Bambini soldato e Myanmar: numeri, cause e prospettive globali

Bambini soldato e Myanmar: numeri, cause e prospettive globali

Sommario: 1. Introduzione – 2. Chi sono i bambini soldato? – 3. Il fenomeno su scala internazionale – 4. La situazione del Myanmar – 5. Conclusioni

1. Introduzione

Secondo un recente rapporto dell’UNICEF[1], il 2024 si è rivelato uno degli anni più drammatici per l’infanzia a livello globale. Oltre 473 milioni di bambini — più di uno su sei nel mondo — vivono in aree colpite da conflitti armati. Il pianeta sta affrontando il numero più alto di crisi dalla Seconda Guerra Mondiale: dalla guerra tra Russia e Ucraina, al conflitto israelo-palestinese, fino alle numerose guerre civili che insanguinano l’Africa e alle gravi repressioni nel Sud-est asiatico.

La percentuale di bambini che vivono in zone di guerra è quasi raddoppiata rispetto agli anni ’90, passando dal 10% a quasi il 19% attuale. In termini assoluti, si parla di circa 47,2 milioni di minori sfollati a causa di violenze e conflitti, un numero purtroppo in crescita secondo le tendenze registrate nel 2024.

 Tra i fenomeni in forte aumento vi è il numero dei bambini soldato. Una pratica vietata dal diritto internazionale, in particolare dalla convenzione sul fanciullo del 1989[2] tuttavia sembra che l’efficacia del trattato siano fortemente limitata.  In questo articolo, si vuole analizzare la figura del bambino soldato, offrire al lettore un panoramica generale del fenomeno con un particolare approfondimento sulla situazione del Myanmar(o Birmania) ed infine concludere con delle possibili soluzioni.

2. Chi sono i bambini soldato?

Ad oggi, è estremamente difficile stabilire con precisione il numero di bambini soldato nel mondo. La natura clandestina del fenomeno e la carenza di dati completi rendono complicata ogni stima attendibile. Un primo passo per comprendere la portata del problema è definire chi sia, in concreto, un “bambino soldato”.

Secondo la Convenzione sui diritti dell’infanzia[2], gli Stati dovrebbero astenersi dall’arruolare nei propri eserciti bambini di età inferiore ai 15 anni. Questa definizione fornisce due chiavi di lettura: una di tipo demografico (l’età del minore) e una legata all’attore che arruola (lo Stato). In base a questa prospettiva, è considerato bambino soldato chi, sotto i 15 anni, viene ufficialmente arruolato da forze armate statali.

Tuttavia, questa definizione si rivela limitata, poiché inquadra il fenomeno solo nella sua dimensione legale e formale, tralasciando l’ampia e oscura realtà dell’arruolamento da parte di gruppi armati non statali. In questi contesti, è molto più difficile verificare l’età dei minori coinvolti, spesso per la mancanza di documenti anagrafici, la distruzione di archivi o l’uso di calendari differenti nelle aree colpite da conflitti.

Inoltre, la complessità cresce quando si considera che, in alcuni casi, sono gli stessi adolescenti a scegliere — per motivi di sopravvivenza, ideologia o coercizione — di unirsi a formazioni armate, rendendo ancora più sfumati i confini tra vittima e combattente.

Uno studio condotto nei primi anni 2000 dallo psicologo Daya Somasundaram[3] ha posto l’attenzione sulle motivazioni che spingono gli adolescenti a imbracciare le armi. Analizzando l’“Operazione Liberazione” del 1987, Somasundaram rilevò come molti giovani tamil avessero scelto di unirsi ai movimenti di guerriglia come forma di autodifesa, nel tentativo di opporsi alla pulizia etnica perpetrata dalle forze singalesi, che li prendevano sistematicamente di mira.

Oltre alla motivazione politico-difensiva, esistono però anche ragioni economiche. La povertà estrema può infatti spingere i minori ad arruolarsi come veri e propri “mercenari”. Un caso emblematico è quello di James Ellery, ex direttore di Aegis Defence Services[4] tra il 2005 e il 2015, finito sotto inchiesta dopo un documentario trasmesso dalla televisione danese[5]. L’inchiesta rivelò che bambini della Sierra Leone venivano arruolati perché meno costosi rispetto agli adulti. La questione economica si estende anche ad altri ambiti, come le organizzazioni mafiose, dove spesso la manovalanza — e talvolta anche ruoli di comando — viene affidata a giovanissimi[6].

Un’altra motivazione all’arruolamento può essere di natura psicologica: traumi, abusi e perdita dei riferimenti familiari e sociali rendono i minori vulnerabili al reclutamento. In molti casi, poi, i bambini vengono costretti a combattere per compensare la mancanza di soldati adulti. È quanto accaduto, ad esempio, durante il conflitto in Sri Lanka[7], dove i Tigri Tamil, uno dei gruppi separatisti in lotta, arruolavano minori di 14 anni per compiti logistici e ragazzi tra i 14 e i 18 anni come veri e propri guerriglieri.

