Referendum sulla Giustizia: 12 giugno 2022

Referendum sulla Giustizia: 12 giugno 2022

Premessa. Il referendum abrogativo, che si terrà domenica 12 giugno 2022, riguarda i cinque quesiti sulla giustizia dichiarati ammissibili dalla Corte costituzionale, con sentenza dell’8 marzo 2022 nn. 56, 57, 58, 59, 60. Nello specifico concernono: l’insindacabilità dei politici condannati, la custodia cautelare, la separazione delle carriere dei magistrati, i Consigli giudiziari e l’elezione del CSM.

Cariche elettive e di Governo per i condannati. Il quesito propone di abrogare la cd. Legge Severino, per effetto del quale verrebbe eliminato l’automatismo previsto dalla stessa, in materia di insindacabilità, ineleggibilità e decadenza di parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali, in caso di condanna penale definitiva, pertanto rimettendo ai magistrati il potere di valutare caso per caso, quando e se applicare al politico condannato l’interdizione dai pubblici uffici.

Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo Unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’art. 1, comma 63, della l. 6 novembre 2012, n. 190)?

Limitazione delle misure cautelari. Il secondo quesito referendario interviene sulle esigenze cautelari, nello specifico, sull’abrogazione parziale dell’art. 274, comma 1, lett. c) c.p.p., ossia limitatamente alla possibilità di disporre una misura cautelare coercitiva in caso di pericolo della reiterazione del reato della stessa specie per cuoi si procede.

Occorre precisare che l’eventuale abrogazione, limiterebbe l’operatività dell’art. 274, comma 1, lett. c) c.p.p. al pericolo di commissione di “gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede”, eliminando l’esigenza cautelare del pericolo di una recidiva specifica (commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede), per l’applicazione di una misura cautelare e, soprattutto, della carcerazione preventiva determinanti la limitazione e la privazione della libertà prima dell’eventuale condanna definitiva.

“Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 274, comma 1, lett. c), limitatamente alle parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art. 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni”?”.

La separazione delle funzioni dei magistrati. Viene poi indetto il referendum per l’abrogazione delle norme in materia di ordinamento giudiziario che consentono ai magistrati il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa, durante la carriera.

L’articolata formulazione della richiesta referendaria è dovuta alla frammentarietà del contesto normativo di riferimento, tuttavia, la finalità del quesito posto è, sostanzialmente, quella di rendere irreversibile la scelta operata dal magistrato stesso all’inizio della carriera circa la funzione da esercitare (giudicante o requirente) e che, pertanto, pone il corpo elettorale dinnanzi ad una netta alternativa, cioè se i magistrati possano continuare a mutare di funzione nel corso della carriera, oppure se tale possibilità debba essere eliminata mediante l’abrogazione parziale della normativa di riferimento.

«Volete voi che siano abrogati: l'”Ordinamento giudiziario” approvato con Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 192, comma 6 […]; la Legge 4 gennaio 1963, n. 1 (Disposizioni per l’aumento degli organici della Magistratura e per le promozioni), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 18, comma 3 […]; il Decreto Legislativo 30 gennaio 2006, n. 26 […], nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 23, comma 1 […]; il Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160 […], limitatamente alle seguenti parti: art. 11, comma 2 […]; art. 13, riguardo alla rubrica del medesimo […]; art. 13, comma 1 […]; art. 13, comma 3 […]; art. 13, comma 5 […]; art. 13, comma 6 […]; il Decreto-Legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito con modificazioni nella legge 22 febbraio 2010, n. 24 […] limitatamente alla seguente parte: art. 3, comma 1 […]?».

Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari.  Il quarto quesito proposto, riguarda l’abrogazione parziale della normativa che limita la partecipazione dei cd. membri laici (avvocati e professori universitari) del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei Consigli giudiziari alle sole discussioni e deliberazioni inerenti all’organizzazione degli uffici consentendo, invece, la partecipazione degli stessi a tutte le deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari».

Più precisamente, i Consigli giudiziari, istituiti presso i distretti delle Corti d’appello, svolgono funzioni ausiliarie al CSM mediante attività prettamente consultive relative all’organizzazione degli uffici giudiziari presenti nei distretti (cd. questioni tabellari) e ai provvedimenti inerenti alla carriera e allo status dei magistrati dei distretti; il legislatore ha modulato il funzionamento degli stessi Consigli, limitando la partecipazione dei membri laici alle delibere in materia tabellare e all’esercizio del potere di vigilanza sull’andamento degli uffici, pertanto, con conseguente esclusione dalle delibere relative a carriera e status dei magistrati (es. pareri sulle valutazioni di professionalità).

Con riferimento, invece, alla composizione e alle competenze del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione, fra gli undici membri elettivi vi siano i membri laici (due professori universitari di ruolo di materie giuridiche e un avvocato con almeno venti anni di effettivo esercizio della professione), ma con la partecipazione limitata di questi alle sole discussioni e deliberazioni inerenti a questioni tabellari e di organizzazione degli uffici, con esclusione da quelle relative ai pareri sulle valutazioni di professionalità dei magistrati,  pareri resi su materie attinenti alle competenze del CSM e l’esclusione delle eventuali proposte al comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura in materia di programmazione dell’attività didattica.

 «Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 (Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005 n. 150), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 8, comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 7, comma 1, lettera a)”; art. 16, comma 1, limitatamente alle parole: “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, comma 1, lettere a), d) ed e)?”».

Elezioni dei componenti togati del CSM. Infine, l’ultimo quesito referendario riguarda l’abrogazione dell’art. 25, comma 3 della legge 195/1958, che richiede al magistrato che intenda candidarsi nel CSM, di procurarsi dalle venticinque alle cinquanta firme per presentare la propria candidatura; l’abolizione di tale meccanismo consentirebbe a tutti i magistrati in servizio di candidarsi all’organo di controllo, rimettendo al centro le qualità personali e professionali del candidato stesso.

«Volete voi che sia abrogata la Legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 25, comma 3, limitatamente alle parole “unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’articolo 23, né possono candidarsi a loro volta?»

Conclusioni. I cinque quesiti in oggetto – l’automatica interdizione dalle cariche elettive, la limitazione delle misure cautelari, la separazione delle funzioni dei magistrati, la supervisione effettiva dei membri laici e la modalità di elezione dei membri del CSM – interessano, quindi, vari aspetti della Giustizia e sono di particolare rilievo per la collettività.

Meriterebbero la giusta attenzione mediatica ma l’estromissione, da parte della Corte costituzionale, delle tre richieste referendarie più sensibili all’attenzione dell’opinione pubblica (cannabis, eutanasia, responsabilità civile “diretta” dei magistrati), ha determinato una progressiva incuranza dell’argomento e un’insufficiente informazione sui quesiti ammessi.

Si teme, pertanto, che una scarsa affluenza alle urne e il conseguente mancato raggiungimento del cd. quorum di partecipazione, ai sensi dell’art. 75, comma IV della Costituzione.


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