
Demansionamento e perdita delle maggiorazioni per lavoro notturno: nota a Cass., Sez. Lavoro, ord. n. 22636 del 2025
Sommario: 1. Premessa: la vicenda processuale – 2. Il ricorso principale e quello incidentale – 3. La declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale – 4. L’accoglimento del ricorso principale: il danno patrimoniale da perdita delle maggiorazioni notturne – 5. Il principio di diritto – 6. Profili sistematici e implicazioni applicative – 7. Considerazioni conclusive
1. Premessa: la vicenda processuale
La sentenza in commento affronta un tema di particolare rilievo nella giurisprudenza sul demansionamento: la risarcibilità, in forma di danno patrimoniale, della perdita delle maggiorazioni retributive per lavoro notturno, conseguente all’assegnazione del lavoratore a mansioni diverse.
Il caso traeva origine dal ricorso proposto da un dipendente di una società, il quale lamentava di essere stato illegittimamente adibito a mansioni dequalificanti, con conseguente perdita delle relative indennità e lesione della propria professionalità e salute psicofisica. Con sentenza n. 171/2019, il tribunale di Lanciano aveva accertato l’illegittimità del demansionamento e condannato la società convenuta:
al pagamento di € 7.417,30 a titolo di danno biologico, oltre a rivalutazione e interessi;
a un risarcimento per danno da dequalificazione professionale pari al 20% delle retribuzioni dovute per il periodo di demansionamento (sei anni e sei mesi), con riferimento alla retribuzione globale di fatto percepita all’epoca, oltre interessi legali dalla data della pronuncia al saldo;
al risarcimento del danno patrimoniale patito dal lavoratore e ravvisato nel mancato guadagno, legato alla perdita delle maggiorazioni retributive spettanti per il lavoro notturno.
In riferimento a quest’ultimo, il giudice imponeva a parte resistente il versamento della cospicua somma di € 116.410,40, oltre accessori di legge.
La Corte d’Appello dell’Aquila, in parziale riforma della decisione, confermava integralmente la condanna per demansionamento e per danni non patrimoniali, ma escludeva il riconoscimento del danno patrimoniale da perdita dell’indennità per lavoro notturno, ritenendo che tale compenso non costituisse oggetto di un diritto acquisito del lavoratore, ma un mero corrispettivo del disagio effettivamente subìto nello svolgimento del turno notturno.
Avverso tale decisione il lavoratore ha fatto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. La società intimata resisteva con controricorso, contenente anche ricorso incidentale, a mezzo di cinque motivi. Ambo le parti hanno depositato memoria.
2. Il ricorso principale e quello incidentale
Il ricorrente principale deduceva due motivi:
violazione e erronea applicazione dell’art. 2103 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c, per avere la Corte territoriale escluso la natura patrimoniale del danno derivante dalla perdita delle maggiorazioni notturne;
omissione dell’esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. In particolare, si intende la circostanza – incontestata – che il ricorrente avesse lavorato continuativamente nel turno notturno sin dal 2003, con una perdita economica mensile di circa € 1.455,13 a seguito del trasferimento al turno diurno.
La società resistente, dal canto suo, proponeva ricorso incidentale articolato in cinque motivi, tutti diretti a negare la sussistenza del demansionamento e dei relativi danni (biologico, professionale e patrimoniale), nonché a censurare la valutazione delle prove e la CTU medico-legale.
3. La declaratoria di inammissibilità del ricorso incidentale
La Corte di Cassazione dichiara inammissibili tutti i motivi del ricorso incidentale della società, con una motivazione che ribadisce i principi consolidati in tema di limiti del giudizio di legittimità.
In particolare:
i primi due motivi, volti a contestare l’accertamento del demansionamento, sono ritenuti inammissibili poiché consistono in una mera richiesta di rivalutazione del materiale probatorio, attività che è riservata al giudice di merito;
il terzo motivo, che denuncia un omesso esame di fatti decisivi, è precluso dalla c.d. doppia conforme ai sensi dell’art. 348-quater, comma quinto, c.p.c., essendo le due decisioni di merito coincidenti sul punto;
il quarto motivo, relativo alla personalizzazione del danno biologico, è dichiarato inammissibile poiché la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato in ordine alla valutazione equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c., valorizzando le deposizioni testimoniali circa l’incidenza del demansionamento sulla vita relazionale del lavoratore;
il quinto motivo, concernente la quantificazione del danno alla professionalità, è ritenuto generico e assertivo, non confrontandosi con l’articolata motivazione della Corte d’Appello che, in adesione a Cass. nn. 19778/2014 e 12253/2015, aveva legittimamente liquidato il danno in misura percentuale rispetto alla retribuzione, sulla base di criteri equitativi.
La Cassazione, dunque, conferma integralmente la valutazione dei giudici di merito circa la sussistenza del demansionamento e dei correlati danni non patrimoniali.
4. L’accoglimento del ricorso principale: il danno patrimoniale da perdita delle maggiorazioni notturne
Diversamente, la Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, relativo al mancato riconoscimento del danno patrimoniale per la perdita delle indennità notturne. In particolare, la Suprema Corte censura la decisione della Corte territoriale per vizio di sussunzione e erronea applicazione dell’art. 2103 c.c., rilevando che il giudice d’appello aveva confuso la natura giuridica dell’indennità notturna con la questione del nesso causale tra l’accertato demansionamento e la perdita economica.
