Principi di negoziazione strategica, come assistere in modo efficace le parti in mediazione

Principi di negoziazione strategica, come assistere in modo efficace le parti in mediazione

Impariamo a negoziare: come assistere in modo efficace le parti in mediazione

Una buona mediazione ed una sana negoziazione necessitano sempre di una preparazione adeguata e di una accurata conoscenza della controversia e di ciò che vi sta intorno.

Questo principio vale senz’altro anche per la redazione di un atto giudiziario, per la stesura di un parere legale o per la preparazione di una discussione orale in sede di udienza.

Parliamo con il nostro cliente, studiamo in modo minuzioso la normativa applicabile; ci districhiamo tra complesse ricerche giurisprudenziali; esaminiamo le opinioni dottrinarie più autorevoli; studiamo casi analoghi, con l’obiettivo di predisporre una difesa funzionale allo scopo ed efficace in termini di risultati attesi, avente un obiettivo specifico: convincere un soggetto terzo, chiamato a pronunciarsi sulla vicenda, della bontà delle nostre argomentazioni.

Saremo guidati da una logica di tipo aggiudicativo (win / lose) in cui gli attori processuali hanno un unico obiettivo: vincere, sconfiggendo la controparte; affermare la propria posizione e le proprie ragioni, a discapito di quelle della controparte, del nostro “avversario”.

Alla fine del percorso, ci troveremo tra le mani una decisione resa da un soggetto terzo e imparziale che avrà adeguatamente valutato le ragioni fattuali e giuridiche ed esprimerà un giudizio sulle posizioni assunte dalle parti e sulle richieste formulate durante il processo.

Una decisione basata su una valutazione delle posizioni e delle richieste formulate dalle parti nel corso del procedimento.

Nessuna valutazione degli interessi reali, manifesti o latenti, ma una pronuncia sulle posizioni e sulle richieste emerse dalle ricostruzioni delle parti.

Una decisione terza: un vincitore e un vinto.

Nessun accordo, nessuna opzione reciprocamente vantaggiosa.

In ragione di tutto ciò, calibriamo la nostra preparazione e la nostra strategia.

A questo punto, mi chiedo e vi chiedo: esiste una differenza, in termini di approccio allo studio e alla preparazione, tra la partecipazione ad una sessione di mediazione / negoziazione e la stesura di un atto giudiziario o alla preparazione di una discussione orale in udienza?

Dobbiamo seguire le medesime logiche e lo stesso approccio per massimizzare i nostri risultati e soddisfare le aspettative dei nostri clienti o dobbiamo muoverci lungo un sentiero diverso?

Dobbiamo focalizzare, anche in questo caso, la nostra attenzione sull’inquadramento normativo, l’evoluzione giurisprudenziale, gli orientamenti dottrinari o occorre fare qualcosa in più, o meglio, qualcosa di “diverso”?

Interroghiamoci per un attimo su ciò che facciamo e proviamo ad osservarci da una prospettiva diversa e proviamo a valutare – con spirito critico – il nostro comportamento.

Quali sono le attività che poniamo in essere per prepararci in modo efficace ad una procedura di mediazione e in che cosa le stesse divergono da quelle ordinarie che poniamo in essere quanto si tratta di redigere un atto o un parere o di rappresentare e assistere il nostro cliente in udienza?

L’attività e le informazioni da acquisire per una valutazione complessiva della fattispecie sottoposta al nostro esame sono identiche o, in realtà, cambia qualcosa?

Lo studio delle dinamiche negoziali e delle finalità intime dei processi di negoziazione e mediazione ci consente di comprendere come vi sia qualcosa di profondamente diverso che incide, inevitabilmente, sulle modalità di approccio e di preparazione all’utilizzo delle procedure di risoluzione alternativa delle controversie.

Probabilmente la differenza più importante è quella che nel corso di una procedura di mediazione saremo chiamati a confrontarci non solo con informazioni di carattere giuridico, ma anche con informazioni attinenti ad una sfera del tutto diversa, ovvero quella emotiva delle parti coinvolte o travolte dal conflitto. Una sfera ricca di insidie e dominata da variabili difficili da gestire e controllare.

