Licenziamento per giustificato motivo oggettivo tra dovere e facoltà di reintegro

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo tra dovere e facoltà di reintegro

Sommario: 1. Introduzione – 2. Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – 3. La tutela del lavoratore e il sindacato del giudice – 4. La Corte Costituzionale tra dovere e facoltà di reintegra alla luce delle ultime decisioni

 

1. Introduzione

Il licenziamento è l’atto che determina lo scioglimento del vincolo contrattuale; dal rapporto lavorativo possono recedere, sia la parte datoriale che il lavoratore. Nel contratto di lavoro occorre distinguere il recesso del lavoratore (dimissioni) dal recesso del datore di lavoro/imprenditore (in questo caso si parla di licenziamento). In relazione agli interessi tutelati, il recesso assume connotati differenti: il recesso da parte del lavoratore è espressione della libertà morale; il recesso da parte del datore di lavoro è espressione di un interesse economico patrimoniale e della libertà di iniziativa economica riconosciuta e tutelata dalla Costituzione ex art. 41 Cost. La Costituzione italiana, ha posto particolare attenzione alla protezione del lavoratore, visto come soggetto debole rispetto al datore, imponendo implicitamente la necessità dell’adozione di limiti formali e sostanziali al licenziamento, il datore di lavoro è gravato di un generale obbligo di giustificazione del recesso (giustificato motivo oggettivo ovvero giustificato motivo soggettivo) a garanzia dei diritti. Sul quadro normativo sono per altro di recente intervenute la Legge 28 giugno 2012, n. 92, recante “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, che ha previsto una rimodulazione della flessibilità in uscita, adeguando la disciplina del licenziamento individuale per alcuni specifici motivi oggettivi alle esigenze dettate dal mutato contesto di riferimento, ed il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni”.

2. Licenziamento per giustificato motivo oggettivo

L’istituto del giustificato motivo rinviene la sua fonte nell’art. 1, l. 15 luglio 1966, n. 604, a mente della quale “nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercedente con datori di lavoro privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’articolo 2119 del Codice Civile o per giustificato motivo”. L’art. 3, l. cit., rappresenta a ben vedere una specificazione della norma ora richiamata, ove disciplina il giustificato soggettivo nella prima parte della disposizione ed il giustificato motivo oggettivo nella sua seconda parte. Il giustificato motivo oggettivo è da individuarsi nelle “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Si tratta, dunque, di una clausola generale che, se per un verso permette all’ordinamento di adeguarsi all’evoluzione della realtà sociale, per altro verso rimette all’interprete il compito di colmare la formula legislativa. L’intento della giurisprudenza è stato quello di inquadrare l’art. 3, l. n. 604/1966, nel novero delle clausole generali, definendo in modo preciso i limiti entro i quali può essere esercitato il potere di recesso, Secondo la giurisprudenza, affinché il licenziamento sia giustificato da ragioni oggettive, non è sufficiente una qualsiasi ragione inerente all’organizzazione e al normale svolgimento dei lavori, ma è necessario il concorso di ragioni di apprezzabile rilevanza per l’interesse dell’azienda altrimenti, resterebbe praticamente inefficace la tutela che la legge ha inteso fornire. Per tale motivo, il licenziamento c.d. economico deve essere sorretto non da una qualsiasi ragione inerente all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, come prescrive la legge, ma per la sussistenza del giustificato motivo oggettivo si deve accertare l’esistenza di circostanze di apprezzabile rilievo per l’interesse dell’azienda. Per altro, il datore di lavoro che intenda procedere ad un licenziamento per ragioni oggettive deve dimostrare al giudice che il licenziamento sia collegato alle obiettive necessità dell’azienda, non necessariamente eccezionali, imprevedibili e permanenti, ma è sufficiente che attengano anche solo alle ordinarie variazioni del normale ciclo dell’impresa; in ogni caso, il datore di lavoro deve provare che il lavoratore licenziato non poteva essere utilizzato utilmente in altra mansione o in altro settore aziendale. Secondo la giurisprudenza prevalente, il giustificato motivo oggettivo ricorre se il datore di lavoro interviene sulla propria organizzazione, modificandola; se la modifica è diretta ad un fine genuinamente economico tecnico-organizzativo. In definitiva, può dirsi che la giurisprudenza considera integrato il giustificato motivo oggettivo di licenziamento tutte le volte in cui il datore di lavoro modifichi la sua organizzazione materiale o personale o si limiti ad incidere solo sull’organizzazione personale in senso qualitativo (attraverso la redistribuzione di fasi o processi tra i componenti interni od esterni alla sua azienda).

