Mancato tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di telecomunicazioni: quali conseguenze?

Mancato tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di telecomunicazioni: quali conseguenze?

Com’è noto, in virtù della L. 249/1997, la facoltà di invocare la tutela giurisdizionale per le controversie riguardanti “i servizi, forniti di norma a pagamento, consistenti esclusivamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazione elettronica, compresi i servizi di telecomunicazioni e i servizi di trasmissione nelle reti utilizzate per la diffusione circolare radiotelevisiva …”, è subordinata al preventivo svolgimento di una specifica procedura conciliativa di natura stragiudiziale. Nulla di strano laddove si pensi che la norma si inserisce nell’attuazione dell’obbiettivo, prioritario per il nostro legislatore, di deflazionare il contenzioso giudiziale civile. Ciò che però resta ancora di difficile comprensione, date anche le contrastanti soluzioni che i diversi Giudici continuano ad estrapolare sull’argomento (vedi ad esempio Sent. Tribunale di Nola 16.05.2007 Tribunale di Macerata n. 575 del 24.09.2008 e Tribunale di Milano n. 4119 25.03.2014), sono la reale portata del precetto in parola e le concrete modalità di attuazione dello stesso.

La questione merita quindi una riflessione innanzitutto in ordine alla corretta individuazione dell’ambito applicativo del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dalla L. 249/1997. Il “Regolamento in materia di procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti, approvato con delibera n. 173/07/CONS“, sottopone alla competenza conciliativa dei Co.Re.Com. (quali ramificazioni regionali dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) le controversie “… inerenti al mancato rispetto delle disposizioni relative al servizio universale ed ai diritti degli utenti finali stabilite dalle norme legislative, dalle delibere dell’Autorità, dalle condizioni contrattuali e dalle carte dei servizi …“. A parere di chi scrive, tale disposizione andrebbe interpretata nel senso che i Co.Re.Com. non sono abilitati a comporre qualsiasi controversia insorta tra utente e operatore dei servizi di telecomunicazione. Più correttamente, andrebbe escluso l’obbligo conciliativo per le vertenze che seppur soggettivamente rientranti nell’ambito della L. 249/1997, non hanno quale “causa petendi” disposizioni regolanti le caratteristiche tecniche del servizio e/o i diritti degli utenti finali. La specificità della materia giustifica infatti l‘intervento di organismi, altrettanto specifici, che riuscirebbero, meglio di un Giudice, ad indirizzare le parti verso una corretta e proficua composizione della lite. Viceversa, nel caso si debba discutere di situazioni giuridiche che trovano il loro fondamento nelle generali norme civilistiche, mal si comprenderebbe la loro sottrazione alle regole della giurisdizione ordinaria.

Sul versante delle modalità di attuazione dell’obbligo conciliativo di cui alla L. 249/1997, ritenuta la recente prolificazione delle procedure di risoluzione stragiudiziale delle controversie, non si può nascondere la necessità di una operazione, quantomeno di tipo interpretativo, tesa a coordinare e unificare le discipline dei diversi tipi di conciliazione. Infatti, se da un lato è accettabile che le controversie devolute ad organi conciliativi siano liberamente ed insindacabilmente scelte dal legislatore anche a prescindere da criteri di specificità della materia trattata, d’altro canto resta comunque indispensabile verificare che l’attuale panorama normativo non provochi ingiustificate discriminazioni tra le varie fattispecie. Sulla base di tale premessa, bisogna quindi domandarsi quali sono (o quali dovrebbero essere) le conseguenze derivanti dal mancato esperimento del tentativo di conciliazione in parola, anche in relazione a disposizioni regolanti fattispecie analoghe. A tal proposito, va in primo luogo tenuto presente il testo della la L. 249/1997, laddove si legge che per le controversie riguardanti le telecomunicazioni “non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione …”. Invece, il successivo regolamento contenente la disciplina per l’espletamento delle suddette procedure, approvato con delibera dell’Autorità n. 173/2007/CONS, prevede che nel caso di mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione di cui alla L. 249/1997, la domanda giudiziale debba ritenersi “improcedibile” (art. 3) senza altre specificazioni. Pur prendendo atto della ambiguità di tali disposizioni, bisogna evidenziare come la soluzione della “improcedibilità” è preferibile a quella della “improponibilità” (o inammissibilità), in quanto la prima appare maggiormente conforme al principio di economia processuale e meglio compatibile con il diritto all’azione previsto dall’art. 24 della nostra Carta Costituzionale. In effetti, di fronte ad una domanda proposta in violazione dell’obbligo del preventivo esperimento della procedura di conciliazione, se si aderisse alla tesi dell’improponibilità, il Giudice sarebbe costretto a definire il processo con una sentenza di rito. Viceversa, la ricostruzione interpretativa della improcedibilità, consentirebbe al Magistrato di ordinare alle parti di avviare la procedura e di rinviare il giudizio per il tempo necessario alla conclusione della stessa. Così facendo, si riuscirebbe a fare salvi tutti gli effetti della domanda giudiziale, senza comunque rinunciare ai benefici che potrebbero scaturire dall’espletamento di un procedimento conciliativo.

Non è un caso che l’improponibilità del giudizio non venga contemplata da nessuna disposizione regolante istituti obbligatori di conciliazione. Al contrario, la L. 28/2010, nell’individuare una ampia serie di controversie civili da sottoporre al tentativo obbligatorio di conciliazione, all’art. 5 riconosce specificamente come improcedibile la domanda giudiziale non preceduta dal suddetto procedimento e impone al Giudice, nel caso ravvisi tale vizio, di ordinare alle parti l’avvio della procedura stragiudiziale e di sospendere la causa per il tempo necessario all’espletamento della medesima. Allo stesso modo si atteggia l’istituto della negoziazione assistita introdotto dal D. L. 132/2014 convertito con L. 162/2014 nonché la conciliazione in materia tributaria disciplinata dal nuovo art. 17 bis del D. Lgs 546/1992. La singolarità che qualcuno insiste a voler riconoscere alla conciliazione in materia di servizi di telecomunicazione, come si è potuto dimostrare, non riesce a trovare alcun valido motivo di esistenza. Sarebbe perciò auspicabile e opportuno un intervento legislativo teso a risolvere definitivamente la questione e ad evitare le dannose soluzioni altalenanti provenienti dalle aule dei nostri Tribunali.

avv. Marco Capone

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