Saremo chiamati non solo a esaminare il conflitto dall’esterno, ma piuttosto ad entrare nel conflitto, a comprenderlo e fornire un contributo “diverso”: un supporto non diretto a trovare la soluzione giuridica del caso ma un aiuto concreto ed efficace, diretto a individuare gli interessi reali del nostro cliente e a negoziare e costruire – con lui e per lui – un accordo in grado di soddisfarli.

In questo percorso, possiamo muoverci sospinti da logiche differenti.

Saremo chiamati a definire e scegliere il nostro stile negoziale; saremo chiamati a muoverci lungo una linea retta immaginaria ai cui estremi si collocano la cooperazione e la competizione.

Dobbiamo decidere che strategia usare.

In giudizio non avrei dubbi.

In mediazione, invece, sì e proprio questo interrogativo rappresenterà il mio punto di partenza.

Devo partire dal cosiddetto “dilemma del negoziatore” e decidere come affrontare la mediazione o anche singole fasi della stessa.

La logica win – lose non sarà più necessariamente la logica dominante ma potrebbe lasciare spazio e campo anche ad una logica win – win, in cui prendono forma logiche non più di tipo aggiudicativo ma piuttosto di tipo distributivo.

Ciò che cambia è l’obiettivo stesso della procedura: in mediazione, non dovrò imporre la mia posizione e “gridare” le mie richieste.

Quello è solo il punto di partenza.

In mediazione, sono chiamato a definire la mia posizione ma, soprattutto, a superarla.

Sono chiamato a scindere le persone e le emozioni dal problema.

Sono chiamato a studiare e comprendere il conflitto per cercare di trasformarlo.

Sono chiamato a scovare – non un orientamento giurisprudenziale che rafforzi la mia posizione – ma gli interessi reali e concreti che animano e generano la mia posizione.

Sono chiamato a interrogarmi non solo su ciò che chiedo ma, soprattutto, su ciò che voglio.

Sono chiamato a “costruire” il mio accordo, il nostro accordo; un accordo che deve essere un “buon accordo” e come tale non può che essere reciprocamente vantaggioso.

Devo ascoltare attivamente la mia controparte, comprendere (non necessariamente condividere) la sua posizione e esplorare i nostri interessi, alla ricerca di opzioni reciprocamente vantaggiose che possano soddisfare gli stessi.

Devo andare al di là del “baccano” delle posizioni e concentrarmi sugli interessi, il vero motore delle posizioni.

Ci ritroveremo in una posizione insolita: saremo spettatori non paganti di un’interazione conflittuale, rispetto alla quale possiamo svolgere un ruolo molto importante per il nostro cliente.

Possiamo assisterlo e possiamo, soprattutto, guidarlo in un percorso nuovo, differente, alternativo alla logica del conflitto, dominato da importante dinamiche negoziali rispetto alle quali non possiamo rischiare di trovarci impreparati.

Nessuna improvvisazione, ma una preparazione attenta e mirata in cui si fondono conoscenze trasversali e competenze tecniche che affiancano e rafforzano l’esperienza, l’istinto e il nostro intuito.

Abbiamo, di fatto, una grande responsabilità: quella di aiutare, con la giusta preparazione e il dovuto senso di responsabilità, le parti del conflitto a comprendere le rispettive posizioni, ad individuare gli interessi in gioco e ad esplorare le possibili soluzioni che possano soddisfare i loro interessi, con la consapevolezza che l’accordo non è una sentenza; l’accordo è solo la naturale conseguenza di una valutazione condivisa di opzioni ritenute reciprocamente vantaggiose dalle parti.

Se il fine ultimo della procedura di mediazione è proprio questo, occorre indubbiamente prepararsi in modo adeguato per raggiungere questo obiettivo.

Ma cosa occorre fare, in concreto, per affrontare in modo efficace una procedura di mediazione?