3. La tutela del lavoratore e il sindacato del giudice

Con l’entrata in vigore della legge n. 604/1966, per la prima volta, si affermò il principio della necessaria giustificazione del licenziamento. L’art. 8 della legge ora menzionata, faceva seguire all’accertamento dell’insussistenza della giusta causa o del giustificato motivo la condanna del datore di lavoro a riassumere il lavoratore entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versando una indennità da un minimo di cinque a un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione. Con lo Statuto dei lavoratori del 20 maggio 1970, il legislatore introdusse un regime di tutela “forte” o “reale” del posto di lavoro, infatti, dell’art. 18, all’accertamento della insussistenza della giusta causa o del giustificato motivo, ovvero alla dichiarazione dell’inefficacia del licenziamento perché intimato in forma orale, conseguiva la condanna del datore di lavoro alla reintegra del lavoratore. Nel 2012, il legislatore è intervenuto nuovamente sull’assetto delineato dall’art. 18 St. lav., in particolare si era sostenuto che l’eccessiva rigidità del mercato del lavoro italiano relativo alla materia della tutela del lavoratore, avrebbe scoraggiato gli investimenti esteri nel nostro paese. Queste in breve le ragioni per cui si è ritenuto opportuno perseguire una maggiore flessibilità, di cui è espressione la legge c.d. Fornero, adeguando la disciplina del licenziamento alle esigenze del mutato contesto di riferimento. Tale adeguamento si è tradotto in una revisione del regime sanzionatorio di cui all’art. 18 St. lav., nell’ambito del quale la reintegra non rappresenta più un rimedio dalla generale applicazione, ma solo una delle possibili forme di tutela in concorso con quella di natura economica. L’obbligo di reintegra da parte del datore di lavoro, a seguito della modifica normativa, continua a sussistere solo in alcune ipotesi: in caso di licenziamenti nulli in quanto discriminatori ai sensi dell’art. 3, l. n. 108/1990, licenziamenti intimati in concomitanza al matrimonio ai sensi dell’art. 35 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, licenziamenti in violazione dei divieti di licenziamento di cui al Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, licenziamenti riconducibili agli altri casi di nullità previsti dalla legge o determinati da un motivo illecito ai sensi dell’art. 1345 c.c. nonché ai licenziamenti dichiarati inefficaci perché intimati in forma orale. Inoltre con la formazione dall’art. 3, co. 1, d.gs. n. 23/2015 l’unica forma di tutela per il lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo diviene quella economica. In virtù di tale regime, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità. Inoltre, La Riforma Fornero così come  modificato l’art 18 dello statuto dei lavoratori prevede che nei casi in cui è comprovata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del recesso per giustificato motivo oggettivo, la scelta di reintegra è lasciata discrezionalmente al giudice. In definitiva la c.d. legge “Fornero”, n. 92/2012. prevede regimi di tutela “piena” solo quando ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa nei casi di comprovata insussistenza del fatto contestato.

4. La Corte Costituzionale tra dovere e facoltà di reintegra alla luce delle ultime decisioni

In particolare, il giudice di Ravenna ha sollevato la questione di legittimità ai sensi dell’ art. 3 Cost., precisando la discrepanza che prevede l’art. 18 dello Statuto dei Lav., tra il regime di tutela offerta dall’ordinamento in caso di accertata illegittimità del licenziamento per giusta causa, cui si applica necessariamente la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno nel massimo di 12 mensilità, e accertata illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo che, come detto, incontra la discrezionalità del giudicante. Tale difformità, a parere del Giudice di Ravenna, comporterebbe un trattamento irragionevolmente discriminatorio e ingiustificatamente differenziato (a livello di tutele) di situazioni identiche con conseguente violazione del co.1 dell’art. 3 Cost. che impone, al contrario, la parità di trattamento di situazioni eguali. La Consulta, investita della questione, con il Comunicato del 24 Febbraio 2021 ha ritenuto fondata la questione di costituzionalità, sancendo dunque l’obbligatorietà del reintegro in tutti i casi in cui venga accertata l’insussistenza del fatto oggettivo, eliminando la facoltà di decisione del Giudice sulla sanzione conseguente al licenziamento economico illegittimo, precisando inoltre l’irragionevolezza della diversità del trattamento con la sentenza n.59 del 1 Aprile 2021.


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