L’abuso del diritto e la Verwirkung

L’abuso del diritto e la Verwirkung

Il Codice civile italiano del 1942 si presentava come un monumento giuridico saldamente ancorato alla tutela della proprietà, relegando in secondo piano – quasi come ospite silenzioso – la protezione della persona.

Questo scenario muta radicalmente con l’entrata in vigore della Costituzione del 1948: i principi della Grundnorm iniziano a filtrare, goccia dopo goccia, nel tessuto del diritto civile, fino a ridisegnarne l’impianto.

La Carta costituzionale pone la persona al centro dell’ordinamento, sorretta dal principio di solidarietà sancito dall’art. 2. La valorizzazione dell’individuo – sia come soggetto autonomo, sia come partecipe delle formazioni sociali – conduce a una lettura costituzionalmente orientata delle norme codicistiche, innescando un processo di depatrimonializzazione: proprietà e circolazione della ricchezza smettono di regnare incontrastate e cedono il passo a una concezione più relazionale e meno esclusivista del diritto privato.

Fra i corollari più significativi di questa “infiltrazione” costituzionale nel diritto civile – e, in particolare, del principio di solidarietà – spicca la valorizzazione del principio di buona fede e il correlato divieto di abuso del diritto.

La buona fede si presenta in duplice veste: soggettiva, come ignoranza incolpevole di ledere l’altrui interesse (art. 1147, co. 1, c.c.); oggettiva, come canone di correttezza che deve informare ogni rapporto giuridico.

La violazione della buona fede oggettiva apre le porte al c.d. abuso del diritto, figura che la dottrina prevalente riconosce come categoria generale dell’ordinamento. In questa prospettiva, è abusivo l’esercizio di un diritto formalmente corretto ma sostanzialmente scorretto, cioè quando le modalità non siano necessarie né rispettose dei doveri di correttezza e buona fede, procurando un ingiustificato sacrificio della controparte per ottenere risultati ulteriori e diversi da quelli per cui il diritto era stato attribuito.

All’interno di questa categoria si inserisce il dibattito sulla teoria tedesca della Verwirkung, ossia la “consumazione” dell’azione processuale quando il diritto sia esercitato tardivamente e in modo contrario a buona fede. Questa teoria – frutto dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale tedesca seguita all’entrata in vigore del BGB nel 1900 – ha trovato nel tempo varchi anche nel nostro ordinamento.

Oggi solo una minoranza giurisprudenziale nega l’esistenza della Verwirkung in Italia, mentre l’orientamento prevalente la ammette, ricondotta alla clausola di buona fede: decorso il termine di prescrizione, il mancato esercizio protratto per un congruo lasso di tempo, imputabile al titolare e tale da ingenerare nella controparte un legittimo affidamento, rende l’esercizio tardivo un vero e proprio abuso del diritto.

Secondo questa impostazione, la Verwirkung può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice, senza necessità di un’eccezione di parte in senso stretto.

La giurisprudenza di legittimità più recente ha ormai aperto le porte alla Verwirkung nel nostro ordinamento, riconoscendone la compatibilità con il principio di buona fede e inserendola nel solco dell’evoluzione civilistica segnata dall’impronta personalistica della Costituzione e dall’influsso del diritto dell’Unione europea.

Emblematica è una pronuncia della Corte di Cassazione relativa a un contratto di locazione abitativa: i giudici di legittimità hanno ritenuto abusiva la condotta del locatore che, dopo anni di totale inerzia, aveva improvvisamente richiesto al conduttore il pagamento integrale dei canoni arretrati, accumulatisi fino a un importo sproporzionato rispetto alla periodicità pattuita. La Corte ha ravvisato un abuso del diritto: il conduttore, di fatto, si è trovato a fronteggiare una pretesa divenuta insostenibile proprio a causa dell’inerzia del locatore.

Il riconoscimento della Verwirkung nel nostro ordinamento non è soltanto un’operazione di tecnica giuridica: è un ulteriore passo nella modernizzazione del diritto civile, in cui il rigore formale cede il passo a una visione sostanziale e relazionale, capace di armonizzare il principio di certezza con quello di equità.

In prospettiva, il futuro della materia sembra orientato verso un diritto sempre più attento alla responsabilità nell’esercizio delle prerogative, dove la forma non potrà mai più essere scudo per un uso distorto del contenuto.


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