Il primo step non può che essere rappresentato dall’analisi del conflitto e dalle ragioni che lo hanno generato.

Perché mi ritrovo in questa situazione? Cosa è successo? Quali sono o quali possono essere le motivazioni che hanno determinato il conflitto? Quali sono le mie responsabilità in questo contesto?

Occorre attraversare insieme al nostro cliente il conflitto, comprenderlo e, soprattutto, cercare di trasformarlo.

Non dobbiamo mai sfuggire il conflitto, ma piuttosto viverlo per coglierne l’essenza e le ragioni più profonde che hanno determinato la rottura dei processi comunicativi tra le parti.

Dobbiamo anche cercare di dare un volto e un nome alla posizione e agli interessi del nostro assistito e cercare di individuare quelli della controparte.

Un’operazione apparentemente semplice ma, in realtà, ricca di insidie e difficoltà.

Dobbiamo definire non solo “cosa chiediamo” ma, soprattutto, “cosa vogliamo”.

Due concetti radicalmente differenti, la cui esatta individuazione è messa in pericolo da svariate variabili esterne tra cui, ad esempio, le emozioni e le distorsioni cognitive che animano e determinano la visione soggettiva e la percezione di un determinato evento.

Dopo aver definito le rispettive posizioni e gli interessi delle parti coinvolte nell’interazione conflittuale, dovremo cercare di definire la nostra BATNA (best alternative to a negotiated agreement), ovvero la nostra mia migliore alternativa all’accordo negoziato.

Dobbiamo imparare a rispondere ad una domanda apparentemente semplice ma, che, in realtà, richiede un interessante sforzo “creativo”.

Cosa accade se non dovessimo raggiungere un accordo?

Quale è la mia migliore alternativa all’accordo negoziato?

Una domanda, tante possibili risposte.

Più alternative valide riuscirò a creare in questa fase, più forte sarà il mio potere negoziale nel corso della procedura di mediazione / negoziazione.

In questa fase, possono rivelarsi utili alcune tecniche comunicative, tra le quali figura senz’altro il brainstorming.

Il brainstorming è una tecnica efficace per far emergere idee volte alla risoluzione di un problema. Spesso erroneamente tradotto come tempesta di idee, in realtà significa “usare il cervello (brain) per prendere d’assalto (storm) un problema“. Sinteticamente consiste, dato un problema, nel proporre ciascuno liberamente soluzioni di ogni tipo (anche strampalate o con poco senso apparente) senza che nessuna di esse venga minimamente censurata.

Il risultato principale di una sessione di brainstorming può consistere in una nuova e completa soluzione del problema, in una lista di idee per un approccio ad una soluzione successiva, o in una lista di idee che si trasformeranno nella stesura di un programma di lavoro per trovare in seguito una soluzione.

Un altro strumento molto interessante da poter utilizzare nella ricerca di soluzioni alternative è, senz’altro, rappresentato dallo sviluppo del cosiddetto “pensiero laterale”.

L’espressione pensiero laterale indica una modalità di risoluzione di problemi logici basata sull’osservazione del problema da diversi punti di vista, in contrapposizione con la modalità tradizionale del cosiddetto pensiero verticale, ovvero del pensiero logico o matematico, razionale, tradizionale, analitico e sequenziale che si basa sulle deduzioni, passando attraverso le considerazioni che sembrano più ovvie e prevedendo una sequenza di passi, ognuno dei quali deve essere giustificato.

Il pensiero laterale si discosta dalle predette modalità (da cui il termine laterale) e cerca punti di vista alternativi prima di cercare la soluzione, partendo dal presupposto che per ciascun problema è sempre possibile individuare diverse soluzioni. Potrebbe rivelarsi molto importante per l’avvocato ricercare ed approfondire le modalità e gli strumenti che facilitino questi processi di pensiero, per generare creativamente ipotesi da abbinare e combinare con le conoscenze già possedute, fino al raggiungimento dell’obiettivo prefissato.

