Dallo spazio al cloud: perché i flussi orbit-to-cloud richiedono un nuovo modello di DPIA

Dallo spazio al cloud: perché i flussi orbit-to-cloud richiedono un nuovo modello di DPIA

Le tecnologie spaziali non sono più un elemento marginale del panorama digitale europeo: generano dati, li trasformano, li combinano con algoritmi di intelligenza artificiale e li reimmettono in servizi terrestri che utilizziamo ogni giorno. Il paradosso è che, nonostante questa complessità crescente, continuiamo a valutare i rischi con strumenti pensati per un mondo diverso, in cui il dato nasceva e rimaneva “a terra”. La DPIA prevista dal GDPR è costruita per mappare flussi interni, trasferimenti esterni, misure tecniche e organizzative; ma assume, implicitamente, un controllo continuativo del titolare sul trattamento. Questo presupposto regge finché il dato percorre un ciclo lineare e confinato. Diventa fragile quando quel dato proviene da un’orbita.

La guida EASA dedicata ai droni rappresenta uno dei tentativi più seri di adattare la DPIA a un trattamento dinamico. Analizza la traiettoria del volo, i sensori, la telemetria, la trasmissione verso il controller e l’infrastruttura che gestisce i dati raccolti. È un modello utile, ma rimane pur sempre un quadro aeronautico. Non affronta l’elaborazione autonoma dei satelliti, il ruolo delle ground station, la moltiplicazione degli attori coinvolti nel downlink, né le implicazioni giuridiche di un flusso che attraversa giurisdizioni spaziali prima ancora di toccare terra.

Il trattamento orbit-to-cloud ha una natura completamente diversa da qualsiasi trattamento tradizionale. Il dato nasce in orbita, viene elaborato dal payload e dai sensori a bordo, attraversa stazioni di terra spesso gestite da soggetti terzi e riceve ulteriori trasformazioni prima di raggiungere il cloud. Chi utilizza quel dato nel suo servizio finale non ha alcun controllo effettivo sull’origine, sulla prima trasmissione, né sui passaggi tecnici intermedi. Ignorare questa parte iniziale significa descrivere la metà di un trattamento che, per sua natura, è distribuito.

È proprio qui che si manifesta il limite della DPIA classica: è perfetta per descrivere un trattamento statico, ma non è sufficiente per trattamenti che, oltre a essere ad alto rischio, sono anche intrinsecamente transfrontalieri, multi-attore e strutturati in segmenti tecnologici distinti. L’evoluzione normativa europea, dal Digital Omnibus Package alle nuove regole sull’IA, conferma che il legislatore sta cercando di aggiornare il quadro digitale. Tuttavia, nessuno di questi strumenti affronta in modo diretto la catena orbitale dei dati.

Serve un approccio nuovo. Una DPIA orbit-to-cloud non sostituisce la DPIA tradizionale: la completa, ricostruendo la filiera end-to-end. Significa iniziare dalla dimensione orbitale – Stato di registrazione del satellite, responsabilità dell’operatore, attività di elaborazione a bordo – e proseguire lungo la catena del downlink, valutando i Paesi e gli attori coinvolti, per poi arrivare alla fase cloud in cui il dato viene effettivamente utilizzato. Solo una valutazione che consideri tutti questi passaggi può riflettere la realtà dei trattamenti moderni.

I dati satellitari continueranno a crescere di importanza, e con loro aumenterà la necessità di una governance adatta alla loro natura ibrida. Il GDPR è uno strumento robusto, ma non è nato per descrivere un trattamento che inizia migliaia di chilometri sopra la superficie terrestre. È per questo che la comunità giuridica, insieme a chi lavora nella space economy e nei sistemi di IA, deve iniziare a costruire un vocabolario e una metodologia nuovi.

La DPIA orbit-to-cloud è il passo successivo per colmare la distanza tra ciò che il diritto prevede e ciò che la tecnologia realizza. Non aggiunge complessità inutile: restituisce semplicemente una fotografia più fedele di un trattamento che, ormai, non si può più valutare guardando soltanto a terra.


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Federica Angius

Chief Legal Officer & Data Protection Officer
Federica Angius è Chief Legal Officer e Data Protection Officer nel settore fintech. Si occupa di protezione dei dati, cybersecurity, governance societaria e regolamentazione europea dei servizi finanziari digitali. Ha maturato particolare interesse per l’intersezione tra dati geospaziali, tecnologie spaziali e intelligenza artificiale, temi sui quali conduce attività di studio e divulgazione.

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