A volte, l’adesione nasce dalla speranza di ribellarsi a un’oppressione, come avviene oggi in Myanmar, dove molti giovani decidono volontariamente di unirsi alla resistenza armata.

Qualunque sia la motivazione, come sottolinea Amnesty International[8], i bambini che sopravvivono ai conflitti e fanno ritorno alle proprie comunità affrontano enormi difficoltà nel reintegrarsi. Hanno spesso alle spalle anni di violenze, abusi e una quotidianità segnata dalle armi. Tornare a una vita normale, riprendere gli studi, relazionarsi con gli altri o anche solo vivere in famiglia richiede lunghi percorsi di riabilitazione. L’abitudine alla violenza e ai rapporti di forza condiziona profondamente la qualità della loro esistenza futura.

I bambini soldato rappresentano oggi una realtà complessa e variegata. A unirli, nonostante la diversità delle storie e dei contesti, è la loro giovane età, che ne fa vittime fragili e facilmente manipolabili.

3. Il fenomeno su scala internazionale

Secondo i dati più recenti dell’UNICEF[9], tra il 2005 e il 2022 sono stati verificati oltre 105.000 casi di bambini reclutati e utilizzati da forze armate o gruppi armati in più di 30 conflitti in Africa, Asia, Medio Oriente e America Latina. Tuttavia, il numero reale è probabilmente molto più alto, poiché molte violazioni non vengono né segnalate né documentate.

Nel solo anno 2020, le Nazioni Unite hanno confermato 8.521 casi di reclutamento di minori, in aumento rispetto ai 7.750 casi del 2019.

In Africa, il fenomeno è particolarmente diffuso: gruppi armati come le FDLR, i Mai-Mai, Al-Shabaab, l’SPLA, oltre ai movimenti estremisti religiosi in Sudan e Somalia, impiegano i bambini non solo come combattenti, ma anche come spie, messaggeri o supporto logistico. Una situazione simile si riscontra in Centroafrica, dove i gruppi Anti-Balaka ed ex-Seleka continuano a reclutare minori. Anche in Afghanistan, formazioni come i Talebani e l’ISIS-K sfruttano i bambini nei conflitti armati.

4. La situazione del Myanmar

Il Myanmar, situato nel sud-est asiatico, è da decenni teatro di gravi conflitti interni. Le cause sono molteplici: da un lato, fattori economici legati al sottosviluppo del paese; dall’altro, una complessa composizione etnica, con oltre 100 gruppi etnici riconosciuti che coesistono all’interno dei suoi confini.

Il primo conflitto armato interno scoppiò poco dopo l’indipendenza del paese, ottenuta nel 1948. Il governo birmano dell’epoca — allora Unione di Birmania — cercò di costruire uno Stato unitario che includesse tutti i gruppi etnici. Il generale Aung San, figura chiave nella lotta contro il colonialismo britannico, cercò di raggiungere questo obiettivo attraverso la Conferenza di Panglong del 1947, durante la quale stipulò un accordo con i leader Shan, Chin e Kachin. Tuttavia, l’assassinio di Aung San e di altri membri del governo provvisorio compromise irrimediabilmente il processo di unificazione, gettando il paese in un ciclo di instabilità e violenza.

I successivi governi militari, che hanno dominato la scena politica per oltre mezzo secolo, hanno alternato repressione militare e accordi di cessate il fuoco con i gruppi armati etnici. Questi accordi, però, hanno funzionato più come tregue temporanee che come vere soluzioni politiche. Anche il Nationwide Ceasefire Agreement del 2015, pur sostenuto dalla Risoluzione 1612 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU — che mirava a contrastare l’arruolamento dei bambini e a promuovere la loro reintegrazione nella società — ha avuto un’efficacia limitata.

Nel 2021, il colpo di Stato guidato dal generale Min Aung Hlaing ha rovesciato il governo democraticamente eletto di Aung San Suu Kyi, successivamente arrestata. Il colpo di Stato ha riacceso il conflitto civile e risvegliato l’opposizione armata da parte di otto principali formazioni ribelli:

  • l’Esercito Benevolo Democratico Karen (DKBA),

  • l’Esercito Indipendente di Kachin (KIA),

  • il Karen National Liberation Army (KNLA),

  • il KNLA-Peace Council,

  • l’Esercito Karenni (KA),

  • l’Shan State Army-South (SSA-S),

  • l’Esercito dello Stato Wa (UWSA),

  • e il già citato Tatmadaw, l’esercito regolare birmano.

Il conflitto ha portato a una nuova ondata di arruolamenti di bambini soldato. Secondo i rapporti di Child Soldiers International [10], i metodi utilizzati sono spesso brutali e sistematici. I ragazzi, spesso tra i 14 e i 17 anni, vengono reclutati tramite il programma paramilitare Ye Nyunt Youth (Brave Sprouts). In questi centri, ricevono un’istruzione militarizzata e, al termine della formazione, vengono assegnati a compiti che spaziano dal servizio attivo nell’esercito all’intelligence, alla sicurezza degli ufficiali, fino al combattimento in prima linea.

