L’inefficienza “emotiva” del sistema giudiziario italiano

L’inefficienza “emotiva” del sistema giudiziario italiano

Sommario: 1. Le criticità – 2. La tutela del benessere psicologico del giudice: Paesi a confronto – 3. Conclusioni

 

Abstract

Nell’ultimo periodo si assiste ad un interesse, sempre più crescente, nei confronti del buon funzionamento del sistema giudiziario italiano.

Il buon funzionamento del sistema giudiziario dipende, tra le altre cose, dal modo in cui il magistrato svolge le sue funzioni.

In particolare, al centro del compito del magistrato, e degli uffici a lui serventi, vi è la protezione di diritti costituzionalmente tutelati, quali il diritto di proprietà, il diritto alla salute, il diritto alla libertà personale, e molti altri ancora.

La tutela di questi diritti deve essere garantita, oltre ad essere sottoposta a meccanismi di valutazione economica, stante il fatto che ogni processo ha un costo economico, gravante su chi chiede tutela.

A ciò si aggiunga, il prezzo temporale: a titolo esemplificativo, in Italia la media temporale per avere un verdetto, dinanzi all’autorità giudiziaria civile, è di circa 6 anni (3 anni per i procedimenti in primo grado, 2 anni per i procedimenti in Appello, 1 anno per i procedimenti in Cassazione).

Non è difficile comprendere che tali tempistiche spesso non permettono una tutela satisfattiva degli interessi in gioco.

1. Le criticità

Se da un lato i sistemi di tutela giurisdizionale mutano nel tempo, dall’altro lato vi sono delle regole che dovrebbero essere il minimo comune denominatore di qualunque modifica del sistema, a tutela della sua efficienza.

Tra esse sono centrali: le risorse finanziarie disponibili devono essere adeguate e proporzionate; il giudizio del giudice deve essere terzo ed imparziale; le sentenze devono costituire una fonte di certezza in relazione ad una questione.

Tali regole incontrano, però, delle criticità all’interno dell’ordinamento italiano, tra le quali: il sistema legislativo italiano oggi è complesso, difficile da interpretare, e talvolta in contraddizione; le risorse umane sono scarse; non vi è la giusta attenzione nei confronti degli obiettivi collettivi rilevanti.

Le regole e le criticità sopra citate, interferiscono con il percorso cognitivo che intraprende il giudice nel momento in cui deve giudicare una situazione; il percorso, infatti, diviene spesso tortuoso, ed incontra anche ostacoli come l’incertezza (in termini di definizione dell’oggetto del giudizio), l’approssimazione normativa, oltre le emozioni che si provano nella vita privata e lavorativa.

Il nostro ordinamento giuridico impone dei limiti alle operazioni di valutazione del giudice, la cui ratio trova fondamento nel principio del “giusto processo”, confermato a livello Costituzionale dall’articolo 111.

A tutela del principio del “giusto processo” vi è l’obbligo di motivazione della sentenza, che deve essere il risultato di un percorso logico giuridico, alla luce delle risultanze istruttorie; tale obbligo, secondo alcuni, sarebbe fonte di un diritto del cittadino, il quale ha il diritto ad un provvedimento motivato.

L’articolo 7 comma 1 della legge n. 165/2001 (Testo Unico sul Pubblico Impiego), così statuisce: le pubbliche amministrazioni garantiscono altresì un ambiente di lavoro improntato al benessere organizzativo.

Quale è il grado di benessere organizzativo presente oggi negli uffici giudiziari?

Alla luce delle premesse cui sopra, non può darsi una risposta certa poiché lo Stato italiano non ha posto l’attenzione al problema con spirito critico; ha, piuttosto, previsto che il cittadino sia titolare di infiniti diritti, tutti enunciati in testi autorevoli, quali la Costituzione, o la Carte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Il diritto ad un provvedimento motivato, il diritto all’imparzialità del giudice, il diritto al buon funzionamento dell’intero sistema, non possono essere garantiti in modo costante se non si pone l’attenzione sul benessere psicologico di chi giudica.

2. La tutela del benessere psicologico del giudice: Paesi a confronto

Il giudice, benché a volte possa sembrare un’entità superiore, è un essere umano, e come tale è fisiologicamente emotivo e razionale; le sue emozioni, quindi, ben possono interferire con il giudicato.

Dato che le emozioni avranno un’influenza, il problema è quanto esse influiscono sul risultato finale.

Sappiamo che il giudizio non deve essere frutto di intuizioni, o pregiudizi, o emozioni; ma data tale certezza, cosa è giusto fare per rendere questi principi reali?

Il benessere psicologico, inteso come uno status mentale privo di conflitti interni, serve a migliorare la qualità della vita ed a prevenire eventuali problematiche relazionali con sé stessi e con gli altri.

Il giudice ha, tra gli altri, il potere/dovere di disporre che un soggetto all’interno di un processo, civile o penale, sia sottoposto ad una perizia psichiatrica; essa consiste in un esame da parte di un professionista iscritto ad un albo.

