Abuso del potere gestorio, mala gestio, ricorso abusivo al credito
La rappresentanza è un istituto giuridico in forza del quale si verifica una scissione tra parte formale (rappresentante) e parte sostanziale (rappresentato) del rapporto. Attraverso questo istituto si devolve mediante procura a un soggetto detto rappresentante il potere di concludere atti giuridici che spettava ad un altro soggetto (rappresentato).
La ratio dell’istituto non è univoca posto che il potere rappresentativo può essere conferito dal rappresentato al rappresentante per diversi motivi: quando il rappresentato ad esempio sia affetto da una incapacità che non lo rende idoneo a porre in essere atti giuridici; o ai fini dell’attuazione del principio di autonomia privata; o per garantire certezza e sicurezza nei rapporti giuridici.
Dal punto di vista degli effetti prodotti dall’istituto si è soliti distinguere tra: rappresentanza diretta e rappresentanza indiretta.
La rappresentanza è diretta quindi volontaria quando il rappresentante agisce in nome e per conto del rappresentato per cui gli effetti del contratto concluso dal rappresentante si produrranno direttamente nella sfera giuridica del rappresentato, mentre, la rappresentanza è indiretta quando il rappresentante agisce in nome proprio ma nell’interesse del rappresentato, sicchè gli effetti giuridici del contratto concluso dal rappresentante si verificheranno direttamente nella sua sfera giuridica e da esso dovranno poi essere trasferiti nella sfera giuridica del rappresentato.
Per quel che concerne la fonte, il potere rappresentativo può essere devoluto al rappresentante dalla legge (in questo caso si parlerà di rappresentanza legale) o direttamente dal rappresentato mediante procura (in questo caso si parlerà di rappresentanza volontaria).
Quando la rappresentanza è volontaria è necessario che il rappresentante abbia la capacità di intendere e volere che gli impedisce di abusare del potere a lui stesso conferito dal rappresentato.
Non sono poche le ipotesi disciplinate espressamente dal legislatore nel codice civile di abuso del potere gestorio che si configura quando il rappresentante eccede nell’esercizio dei poteri a lui conferiti, si pensi alle ipotesi disciplinate agli artt. 1394 e 1395 del c.c.; ma non solo, si pensi anche all’ipotesi di cui all’art. 1711 del c.c. e all’ipotesi di cui all’art. 1398 del c.c.
L’ 1394 del c.c. è norma rubricata: conflitto di interessi. Il conflitto di interessi è per definizione quella situazione che, nel caso dell’abuso del potere gestorio viene a configurarsi quando il rappresentante cui è stato conferito con procura il potere dal rappresentato conclude un contratto con un terzo soggetto ma non nell’interesse del rappresentato per il quale gli è stato conferito il potere gestorio ma in virtù del soddisfacimento di un proprio interesse o dell’interesse di un soggetto diverso dal rappresentato.
E’ importante delineare quali sono gli effetti che l’abuso del potere gestorio avvenuto per conflitto di interessi produce nei confronti del rappresentato e dei terzi con cui ha contratto il rappresentante al fine di capire quali siano i rimedi esperibili.
In tal caso bisogna distinguere due ipotesi.
Se il terzo con cui ha contratto il rappresentante era in mala fede cioè aveva la giusta diligenza (per tale intendendosi quella dell’uomo medio) idonea a poter conoscere o quantomeno riconoscere l’esistenza del conflitto d’interesse ma non l’ha fatto valere allora il rappresentato può chiedere l’annullamento del contratto stipulato dal rappresentante. Il contratto, stipulato dal rappresentante con il terzo quindi è un contratto invalido ma efficace fino a che non venga emanata dal giudice una sentenza dichiarativa annullamento che produce effetti ex tunc e quindi fa venire meno retroattivamente gli effetti prodotti dal contratto generando quale conseguenza l’inesistenza del contratto stesso con pregiudizio nei confronti dei terzi.
Se il terzo con cui ha contratto il rappresentante era in buona fede cioè non aveva la diligenza dell’uomo medio per potere conoscere o quantomeno riconoscere l’esistenza del conflitto d’interessi allora il contratto resta valido e quindi si salvaguardia l’acquisto del terzo in una logica di circolazione della ricchezza.