La maggior parte dei minori arruolati proviene da contesti estremamente vulnerabili: sono bambini di strada, orfani, rapiti nei villaggi etnici o catturati durante le operazioni militari. Vengono poi sottoposti a una rigida disciplina militare, spesso con punizioni severe e privazioni.

Un ulteriore aggravamento della situazione è arrivato con l’emanazione di una nuova legge da parte della giunta militare, il 10 febbraio 2024. La norma riprende una legge coercitiva degli anni ’50 e prevede persino la detenzione per minori, al fine di contrastare la crisi di reclutamento nell’esercito, sempre più in difficoltà rispetto ai gruppi ribelli. Secondo il ricercatore Ye Myo Hein dell’Institute for the Peace,[11] questa mossa mira a colmare la carenza di soldati adulti nelle fila del Tatmadaw.

Il quadro è ancora più drammatico per i bambini appartenenti alla minoranza Rohingya, che continuano a subire pesanti discriminazioni, ulteriori violenze e abusi in un contesto già fortemente instabile

5. Conclusioni

Questo articolo ha offerto una panoramica del complesso fenomeno dei bambini soldato, con un focus particolare sulla situazione in Myanmar. La figura del bambino soldato si configura come una categoria estremamente eterogenea, accomunata unicamente dall’età anagrafica. Dietro l’arruolamento, infatti, si celano motivazioni diverse: dalla povertà al desiderio di vendetta, dalla necessità di autodifesa all’adesione ideologica, fino alla costrizione o alla manipolazione psicologica. Si tratta di dinamiche che spesso sfuggono alla rigidità dei trattati internazionali, i quali tendono a inquadrare il fenomeno in termini puramente giuridici, tralasciando la volontarietà — seppur distorta — che può muovere molti adolescenti.

La situazione in Myanmar rappresenta uno dei casi più emblematici e drammatici di questa realtà. Qui, la linea che separa la vita scolastica dalla militanza armata è spesso sottilissima: le scuole diventano bersagli strategici, i centri di formazione si trasformano in accademie paramilitari e l’infanzia viene progressivamente militarizzata. I bambini non solo perdono l’accesso all’istruzione, ma vengono strappati ai loro affetti, addestrati alla violenza e usati come strumenti nei conflitti etnici e politici che lacerano il paese.

Nonostante gli sforzi della comunità internazionale — attraverso risoluzioni ONU, sanzioni e programmi di reinserimento — il fenomeno dei bambini soldato continua a crescere, alimentato dall’instabilità geopolitica e dall’assenza di soluzioni politiche durature nelle aree di crisi. Senza un cambio di rotta deciso, capace di intervenire tanto sulle cause strutturali dei conflitti quanto sulle condizioni di vulnerabilità dell’infanzia, le nuove generazioni rischiano di rimanere intrappolate in un ciclo di violenza, esclusione e perdita di futuro.

Solo un impegno concreto e coordinato — che unisca la diplomazia internazionale, l’azione umanitaria e la giustizia — potrà spezzare questa spirale e restituire ai bambini il diritto a una vita degna, libera dalla guerra e dalla paura.

 

 

 

 

 

Fonti:
[1] Rapporto UN/UNICEF 3 Giugno 2024  Children and armed conflict https://docs.un.org/en/S/2024/384 
[2] Art 38.Convezione sul Fanciullo 1989 
[3]Somasundaram D. Child soldiers: understanding the context. BMJ. 2002 May 25;324(7348):1268-71. doi: 10.1136/bmj.324.7348.1268. PMID: 12028985; PMCID: PMC1123221.
[4] Alice Ross,  UK firm ‘employed former child soldiers’ as mercenaries in Iraq, The Guardian 2016  https://www.theguardian.com/global-development/2016/apr/17/uk-firm-employed-former-child-soldiers-as-mercenaries-in-iraq 
[5] Mads Ellesøe,  The Child Soldier’s New Job | Pentagon Outsourcing War Trauma, April 19, 2016 (Denmark), al momento in cui si scrive è ancora disponibile su YouTube.
[6] Report 2018 I Semestre  https://direzioneinvestigativaantimafia.interno.gov.it/semestrali/sem/2018/1sem2018.pdf 
[7] Somasundaram D. Child soldiers: understanding the context. BMJ. 2002 May 25;324(7348):1268-71. doi: 10.1136/bmj.324.7348.1268. PMID: 12028985; PMCID: PMC1123221. 
[8]Amnesty International, Bambine e bambini soldato 2025.https://www.amnesty.it/pubblicazioni/bambine-e-bambini-soldato/?utm_source=chatgpt.com
[9]UNICEF, Children Recruited and Used by Armed Forces or Armed Groups https://www.unicef.org/protection/children-recruited-by-armed-forces
[10] Report 2013 Child Soldiers International  https://www.refworld.org/reference/countryrep/cscoal/2013/en/90040
[11] Ye Myo Hein, Myanmar’s Fateful Conscription Law, US istitute of Peace  https://web.archive.org/web/20240301172150/https://www.usip.org/publications/2024/02/myanmars-fateful-conscription-law

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