poter considerare le immissioni intollerabili.

Sostanzialmente niente di nuovo in materia di immissioni, ma una significativa precisazione che letta sotto altro profilo porge il fianco alle considerazioni che svolgeremo di qui a poco. Se, quindi, il limite all’istallazione delle canne fumarie risiede nel rispetto delle distanze, oltre che ovviamente alla posa in opera con materiale e con modalità previste dalla legge, è evidente che non vi siano altri limiti esplicitamente previsti dalla legge.

La limitazione, pertanto, può avere una limitazione di tipo convenzionale.

Il codice civile esprime in modo molto chiaro quale sia, per il singolo condomino, la possibilità di utilizzare le parti comuni dell’edificio e quali siano i limiti ad esso correlati.

A questo riguardo, dunque, è importante fare riferimento a quanto ci dice l’articolo 1102 del codice civile: Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune,  purché  non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti  di farne parimenti  uso  secondo  il  loro  diritto.  A  tal  fine  può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il  miglior godimento della cosa.   Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

Dalla lettura della norma, dunque, sembrerebbe facile argomentare come l’apposizione della canna fumaria integri perfettamente, laddove rispetti tutti i dettami in materia, il diritto di utilizzo delle cose comuni e pare integri perfettamente il disposto di cui all’articolo 1102 c.c..

Come è intuibile, però, il richiamo a questo disposto normativo non ha salvato i Tribunali dell’essere chiamati a pronunciarsi in materia, in presenza di conflitti insorti in seno al condominio.

Ad esempio possiamo citare una sentenza del Tribunale di Roma del luglio 2020, la n.10079, nella quale viene precisato che non è necessaria la preventiva approvazione dell’assemblea condominiale per l’apposizione della canna fumaria da parte del singolo condomino, proprio in ossequio al citato articolo 1102 c.c..

In particolare in questa sentenza viene specificato anche che non è ammissibile che l’apposizione della canna fumaria sia soggetta alla preventiva approvazione dell’assemblea, in particolar modo sulla base della semplice presunzione che la specifica apposizione possa arrecare danno al decoro architettonico dello stabile e della semplice presunzione che la canna fumaria, ancora non istallata e della quale nessuno aveva nemmeno visionato le caratteristiche anche su un semplice progetto, avrebbe prodotto immissioni dannose per i condomini e per i condomini vicini.

Il Tribunale di Roma, inoltre, afferma anche che detta limitazione rappresentava una compressione del diritto ad un uso più intenso della proprietà comune da parte del condomino, così come previsto del citato articolo 1102 c.c.

Quanto appena asserito, dunque, porterebbe a ritenere che, al di là delle ipotesi in cui l’istallazione della canna fumaria comporti in concreto danno al decoro architettonico o comporti in concreto un superamento della soglia delle immissioni, l’istallazione della stessa non possa essere preclusa e quindi possa eventualmente solo essere oggetto di successiva impugnazione ed eventuale rimozione, in presenza, appunto, delle succitate ipotesi verificatesi in concreto.

Come, però, abbiamo detto poc’anzi esiste un limite che è ravvisabile in una diversa pattuizione negoziale che può rinvenirsi nel regolamento condominiale. Questo avviene, infatti, nelle ipotesi in cui, infatti, detto regolamento richieda in modo specifico l’approvazione preventiva dell’assemblea anche per interventi che il privato condomino potrebbe altrimenti porre in essere liberamente .

A questo riguardo possiamo citare una recentissima sentenza del Tribunale di Roma, del 5 aprile 2022, la numero 5214 che sul punto argomenta come sarebbe correttamente oggetto di analisi dell’assemblea la richiesta del condomino di installare una canna fumaria laddove il regolamento preveda una specifica approvazione per permettere alla stessa di attraversare le parti comuni dell’edificio (nello specifico l’articolo 8 del regolamento condominiale).

Nel caso di specie, però, l’assemblea aveva respinto la richiesta del condomino, trincerandosi dietro la lettura del citato articolo 8, ma in modo illegittimo poiché non era né stato vagliato in concreto il progetto di istallazione, poiché la richiesta era stata inoltrata solo in via “esplorativa” e non  corredata appunto da uno specifico progetto, né era stato nominato, in ossequio sempre a quanto disposto dal regolamento di condominio, un tecnico in grado di valutare l’eventuale dannosità della richiesta installazione.

Il limite, in conclusione, anche nelle ipotesi che limitino l’utilizzo più intenso da parte dei condomini delle parti comuni all’autorizzazione risiede nella prova concreta del pregiudizio che questo utilizzo arrechi al condominio o, nell’ipotesi di immissioni, anche ai fabbricati vicini.


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