Nel processo penale, se la persona sottoposta alla perizia risulta essere incapace di intendere e di volere, non può essere imputabile e quindi non può essere condannata; nel processo civile, se la persona è incapace di intendere e di volere non potrà essere responsabile per l’illecito civile commesso, a meno che l’incapacità sia imputabile ad una sua colpa.

Se il giudice può disporre la perizia psichiatrica, quale strumento di cognizione delle capacità volitive del soggetto in relazione alla commissione o omissione di un fatto, come può non essere soggetto lui stesso ad una analisi psicologica, il cui fine è il benessere del sistema giudiziario?

A favore della tesi secondo cui in Italia appare necessario un test psico – attitudinale del magistrato, vi è un dato purtroppo scoraggiante, e cioè: in Italia, dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza, sebbene nulla impedisca di cambiare idea circa la carriera futura da intraprendere, bisogna decidere se iniziare un percorso di studi e tirocini inerenti alla magistratura, o l’avvocatura, o il notariato.

Superato il concorso in magistratura, in Italia, segue un tirocinio; gli avvocati, invece, al termine dell’esame conseguono una abilitazione.

Le due modalità di accesso restano quindi diverse oltre che inconciliabili.

La decisione presa in riferimento alla carriera che si desidera intraprendere è soggetta a molteplici cambiamenti in corso d’opera, e questo metodo di reclutamento italiano, il quale ha delle inefficienze temporali non indifferenti, porta a esasperare chi ha deciso un percorso piuttosto che un altro.

Appare utile quindi, anche al fine di rendere possibile un ripensamento, approcciarsi alle carriere sopra menzionate con dei metodi che rispettino l’autorevolezza delle competenze e delle posizioni lavorative, ma che al contempo siano flessibili.

Prendiamo come esempio, e come possibile riferimento per una eventuale riforma, il sistema tedesco.

In Germania il reclutamento dei magistrati e degli avvocati è contestuale, e non è effettuato dal governo centrale, ma dai singoli Lander.

Dopo aver conseguito la laurea, si partecipa ad un esame di Stato per le professioni giuridiche, il quale avviene con cadenza semestrale; chi supera questo primo esame inizia un percorso di tirocinio della durata superiore a due anni.

Questo tirocinio ha la peculiarità di essere svolto presso gli uffici giudiziari, una Pubblica Amministrazione, ed uno studio legale. Durante il periodo di formazione pratica, il tirocinante riceve una remunerazione congrua ai compiti svolti.

Al momento della fine del tirocinio si sostiene un altro esame, dopo il quale si sceglie quale professione legale intraprendere.

Durante la carriera, i magistrati, sono sottoposti a valutazioni psicologiche con cadenza periodica, le quali costituiscono il presupposto per la progressione di carriera.

Appare scontato che la possibilità di non escludere, a priori, un percorso dopo aver conseguito la laurea rende molto più sereni i soggetti che si approcciano a questi percorsi.

Inoltre da un lato avere una preparazione che riguarda più ambiti della amministrazione pubblica e giudiziaria, permette di essere messi nelle condizioni di valutare un determinato fatto da più punti di vista, oltre che di riuscire ad amministrare in modo appropriato eventuali problematiche; dall’altro la sottoposizione a valutazioni psicologiche permette di non arrivare a fasi di sovraccarico mentale tali da rendere inopportuno l’operato svolto o da svolgere.

Altro esempio di alta sensibilità sociale è costituito dal sistema francese.

In Francia l’aspirante magistrato svolge, oltre a prove teoriche, anche una prova pratica alla quale partecipa uno psicologo che analizza la reazione emotiva del candidato, concentrando la sua attenzione sulla capacità e sui modi di rispondere a situazioni di stress.

Anche in Francia vi sono delle verifiche psico-attitudinali periodiche, infatti la Scuola Superiore della Magistratura organizza delle simulazioni durante l’anno solare, al fine di controllare la salute psicologica dei magistrati.

3. Conclusioni

Dovrebbe quindi apparire chiaro che un approccio diverso alla carriera di magistrato renderebbe egli stesso più consapevole; la sottoposizione a dei test psicoattitudinali prima e durante la carriera, permetterebbe a chi giudica di avere una consapevolezza costante ed un grado di lucidità idoneo ai compiti da svolgere.

Inoltre durante lo svolgimento, negli anni, della carriera può capitare di trovarsi in un periodo tale per cui si perde la concentrazione che dovrebbe aversi, e non sottovalutare tale rischio permetterebbe al sistema italiano di essere realmente incline alla valorizzazione dei diritti di tutti.

Ci sono dei settori organizzativi che, seppur collegati a fattori economici (come le risorse disponibili), non possono dipendere totalmente da dati numerici.

Il benessere organizzativo deve essere inteso come il modo in cui i soggetti vivono tra essi in un ambiente lavorativo, il quale deve permettere di far sentire il soggetto parte di un progetto finale, che nel caso dei giudici si riferisce al buon andamento della giustizia.


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