Giustificatezza del licenziamento dirigenziale: quando il potere incontra la fiducia
Abstract. Il contributo analizza la nozione di giustificatezza nel licenziamento dirigenziale, distinta dalla giusta causa ex art. 2119 c.c. Alla luce della sentenza Cass. n. 26609/2025, si evidenzia come la perdita di fiducia, il ruolo apicale e la responsabilità indiretta possano legittimare il recesso, pur in assenza di un inadempimento grave. L’articolo propone una riflessione sistemica sulla giustificatezza come categoria autonoma, sollecitando una codificazione più chiara e un controllo giudiziale sulla congruità, per garantire equilibrio tra potere organizzativo e tutela del dirigente.
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Nel rapporto dirigenziale, il licenziamento non è mai un atto neutro. Non si tratta solo di norme o di inadempimenti: è il delicato equilibrio tra autonomia organizzativa del datore e tutela del dirigente, tra discrezionalità e fiducia.
La giustificatezza nasce proprio in questo spazio sottile: non coincide con la giusta causa ex art. 2119 c.c., non richiede l’evidenza di un inadempimento grave, ma si fonda su coerenza, proporzionalità e responsabilità fiduciaria. È la categoria che disciplina quando e perché il datore può recedere senza ledere la dignità del dirigente e senza cadere nell’arbitrio.
La recente Cassazione, con la sentenza n. 26609 del 26 giugno 2025 (Cass. civ., sez. lav.), offre un esempio lampante. Un dirigente al vertice di una commessa strategica, dotato di ampi poteri decisionali e responsabilità elevate, viene licenziato per mancato coordinamento e sottovalutazione dei costi. Nessuna colpa grave, nessun inadempimento disciplinare evidente: eppure, il recesso è ritenuto legittimo. La Corte non si limita a constatare fatti, ma valuta la perdita di fiducia, l’ampiezza del ruolo apicale e la responsabilità indiretta nella gestione. La motivazione, chiara e verificabile, trasforma un atto discrezionale in un esercizio legittimo della giustificatezza.
Questa categoria giuridica non è nuova. Già le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 10392/2005, avevano chiarito che il licenziamento del dirigente può essere giustificato senza violare i principi di tutela, purché non discriminatorio o ritorsivo. La sentenza n. 10435 del 2021 ha rafforzato il principio, sottolineando che non è necessario provare un inadempimento, ma fornire una motivazione coerente con il ruolo fiduciario. Perfino la pronuncia n. 25201 del 2023, pur escludendo l’insufficienza professionale come causa disciplinare, ne ha ammesso la rilevanza nel definire la giustificatezza. Un mosaico complesso che trova nella 26609/2025 un tassello esemplare: il diritto sa leggere la realtà e cogliere sfumature che la rigidità normativa non può esprimere da sola.
Eppure, la giustificatezza non è senza rischi. Se non delimitata con cura, rischia di diventare una scappatoia per legittimare qualsiasi recesso. Serve una motivazione effettiva, trasparente e proporzionata, un controllo giudiziale sulla congruità e, perché no, una codificazione più chiara nel codice civile, che distingua la giustificatezza dalla giusta causa e dall’arbitrio. Solo così si mantiene l’equilibrio: il datore conserva la libertà organizzativa necessaria, il dirigente tutela dignità e reputazione.
La sentenza n. 26609/2025 non è un episodio isolato. È un richiamo alla consapevolezza che la giustificatezza non è un dettaglio tecnico, ma un indicatore di governance, fiducia e cultura aziendale. Rende visibile la tensione tra potere e responsabilità, tra discrezionalità e trasparenza. Nel mondo dei dirigenti, dove ogni decisione pesa sul bilancio e sul futuro dell’impresa, la giustificatezza diventa la bussola del recesso, trasformando un atto potenzialmente traumatico in un gesto regolato, comprensibile e giusto.
In definitiva, la giustificatezza del licenziamento dirigenziale dimostra che il diritto non è solo regola astratta, ma strumento di equilibrio. La sfida per il futuro è chiara: consolidarne i confini, prevenirne l’abuso e rendere ogni recesso non solo legittimo, ma legittimamente raccontato, capace di narrare la storia di fiducia, responsabilità e trasparenza insita in ogni rapporto dirigenziale.
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Aldo Andrea Presutto
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