Secondo la Corte, il lavoratore non pretendeva il riconoscimento di un “diritto acquisito” a svolgere turni notturni, bensì deduceva la perdita di un compenso effettivamente e stabilmente percepito per anni, in ragione dell’acclarata dequalificazione. Il nocciolo della questione, dunque, non stava nella “disagevolezza” della prestazione, ma nel danno da perdita patrimoniale immediata e diretta (ex art. 1223 c.c.) derivante dal comportamento datoriale illecito.
La Corte rileva, inoltre, che la sentenza impugnata non aveva affrontato la questione nella corretta prospettiva causale. Conseguentemente, spiegano i giudici di piazza Cavour, una volta accertata l’illegittima sottrazione alle mansioni precedenti — con adibizione a turni diurni — il giudice di rinvio sarà tenuto a verificare se la perdita delle maggiorazioni notturne sia conseguenza immediata e diretta del demansionamento, e dunque risarcibile come danno patrimoniale.
5. Il principio di diritto
La Corte di Cassazione enuncia, in via implicita ma chiaramente desumibile, il seguente principio di diritto:
«In caso di demansionamento, la perdita delle maggiorazioni retributive per lavoro notturno può integrare un danno patrimoniale risarcibile, qualora costituisca conseguenza immediata e diretta dell’illegittimo mutamento di mansioni e non già effetto di una mera riorganizzazione legittima dei turni lavorativi; ciò indipendentemente dalla natura non fissa o accessoria dell’indennità notturna».
Tale affermazione si colloca nel solco di un orientamento volto a valorizzare la concreta incidenza economica del comportamento datoriale, in applicazione del principio di integrale risarcimento del danno ex art. 1223 c.c., anche in presenza di voci retributive accessorie.
6. Profili sistematici e implicazioni applicative
Avendo a oggetto delicati temi del diritto del lavoro, la pronuncia in oggetto riveste particolare interesse sotto due distinti profili.
Anzitutto, sotto il profilo sostanziale, essa conferma che la tutela risarcitoria del lavoratore demansionato non si esaurisce nel riconoscimento del danno biologico e del danno alla professionalità, ma può estendersi anche a voci strettamente patrimoniali, quando queste siano causalmente connesse al comportamento illecito del datore. In altri termini, il danno patrimoniale non deve necessariamente consistere in un mancato guadagno futuro, ma può derivare dalla perdita effettiva di compensi accessori collegati alle mansioni svolte in precedenza.
Sotto il profilo processuale, la sentenza rafforza la distinzione tra l’indennità o maggiorazione in senso retributivo e il danno risarcibile in senso civilistico. Infatti, se la prima costituisce una voce del trattamento economico, la seconda rappresenta, invece, un pregiudizio patrimoniale che si produce e cristallizza a seguito dell’illegittimo mutamento di mansioni.
Il giudice, in tal senso, è sempre tenuto a verificare in concreto l’esistenza del nesso eziologico tra la condotta datoriale e la perdita economica, secondo la regola di causalità ex art. 1223 c.c. e non attraverso un’astratta valutazione di irriducibilità della retribuzione ex art. 2103 c.c.
7. Considerazioni conclusive
La Cassazione, nel cassare con rinvio la decisione della Corte d’Appello, riafferma una logica di equilibrio tra poteri datoriali e diritti del lavoratore. L’assegnazione a turni diversi rientra nella potestà organizzativa del datore, ma è altrettanto vero che – quando essa si accompagna a un illegittimo demansionamento – le conseguenze economiche negative non possono rimanere prive di ristoro.
La sentenza si segnala dunque per la sua funzione sistematica e si incardina in un ricco quadro giurisprudenziale. Si pensi, ad esempio, alla sentenza della Cassazione n. 12139/2025 – in tema di adibizione a mansioni inferiori nel pubblico impiego privatizzato – oppure all’ordinanza n. 11586/2025, con cui la stessa Corte afferma che il danno patito, in ipotesi di demansionamento, non è in re ipsa, ma è il dipendente che deve dimostrare la lesione patrimoniale e non patrimoniale.
Con la pronuncia qui analizzata, gli Ermellini contribuiscono a delineare una nozione ampiamente tutelante di danno patrimoniale da demansionamento, comprensiva anche della perdita di voci retributive accessorie, purché dimostrata la connessione causale diretta con l’inadempimento datoriale.
Ne discende che, nel giudizio di rinvio, la Corte territoriale dovrà procedere a un nuovo accertamento di fatto, verificando se la perdita delle maggiorazioni per lavoro notturno sia effettivamente imputabile al comportamento illegittimo del datore di lavoro e determinando, se del caso, il quantum debeatur in base ai criteri civilistici.8
Infine, la pronuncia in oggetto si pone nel solco di un orientamento che valorizza il carattere plurioffensivo del demansionamento, inteso non solo come lesione della dignità e della professionalità, ma anche come fonte di pregiudizio patrimoniale concreto e misurabile.
Essa richiama l’interprete a un’applicazione rigorosa del principio di causalità e a una valutazione complessiva del danno lavorativo, coerente con l’evoluzione del diritto del lavoro verso una tutela effettiva della persona del lavoratore nella dimensione economica e professionale.
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