“Se si affronta un problema esclusivamente con il metodo razionale del pensiero, si ottengono risultati corretti ma limitati dalla rigidità dei modelli logici. Quando, invece, si richiede una soluzione veramente diversa e innovativa di deve stravolgere il ragionamento, partire dal punto più lontano possibile, ribaltare i dati, mescolare le ipotesi, negare certe sicurezze ed addirittura affidarsi ad associazioni di idee del tutto casuali. Si deve, perciò, abbandonare il pensiero “verticale” cioè quello basato sulle deduzioni logiche, per entrare nella lateralità del pensiero creativo”.[1]

L’utilizzo delle tecniche sopra citate si rivelerà determinante nel processo di costruzione della batna, consentendo all’avvocato di proporre durante la negoziazione delle alternative precise e già vagliate ai fini della risoluzione della controversia.

L’attività di analisi e costruzione dell’alternativa consentirà alla parte di fare le proprie valutazioni con maggiore consapevolezza, aiutando la stessa, il più delle volte, anche a “scovare” interessi non manifestati e definire in modo più puntuali i propri bisogni e le proprie aspettative.

Il processo di costruzione delle alternative richiede la collaborazione costante e la massima disponibilità della parte, affinchè tali alternative, durante la negoziazione, si possano trasformare in opzioni per il raggiungimento di un determinato obbiettivo o per il soddisfacimento di uno specifico interesse in alternativa alla soluzione ideale.

Individuata la nostra “batna”, non dimentichiamo di costruire e indebolire quella dell’altra parte.

Anche qui, la capacità di esaminare la situazione conflittuale da punti di vista differenti si rivelerà decisiva.

Il pensiero laterale rappresenta un’opportunità da non trascurare.

Dopo aver definito la nostra migliore alternativa all’accordo negoziato, occorrerà concentrarsi su un’altra importante domanda: quale è, invece, la nostra peggiore alternativa all’accordo negoziato?

Ecco che saremo chiamati a costruire anche la nostra WATNA (la worst alternative to a negotiated agreement), ovvero la nostra peggiore alternativa all’accordo negoziato.

Individuata la BATNA e la WATNA, l’avvocato e il cliente dovranno definire il cosiddetto “prezzo di riserva”.

Nel linguaggio negoziale, esso sta a indicare il prezzo minimo, il limite entro il quale saremmo disposti a definire la controversia.

Conoscerlo prima della negoziazione, ci consentirà di affrontarla con più forza e decisione. Esso, spesso, tende a coincidere con la “batna”.

Il prezzo di riserva individua il “minimo” di utilità che la parte intende ricavare dall’accordo affinchè questo possa realizzarsi.

Il punto di resistenza è quel vantaggio che ciascuna parte deve ricavare dalla cooperazione con l’altra parte, ciò che rende vantaggioso lo scambio di risorse.

Sotto il prezzo di riserva, conviene non accordarsi; sopra quel punto, sono possibili più soluzioni, con diversi gradi di utilità per una parte, a discapito dell’altra.

La definizione dei punti di resistenza (prezzi di riserva) ci aiuta, infine, ad individuare la nostra ZOPA (Zone of possible agreemente), la “zona di accordo” al cui interno è possibile generare più soluzioni del gioco, tutte vantaggiose per entrambi. Essa rappresenta la fascia entro la quale è possibile raggiungere un accordo soddisfacente per entrambe le parti.

La conoscenza di questi elementi può facilitare e orientare l’attività dell’avvocato / negoziatore nel corso della procedura di mediazione, consentendo allo stesso di mantenere il controllo della stessa in ogni sua fase e generare opzioni vantaggiose per il proprio cliente con l’obiettivo di definire, nell’interesse dello stesso, un accordo che possa soddisfare le proprie aspettative, i propri interessi e i propri bisogni.

Un percorso articolato, complesso, ricco di insidie, rispetto al quale, però, abbiamo un’importante opportunità: non farci trovare impreparati.


[1]Edward De Bono, Il pensiero laterale.

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Avv. Giuseppe Cara

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