Altra ipotesi di esercizio abusivo del potere gestorio nella rappresentanza volontaria diretta è rinvenibile nell’ art. 1395 del c.c. In questa norma il legislatore ha espressamente disciplinato l’ipotesi in cui il rappresentante concluda un contratto con se stesso.
Il contratto concluso con se stesso è una forma contrattuale che viene a verificarsi quando il rappresentante -pur avendo ricevuto la procura a contrarre per conto del rappresentato con un soggetto terzo- conclude un contratto con se stesso abusando quindi del potere gestorio che gli era stato conferito al fine di perseguire un interesse del rappresentato.
Ancora, si ha abuso del potere gestorio quando il rappresentante senza procura ottenuta da parte del rappresentato si presenti quale suo rappresentante in veste di falsus procurator nella stipulazione di un contratto con un terzo.
Nella prima ipotesi il rimedio che l’ordinamento appresta a favore del rappresentato è l’esperibilità dell’azione di annullamento del contratto la quale se accolta dal giudice consentirà allo stesso di emanare una sentenza produttiva di un effetto ex tunc che comporterà la caducazione degli effetti del contratto stipulato dal rappresentante con il terzo.
Nella seconda ipotesi il rimedio che l’ordinamento appresta a favore del rappresentato è la dichiarazione di inefficacia del contratto salvo che lo stesso non sia ratificato dal rappresentato stesso.
L’esercizio abusivo del potere gestorio a fronte della rappresentanza volontaria può verificarsi anche nell’ipotesi della stipulazione di un contratto di mandato e ciò in quanto anche il mandatario agisce quale rappresentante del mandante quando il mandato è con rappresentanza, e quindi se esercita il suo potere rappresentativo eccedendo i limiti fissati nel contratto di mandato del superamento di tali limiti ne risponderà egli stesso personalmente salvo che il mandante non eserciti il potere di ratifica.
La ratifica è un negozio unilaterale e recettizio con cui il rappresentato esercitando un diritto potestativo fa propri gli effetti dell’attività giuridica posta in essere dal rappresentante.
Un’altra forma di rappresentanza che può venire in essere è la cd rappresentanza organica.
Questa forma di rappresentanza deriva da un rapporto di immedesimazione organica a fronte del quale la volontà dell’ente (ossia la società) si manifesta attraverso l’organo (quale può essere l’amministratore delegato o il consiglio di amministrazione). Anche nella rappresentanza organica dunque si assiste a una scissione tra parte in senso formale (amministratori) e parte in senso sostanziale (società).
Gli organi dell’ente nell’esercizio delle funzioni loro devolute possono abusare del potere rappresentativo.
L’abuso di tale potere può essere funzionale quando il potere rappresentativo viene esperito per esercitare una funzione che non è stata proprio attribuita all’organo; oppure può essere modale. In tal caso l’abuso del potere rappresentativo viene a configurarsi quando sono abusive le modalità di esercizio di un potere attribuito all’organo.
Emblematico esempio di abuso del potere rappresentativo nella rappresentanza organica è rinvenibile nell’art. 2373 co.1 del c.c., norma che presenta la stessa rubrica dell’art. 1394 del c.c. e che disciplina l’ipotesi in cui gli organi sociali-per soddisfare un proprio interesse o per soddisfare un interesse di terzi- adottino una delibera in conflitto di interesse con l’interesse della società.
Il problema è cercare di capire quali sono gli effetti che la delibera adottata dagli amministratori in conflitto di interesse con la stessa possa produrre nei confronti della società.
Il legislatore si è preoccupato di questo problema e ha concesso alla società lesa dalla delibera la possibilità di poter esperire il rimedio della proposizione di una domanda di risarcimento del danno o in alternativa la proposizione di una domanda di annullamento della delibera.
Qualora la domanda di annullamento venga accolta dal giudice la sentenza di annullamento produrrà ex tunc i suoi effetti comportando quale conseguenza una invalidità della delibera che è come se non fosse mai stata adottata.
Il legislatore poi si preoccupa anche degli effetti che l’adozione della delibera seppur adottata in conflitto di interessi avrebbe potuto produrre nei confronti dei terzi e ciò in quanto va precisato che prima della proposizione della domanda di annullamento da parte della società la delibera era valida quindi, gli eventuali effetti che la stessa ha prodotto nei confronti dei terzi in buona fede restano salvi.
