Il dominio transitorio

Il dominio transitorio

La proprietà temporanea suscita da sempre un vivace dibattito in ambito dottrinale, soprattutto alla luce del mutato contesto culturale che nel tempo ha rivisto il concetto di “assolutezza”, caratterizzante il diritto di proprietà.

Il codice civile del 1942 all’articolo 832 c.c., diversamente dall’abrogato articolo 436 del codice civile del 1865, non fa alcuna menzione del carattere dell’assolutezza del diritto in questione, limitandosi ad indicare il contenuto del diritto che consente di “godere e disporre” della res “entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”.

L’analisi di tale contributo cercherà di fare luce sulla “perpetuità” del diritto di proprietà e sulla possibilità di ammettere la temporaneità della stessa, ovvero stabilire se i poteri di godimento e disposizione attribuiti al proprietario possano subire limitazioni temporali per volontà della legge o dei privati.

La proprietà a termine deve essere definita come una proprietà sottoposta ad un termine finale e con efficacia reale, dal momento che la proprietà allo scadere del termine si estingue e si trasferisce ad un altro soggetto, per effetto di un precedente negozio dispositivo.

Nell’attuale contesto normativo non è possibile stabilire con certezza se sia ammissibile o meno la proprietà temporanea, infatti, anche le figure codicistiche che sembrano evocare la proprietà a termine sono per lo più delle ipotesi di proprietà risolubile.

Prima di analizzare le figure codicistiche che a volte sono apprezzate come forme di dominio transitori, appare opportuno ai fini del presente lavoro, esaminare le due tesi, tra loro contrapposte,

in merito alla esistenza o meno di una proprietà temporanea.

La tesi favorevole evidenzia come l’articolo 832 c.c. non faccia menzione, nell’individuare il contenuto del diritto di proprietà, accanto al potere di godere e disporre della perpetuità.

Secondo i fautori di questa tesi, l’apposizione di un termine finale non altererebbe in alcun modo l’identità del diritto di proprietà e, quindi, non darebbe vita ad un diritto reale atipico che si porrebbe in contrasto con il principio di tipicità dei diritti reali.

Di tutt’altra opinione è la tesi che nega l’esistenza della proprietà temporanea e basa la sua obiezione principale, proprio, sulla necessità di rispettare il principio di tipicità dei diritti reali.

Laddove il godimento e la disponibilità del bene subiscano una delimitazione temporale, secondo questa tesi, il diritto di proprietà verrebbe snaturato delle sue prerogative essenziali.

La precarietà del diritto comporterebbe un ridimensionamento dello stesso e della spendibilità del bene, in pratica si finirebbe per alterare l’identità della proprietà stessa.

Secondo questa tesi, inoltre, la “proprietà a termine” darebbe vita ad una commistione ambigua tra un pregresso rapporto contrattuale tra soggetti e successione nel diritto: ad una unica manifestazione di volontà contrattuale sarebbero collegate due vicende traslative, la seconda delle quali non avrebbe una giustificazione causale.

Le figure codicistiche che evocano il dominio transitorio, alla fine, come ha osservato attenta dottrina, non sono altro che ipotesi di proprietà risolubile.

Per fare un esempio pratico basti pensare alla sostituzione fedecommissaria disciplinata dagli articoli

692 ss c.c.

Tale figura prevede l’obbligo del fiduciario di conservare i beni ricevuti per restituirli alla sua morte al sostituito.

La figura del fiduciario a volte è stata apprezzata alla stregua di un dominio temporaneo, dal momento che la stessa lettera della legge appone un termine finale alla prima istituzione e un termine iniziale alla seconda.

A ben vedere, però, le sorti del diritto attribuito all’istituito non si legano solo alla circostanza della sua morte, ma alle ulteriori e incerte circostanze della cura prestata all’incapace e della sopravvivenza del sostituito all’istituito.

Viene in rilievo una proprietà risolubile e non temporanea, infatti, il dominio è subordinato ad una condicio iuris non retroattiva.

Anche la vendita con patto di riscatto a volte è stata accostata alla proprietà transitoria.

In base agli articoli 1500 ss c.c. al venditore, attraverso la conclusione di un “patto di riscatto”, si offre la possibilità di fare propria la cosa venduta una volta restituito all’acquirente il prezzo e le spese sopportate per l’acquisto.

In tal caso, tuttavia, la caducità del dominio non è un requisito certo della situazione dominicale, si tratta di un requisito eventuale, legato all’esercizio dell’opzione del venditore.

Si tratta, anche in questo caso, di una “proprietà risolubile”, ma non di una “proprietà temporanea”.

La figura che ha sempre comportato maggiori problemi con la tesi che nega l’esistenza di una proprietà a termine è quella della proprietà superficiaria a termine di cui all’articolo 953 c.c.

La dottrina più attenta evidenzia come il diritto di superficie consiste in una devoluzione al superficiario degli effetti dell’accessione che competono al proprietario.

Tale distacco può essere temporaneo, essendo configurabile l’espansione alla sua cessazione del diritto del proprietario del suolo sul ben oggetto dell’accessione.

Le conclusioni di quanto fin qui esposto portano in sostanza a due direttrici di pensiero: da un lato vi sono coloro che negano in nuce la possibilità di un dominio transitorio e dall’altro vi sono coloro che ammettono tale possibilità.

Ciò che appare evidente è il sempre più crescente interesse del giurista per l’istituto della proprietà.

Il giurista moderno, infatti, cerca di modellare il diritto di proprietà ai mutevoli interessi della società anche andando oltre i limiti imposti dalla legge, con risultati non sempre lineari.


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