Ulteriore ipotesi di abuso del potere gestorio nella rappresentanza organica è disciplinato espressamente dal legislatore all’art. 2383 del c.c.
La norma nel disciplinare i poteri di nomina e revoca degli amministratori sancisce indirettamente che si configura un abuso del potere gestorio nell’ipotesi in cui questi ultimi a seguito del periodo di scadenza continuano ad esercitare le proprie funzioni o quando nonostante l’esistenza di una revoca per giusta causa questi continuino ad esercitare le proprie funzioni.
Per gli atti compiuti dagli amministratori della società quali rappresentanti della stessa a seguito della nomina qualora dovessero sussistere cause di nullità o di annullabilità della nomina stessa è previsto che essi non possono essere opposti ai soggetti terzi in buona fede con cui gli amministratori hanno concluso i contratti. Ciò vuol dire che restano salve le operazioni compiute con i terzi a loro favore. Unico limite alla tutela del terzo è rappresentato dal comportamento del terzo, in quanto se quest’ultimo era in mala fede cioè conosceva l’esistenza della causa di nullità o di annullabilità dell’atto di nomina degli amministratori e ciò nonostante ha contratto con essi la società può provare (anche per presunzioni) l’esistenza di tale conoscenza da parte dei terzi e chiedere l’annullamento degli atti stipulati dall’amministratore con il terzo.
Ancora l’abuso gestorio viene a configurarsi quando nelle ipotesi tassativamente previste dal legislatore all’art. 2382 del c.c. l’amministratore eserciti il potere rappresentativo essendone sprovvisto ab origine. In assenza del potere rappresentativo ab origine gli atti compiuti dall’amministratore sono inefficaci e quindi affetti da nullità.
Gli amministratori della società avendone la rappresentanza (in generale) congiuntamente o disgiuntamente possono incorrere in responsabilità in caso di mala gestio.
La norma che disciplina l’amministrazione della società da parte degli amministratori ossia l’art. 2392 configura la responsabilità degli amministratori per mala gestio come una responsabilità di natura contrattuale ex.art. 1218 del c.c. e solidale ex.art. 1292 c.c. (qualora il potere rappresentativo sia esercitato congiuntamente) con la conseguenza che in tal caso tutti gli amministratori si presumono solidamente responsabili per i danni cagionati alla società nell’esercizio dei loro poteri salvo coloro che sono esenti da colpa.
La natura contrattuale della responsabilità per mala gestio sussiste in virtù del rapporto di immedesimazione organica dell’amministratore con la società e per la violazione degli obblighi derivanti da quel rapporto nonché per la violazione della diligenza professionale ex. art. 1176 co. 2 c.c.
La norma poi al co.2 sancisce espressamente che in caso di responsabilità solidale degli amministratori essa ha natura di responsabilità per colpa presunta e al co.3 invece qualifica la responsabilità come responsabilità di tipo omissivo.
Per quel che concerne invece la natura della responsabilità per ricorso abusivo al credito occorre innanzitutto preliminarmente specificare che questo istituto opera quando gli amministratori della società chiedono un prestito a un istituto di credito che lo concede al fine di evitare il fallimento della società pur essendo consapevole del fatto che la società non sarà capace di restituire le somme.
Con il ricorso abusivo al credito si finanzia sostanzialmente una società decotta. Il ricorso abusivo al credito configura un’ipotesi di mala gestio e ciò in quanto
la prosecuzione dell’attività societaria aggrava il dissesto già in atto della società e danneggia i creditori sociali che vedranno aumentare i debiti del patrimonio sociale su cui possono soddisfarsi.
La responsabilità per ricorso abusivo al credito quindi ha natura extracontrattuale ex. art. 2043 c.c. e tale natura si desume dal fatto che sussiste un fatto illecito compiuto con dolo ossia una condotta abusiva degli amministratori violativa del principio di buona fede oggettiva ex.art. 1175 c.c. che legittima i creditori sociali ad agire per richiedere il risarcimento del danno sia nei confronti degli amministratori della società che hanno fatto ricorso al credito abusivo o in caso di responsabilità solidale anche avverso la banca.
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Avvocato Antonella Fiorillo
Laureata in giurisprudenza.
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